AARA: un fiume black metal in continuo mutamento | Aristocrazia Webzine

AARA: un fiume black metal in continuo mutamento


La Svizzera è sempre stata un vero e proprio laboratorio per il black metal e per il metal estremo in generale. In tempi recenti l’Helvetic Underground Committee ha guadagnato consensi grazie a gente come Dakhma e Tardigrada, mentre i Bölzer si sono fatti un bel nome nonostante abbiano pubblicato un solo album in studio. Andando più in là nel tempo, Darkspace, Samael e Celtic Frost si sono occupati di mettere regolarmente il piccolo Paese alpino sulla mappa della musica estrema. Negli ultimi anni un nuovo nome è emerso dalla terra degli orologi e del cioccolato: per me, gli Aara sono una delle band più interessanti emerse nella scena black metal non solo per la loro peculiare produzione musicale sia in termini di songwriting che approccio vocale, ma anche per l’incredibile costanza qualitativa. Con cinque album (il più recente dei quali abbiamo raccontato qui) e un paio di EP in poco più di quattro anni è facile pensare che il trio abbia voluto strafare, eppure la band bernese non ha ancora fallito una sola pubblicazione. Abbiamo incontrato il compositore e polistrumentista Berg e la cantante Fluss per discutere di letteratura, anonimato e della prossima mossa degli Aara, ed ecco cosa ne è venuto fuori.

Per cominciare, nel caso qualcuno non abbia familiarità con gli Aara, potreste presentare la band con parole vostre? Da una vecchia intervista ricordo che parte del nome è legato a un fiume svizzero, mentre la parola “ara” significa altare in latino…

Fluss: Sì, esatto, il nome della band è stato creato da questa combinazione. Il fiume Aare dà forma a molti paesaggi in Svizzera, tra cui anche i luoghi in cui abbiamo vissuto. Poiché una band di nome Ara è già presente nella scena, ci è venuta l’idea di collegare a esso il fiume. Quindi Aara si potrebbe tradurre liberamente come “altare della natura”. Berg e io abbiamo iniziato il progetto nel 2018. Il primo album era più per divertimento e per vedere come avrebbe funzionato la collaborazione. In seguito, quando abbiamo ricevuto un’offerta dalla nostra attuale etichetta, Debemur Morti, volevamo migliorare la produzione e abbiamo coinvolto J., che da allora si occupa della batteria e della produzione musicale.

Come è iniziata la collaborazione con Phil e Debemur Morti? Siete soddisfatti del vostro rapporto? Oltre a ciò, in un’epoca in cui praticamente ogni band ha la possibilità di autoprodurre e pubblicare i propri dischi, quali credete siano i vantaggi di avere un’etichetta alle spalle?

Berg: Phil ci ha contattato e fatto un’offerta, è così che è iniziata la collaborazione. Siamo molto soddisfatti del lavoro dell’intero team Debemur Morti, e mantengo anche contatti con Phil per parlare di cose al di fuori dei progetti musicali. È importante avere una base personale, fidarsi e fare affidamento l’uno sull’altro. L’autopromozione per gli Aara semplicemente non sarebbe fattibile in termini di tempo. Gestire un’etichetta e un mailorder è un lavoro a tempo pieno se si vuole guadagnarsi da vivere dignitosamente. La produzione della musica richiede già abbastanza tempo, quindi non ho bisogno di aggiungere a questa tutti gli aspetti organizzativi.

Avete pubblicato un album all’anno dal 2019, il che significa che Triade III: Nyx, nel 2023, segna il quinto full length in quattro anni, escludendo molti altri brani che avete pubblicato in diversi EP. Avete intenzione di continuare a mantenere un ritmo così serrato, registrando un nuovo album ogni anno?

Berg: Staremo a vedere, nella misura in cui le circostanze lo consentiranno. Non abbiamo molto tempo per gli Aara, ma lavoriamo bene insieme e questo finora ci ha permesso regolarità nelle uscite. Il prossimo album dopo la trilogia è già pronto, quindi siamo abbastanza fiduciosi di poter pubblicare un altro disco nel 2024. Cosa succederà dopo non lo sappiamo.

Sarà il sesto album in sei anni. A questo punto non riesco nemmeno a immaginare se aveste molto tempo per gli Aara, cosa potreste fare. Ma come nasce un vostro disco, come si crea la musica? Seguite uno schema specifico o avete diversi approcci alla scrittura delle canzoni?

Berg: Innanzitutto, abbiamo bisogno di un concetto o un’idea che vogliamo esplorare per un periodo di tempo piuttosto lungo. Trovato questo, fondamentalmente si tratta solo di accendere la chitarra e provare a trasformare le idee in musica. Se un riff ci convince lo teniamo, altrimenti lo cancelliamo. Non ci pensiamo su troppo se incorporare o meno questa cosa o quella, piuttosto decidiamo se va bene sul momento. Questo ci permette di creare rapidamente una canzone, che viene poi ri-registrata in studio e completata dal lavoro di J. e Fluss.

Gli ultimi tre album concettualmente rappresentano un’unica trilogia basata sul romanzo Melmoth The Wanderer di Charles Robert Maturin. Come mai avete scelto di trasformare questo specifico romanzo gotico del XIX secolo in una trilogia black metal? Cosa significa per voi?

Fluss: In origine, ci siamo imbattuti nel romanzo piuttosto per caso, ma ci interessava il fatto che questo romanzo fosse uno dei primi lavori del genere Schauerroman, che ha avuto un’influenza significativa sulla letteratura e sull’arte horror. Il romanzo gotico di Maturin Melmoth The Wanderer è pieno di atmosfere cupe e immagini forti, che sono meravigliosamente adatte per essere catturate in forma musicale quanto letteraria. In Melmoth si trovano molti grandi temi come la morte, il tradimento, la fede e l’amore. Inoltre, Maturin critica il cattolicesimo e diverse altre religioni, così come il miscredente, nella persona di Melmoth, che ha stretto un patto con il diavolo. Questi argomenti così oscuri si adattano perfettamente all’ambiente e alla musica black metal, ma allo stesso tempo non volevamo glorificare l’opinione di Maturin o fare una dichiarazione politica. Per noi è stato particolarmente emozionante affrontare il libro come testimone coevo dello zeitgeist del XIX secolo. Sfruttiamo semplicemente la possibilità di dare un’occhiata più da vicino a determinati temi e, incorporandoli nella nostra musica ed estetica, creiamo la nostra opera e insieme aumentiamo la nostra conoscenza e comprensione di determinati eventi storici.

Scusate, avrei dovuto fare questa domanda prima, ma mi è completamente sfuggita di mente: l’album prima della trilogia, En Ergô Einai, prendeva il titolo da Aristotele e trattava dell’Illuminismo, durante il XVIII secolo. Cosa vi ha spinti verso quel determinato periodo storico?

Fluss: Era semplicemente un periodo in cui eravamo fortemente coinvolti dall’Illuminismo, che ci ha fornito l’ispirazione per fare un concept album. Inoltre quell’album è stato… sì, in retrospettiva si potrebbe considerare come il primo “vero” album degli Aara, un passo in direzione di ciò che volevamo davvero fare, ossia affrontare un tema su ciascun album in modo estensivo. Scrivere testi emotivi e personali per me non funziona, non fa per me, e penso che anche a Berg piaccia elaborare le melodie con un’immagine o un obiettivo preciso in mente. In En Ergô Einai utilizza anche deliberatamente elementi di musica classica del XVII e XVIII secolo, per cui l’epoca dell’Illuminismo era perfetta come partenza per il concept testuale.

A questo punto, dopo il diciottesimo e il diciannovesimo, dobbiamo aspettarci che il prossimo album, che avete detto è già finito, parli del ventesimo secolo?

Fluss: In effetti, con il prossimo disco attualmente in lavorazione stiamo seguendo questa cronologia. Ma in realtà è successo piuttosto per caso, non è una cosa che abbiamoo pianificato consapevolmente. Inoltre sarà un lavoro meno letterario e filosoficamente ispirato, tratterà di eventi reali, il che lo renderà molto diverso dalle nostre cose precedenti.

Tutti i vostri testi sono in tedesco, avete mai pensato di tradurli, per renderli comprensibili a chi parla inglese? E da cosa deriva la scelta di mantenere la vostra lingua madre?

Fluss: In realtà, la nostra lingua madre è lo svizzero tedesco, che è un dialetto tedesco molto forte. Era quindi più interessante per me scrivere testi in questo dialetto, cosa che ho fatto anche per altri progetti e che è molto divertente, piuttosto che scrivere testi in inglese. Mi piace molto scrivere in tedesco, perché è molto vario e ti permette di scrivere testi poetici in modo molto più approfondito, grazie a tutti i meravigliosi aggettivi che esistono nella nostra lingua. Potremmo pensare di tradurre i testi in inglese e stamparli, ma dipenderà dall’etichetta.

So che questa potrebbe essere una domanda un po’ generica e anche infinita, ma spendereste qualche parola per parlare di ciascuno dei vostri lavori? Da ascoltatore li trovo tutti molto coerenti, eppure ognuno ha le sue peculiarità. Come li descrivereste?

Berg: È difficile rispondere. So Fallen Alle Tempel è stato il primo, forse un po’ ingenuo tentativo di esprimere ciò che gli Aara dovrebbero essere, cioè un progetto guidato da concetti e idee, che non vuole scrivere le canzoni secondo le caratteristiche specifiche del genere, ma che vorrebbe trasferire questi concetti nella propria musica. A quel tempo non era affatto chiaro cosa sarebbe stato della band. EP come Anthropozän e Phthonos ci danno l’opportunità di provare cose diverse e vedere se si adattano o meno agli Aara. Soprattutto Anthropozän è stato l’inizio dell’utilizzo di elementi più classici, con molte tracce di chitarra una sopra l’altra per creare questo muro di musica e melodie, che si possono trovare soprattutto su En Ergô Einai. Questo album è stato anche quello con cui abbiamo ricevuto più attenzioni e siamo finiti con Debemur Morti Productions. Abbiamo scelto la trilogia Triade come sfida con noi stessi, per ampliare un tema su diversi album e quindi avere più spazio per la narrazione musicale e lirica. La Triade rompe con En Ergô Einai, che suona quasi allegro in alcune parti, e incorpora parti più cupe, oscure e veloci. Triade II: Hemera è molto più selvaggio e caotico di Triade I: Eos, ma utilizza elementi simili. Triade III: Nyx cerca di essere più semplice, ma allo stesso tempo prende elementi dalle prime due parti della Triade e anche da En Ergô Einai.

Parlate di concetti e idee alla base di So Fallen Alle Tempel, volete approfondire? Qual era il vostro intento originale quando avete messo in piedi gli Aara, ed è ancora quell’idea a guidare la band oggi, oppure i vostri obiettivi sono cambiati in questi cinque anni?

Fluss: Penso che il primo disco sia stato un esperimento per noi, per vedere se una collaborazione potesse funzionare. Non c’era davvero un’idea fissa, ma piuttosto un mucchio di spunti e direzioni diverse che abbiamo provato per vedere cosa avrebbe funzionato. Berg voleva provare qualcosa di nuovo e io ho avuto l’idea di scrivere qualcosa sulle forze distruttive della natura, e ho scritto del terremoto di Basilea nel 1356 o di una caduta massi nella parte italiana della Svizzera. Ma questo non era un vero e proprio “concept” e ci mancava un filo conduttore che attraversasse tutto il lavoro. Quindi nell’album successivo siamo passati a una struttura definita, qualcosa che avesse un tema specifico. Con Triade l’abbiamo portato all’estremo, perché il modello di un romanzo crea una cornice molto ristretta, della quale ora vogliamo liberarci di nuovo. Quindi non c’è mai stata una visione originale di come o cosa gli Aara dovessero essere o diventare. È ancora una ricerca dinamica di nuove ispirazioni e nuove forme di sviluppo musicale e lirico. Aara è un fiume.

Che tipo di band e musicisti pensate siano le vostre influenze principali, indipendentemente dal loro genere? Ricordo ad esempio che J. è un batterista di formazione jazz all’Università di Berna e che apprezza artisti del calibro di Tony Williams e Nick Barker. E Berg e Fluss?

Berg: I miei gusti sono piuttosto variegati, influenze e ispirazioni in continua evoluzione, soprattutto tra musica classica, ambient, black metal dei primi anni 2000 e produttori elettronici. È importante che quello che ascolto abbia una certa atmosfera, ma non ho eroi o modelli.

Fluss: Ascolto anche io musica piuttosto diversa, e non saprei nominare chi mi ispira direttamente per quello che faccio con gli Aara. Per quanto riguarda la voce, ho sempre cercato solo di fare cose che funzionassero per me personalmente, senza voler suonare come X o Y… Mi piace ancora ascoltare black metal atmosferico e ripetitivo, musica classica e opere, soprattutto dei romantici cechi. E a volte mi piace ascoltare indie specifico o post-rock, quando l’atmosfera è giusta.

Quanto siete legati alla scena black metal svizzera? L’Helvetic Underground Committee si sta facendo conoscere molto negli ultimi anni, e Metal Archives riporta che J. è coinvolto con i Lykhaeon. Avete altri “collegamenti” con il collettivo?

Berg: Fluss e io tendiamo a stare fuori dalla “scena”, ammesso che esista qui da noi. In Svizzera ci sono gruppi locali piuttosto vicini che fanno musica insieme e si sostengono a vicenda, non c’è una vera scena nazionale. Dato che da queste parti è il miglior batterista black metal, J. è coinvolto in molti progetti diversi, a volte come membro, a volte solo come turnista. Certo, conosciamo alcune persone dell’Helvetic Underground Committee, ma siamo in contatto solo sporadicamente. Siamo più legati alla cerchia di Chotzä (Berna) e Malphas (Ginevra), così come ad alcune band tedesche, francesi e norvegesi.

E pensate che una scena nazionale potrebbe essere utile, in qualche modo? Quali direste che sono le maggiori difficoltà che una band svizzera deve superare?

Berg: Personalmente, non ho davvero bisogno di una scena, ma ho rispetto per persone come J., ad esempio, che forniscono uno spazio per eventi e supporto alle band. La Svizzera non è certo il paese peggiore per il black metal, soprattutto negli ultimi anni, visto che sono emersi molti nuovi progetti ed eventi. Tuttavia, un grosso problema sono i costi. Non ha molto senso che una band venda direttamente le proprie uscite perché non può competere con i prezzi internazionali e le spese di spedizione. Allo stesso tempo, quando si va in tournée internazionale si guadagna relativamente poco considerando i prezzi alti che abbiamo a casa.

Come è nato il vostro rapporto con il pittore tedesco Michael Handt?

Fluss: Siamo molto fortunati ad avere questa collaborazione con Michael. È un giovane artista incredibilmente talentuoso e abbiamo trovato il suo stile molto adatto alla nostra musica. Per caso abbiamo scoperto il suo sito web e dopo averglielo chiesto ci ha permesso di utilizzare un suo dipinto per En Ergô Einai. Ora abbiamo il privilegio di far realizzare a Michael le nostre idee per le copertine, il che ci offre possibilità completamente nuove per l’estetica dei nostri lavori. Le prime due copertine della Triade sono state dipinte da Michael sulla base di scene del romanzo Melmoth The Wanderer, l’ultima l’abbiamo scelta tra le sue opere già esistenti perché era perfetta così. Il prossimo album avrà ancora una volta un dipinto a olio di Michael in copertina, che ha dipinto dopo una fotografia storica.

In diverse vecchie interviste avete affermato di non essere particolarmente interessati a portare gli Aara su un palco, eppure non avete mai escluso che possa succedere. Quali sarebbero le “condizioni” che renderebbero possibile vedere la band dal vivo?

Berg: Non ci sono condizioni specifiche. Gli Aara sono piuttosto impegnativi da portare dal vivo in termini di songwriting, dato che lavoriamo con un sacco di tracce che si sovrappongono l’una all’altra. Non ci sono piani, ma non escludo nulla in modo esplicito, in modo che se un giorno dovesse succedere nessuno ci possa rinfacciare nulla.

Vi rifiutate di discutere le vostre precedenti esperienze musicali, scegliete di mantenere la band anonima, ma con uno stile estetico molto specifico. Perché vesti e maschere e perché l’anonimato?

Berg: Gli obiettivi degli Aara non sono necessariamente l’anonimato e la segretezza. Ha semplicemente senso per noi separare le cose. Aara non riguarda noi come individui che hanno bisogno di mettere in scena se stessi, quanto piuttosto i concetti e la musica che vogliamo esprimere. È una cosa che gestiamo molto liberamente. Ad esempio, non si può dire che J. sia un personaggio sconosciuto nell’attuale scena black metal. Conosce molte persone, è coinvolto in molti progetti, organizza concerti e così via, e va benissimo così. D’altra parte, per me è più importante semplicemente fare musica, che sia negli Aara o in altri progetti. Non sono mai stata una “persona pubblica” che ha bisogno di essere conosciuta ovunque nella scena, e non ho intenzione di diventarla.

Non ricordo chi di voi due sia stato a dire questo, ma ho trovato questo commento estremamente puntuale: «La maggior parte della filosofia black metal è troppo ingenua per questo. Ho come la sensazione che molte persone non si prendano la briga di informarsi per sviluppare un proprio pensiero critico sulle religioni e sull’umanità. Per me, la pura antireligione e antisocietà sono risposte troppo semplici per le cose complicate che si sono sviluppate a livello storico e culturale nel corso di migliaia di anni.»

Troppe persone spesso dimenticano che il black metal è nato da adolescenti arrabbiati negli anni ’80. Tuttavia, l’intero genere ha fatto molta strada dai suoi albori, e il semplice fatto che i musicisti black metal diano questo tipo di opinioni ponderate è la prova che questa musica può essere ancora fresca e offrire diverse interpretazioni e angolazioni su moltissimi temi. Allora, cosa significa black metal per voi?

Berg: Onestamente, spesso sono proprio le band con testi più classici e forse più diretti che personalmente apprezzo di più. Capisco anche la voglia di portare avanti queste idee, è quasi come una tradizione. Il black metal è uno dei generi più diversi che esistono, offre molta libertà pur essendo vincolato da confini rigidi che sono tracciati non tanto da elementi musicali quanto da sentimenti e atmosfera. Di conseguenza, il black metal è fortemente guidato dalle emozioni, che, combinate con la sua diversità, creano un risultato eccitante. È stata una presenza costante per molto tempo, rimanendo una parte di me nonostante i cambiamenti e gli sviluppi della vita.