ABORYM | Aristocrazia Webzine

ABORYM

Gruppo: Aborym
Formazione:

  • Fabban – Voce, Basso, Tastiere, Campionamenti, Programming
  • Paolo Pieri – Chitarra, Tastiere, Campionamenti, Programming
  • Bård G. Eithun “Faust” – Batteria

Benvenuto Fabban sulle pagine di Aristocrazia Webzine. Sono davvero lieto di potervi ospitare: se ripenso a quando ho ascoltato Aborym per la prima volta da adolescente (saranno passati ormai più di dieci anni), si tratta di un piccolo sogno che si realizza. Data la vostra fama e militanza di lungo corso, credo sia inutile perdersi in presentazioni, per cui passo immediatamente a parlare del vostro nuovo album.


Psychogrotesque è stato un album concettualmente piuttosto estremo, specie nella sua struttura ambiziosa. Oggi con Dirty invece mi pare siate tornati a focalizzarvi sulla forma canzone, caratterizzando con forza ciascuno dei brani presenti, che vivono di vita propria anche se presi singolarmente. Quali erano i vostri progetti al momento di iniziare a comporre i nuovi pezzi?

Fabban: Psychogrotesque è stato un disco parecchio complicato, sia dal punto di vista compositivo, sia da quello realizzativo ed è stato il primo disco che ho scritto insieme a Paolo, il chitarrista che è subentrato in Aborym subito dopo Generator. Negli ultimi anni abbiamo iniziato a lavorare a stretto contatto e ci siamo trovati molto bene, pertanto le cose si sono evolute in modo del tutto naturale. Volevamo realizzare qualcosa in grado di cambiare nuovamente e pesantemente i connotati a un genere musicale che abbiamo già ampliamente stuprato e reinventato negli anni. Volevamo qualcosa di molto alto, innovativo, nuovo e forte come un calcio su per il culo… Ma soprattutto abbiamo deciso di imprimere ad Aborym un forte marchio industrial, plagiando in modo ancora più ferale il metal con l’elettronica, sfruttando la potenza dei synth, delle macchine, dei software, della pulizia (o sporcizia) sonora e della totale assenza di qualsiasi regola che non sia la nostra. Il buon 90% dei brani di Dirty sono stati costruiti direttamente sulle nostre macchine, sui synth, su hard disk. Le chitarre, il basso e tutto il resto sono stati scritti in seguito. Un nuovo approccio che ci ha consentito di ottenere qualcosa di unico, potente, e per quanto mi riguarda sbalorditivo.

Ho definito Dirty il vostro disco di maniera, per l’assenza di vere sperimentazioni rispetto al passato, ma al contempo il lavoro di cesellatura dei dettagli è stato veramente impressionante. Quanto sei d’accordo con questa affermazione?

Fare sperimentazione sonora non significa solo creare un brano per poi appiccicarci sopra degli adesivi colorati. Io credo che Dirty sia un disco estremamente sperimentale se per sperimentazione intendiamo il modo in cui abbiamo plagiato tra loro vari generi musicali e le tecniche che abbiamo usato per ottenere suoni nuovi e customizzati. In questo disco ci sono inserti dub-step, partiture techno, ebm, musica elettronica, industrial, death-black metal, rock, hard rock… Ci manca solo la bossa nova e il reggae amico… Ogni singolo suono di ogni singolo brani di Dirty è unico, editato, completamente sezionato e studiato minuziosamente sulle dinamiche, sulle timbriche, sui cut-off e gli effetti. Abbiamo utilizzato una library di batterie completamente customizzata (realizzata da un caro amico che da tempo collabora con me, Rg Narchost)… Dall’esterno può sembrare tutto facile, ma noi abbiamo lavorato per mesi e mesi su ogni singolo suono per fare in modo che tutto suonasse come volevamo. E ora mi dici che avverti assenza di sperimentazioni? Evidentemente abbiamo una concezione di sperimentazione un tantino differente. Per me sperimentare significa anche andare in metropolitana, campionare con il registratore dello smartphone lo starnuto di una vecchietta per poi tornare in studio, prendere quel campione e stuprarlo talmente tanto da farlo diventare un rullante. Mi ci vorrebbero giornate intere per descriverti tutto quello che c’è dietro un qualsiasi brano di “Dirty” credimi. Io non guardo mai in casa degli altri, ma il giorno in cui ascolterò un disco che si avvicina anche solo lontanamente a Dirty forse inizierò a cambiare le mie posizioni circa la sperimentazione sonora [ride]… Non potremo mai inventare l’ottava nota, perché le note musicali sono sette, ma di sicuro non smetteremo mai di produrre questo tipo di musica inventando ex-novo criteri di registrazione e di song-writing sempre diversi. È una questione di DNA nonché di passione per un certo tipo di musica e di soluzioni sonore. Tanti anni fa Trent Reznor tirò fuori album come “Pretty Hate Machine” e “Broken” con vecchio Zoom e con un Turbosynth montato su un Macintosh plus del 1986. Così… per dire…

Le apparizioni della voce pulita in così numerose occasioni rappresentano sicuramente un aspetto di novità. Quali sono i cantanti che apprezzi maggiormente e ai quali ti sei ispirato?

Io non mi considero un vero e proprio cantante. Non ho la tecnica di un vero cantante, non ho l’esperienza di un vero cantante. Ma cantare pulito mi piace e in molti brani di Dirty avevo previsto diversi inserti di clean vocals e sono molto soddisfatto. Non ho cantanti a cui ispirarmi semplicemente perché, ripeto, non mi considero un vero e proprio singer. Di sicuro penso che Iggy Pop sia il più grande frontman della storia della musica rock. Adoro la voce di Mike Patton, così come credo che lo stile e la tecnica di Michael Jackson siano qualcosa di inavvicinabile. Mi piace molto la voce di Trent Reznor, quella di Alice Cooper, così come quella del defunto Jim Morrison, quella di Ozzy Osbourne, quella di Blakie Lawless di WASP e quella di Axl Rose, per citarne alcuni. Ultimamente ho ascoltato alcune cover di Karmin, la voce di questa Amy di Daring-est Duo è formidabile cazzo!

Il secondo cd della versione digipak farà sicuramente discutere e a mio parere ripropone degli Aborym davvero provocanti. Cosa vi ha spinto a offrire in una nuova veste due brani strepitosi nella versione originale come “Fire Walk With Us” e “Roma Divina Urbs”?

Sì, ha fatto molto discutere e aggiungerei in positivo. Almeno, queste sono le reazioni dei fan e dei magazine specializzati. Nessuno si sarebbe mai aspettato che Aborym suonasse brani di Nine Inch Nails o Pink Floyd, così come nessuno avrebbe mai scommesso un solo centesimo sul fatto di poter riascoltare “Roma Divina Urbs” e “Fire Walk With Us” nel 2013 dopo tanti anni di distanza dalla loro pubblicazione. Il secondo dischetto del digipak è una sorta di celebrazione per noi visto che abbiamo compiuto il nostro ventesimo anno di attività. Abbiamo voluto regalare a chi ci segue da sempre un secondo disco fuori dalle righe e pare che la gente abbia gradito non poco.

Parlando delle cover, quella degli Iron Maiden è realmente sconvolgente. Il vostro scopo era di scioccare l’ascoltatore?

Le versioni di “Hurt” e “Comfortably Numb” sono due tributi, due brani che abbiamo voluto registrare e includere nel secondo dischetto proprio per rendere omaggio a due band storiche che hanno un significato particolare per me, per noi. Io sono un fan fedele da sempre e per me è stato magnifico poter realizzare queste versioni attraverso Aborym. Un cazzo di sogno che si realizza! Ci siamo sforzati per tentare di riproporre “Comfortaby Numb” e “Hurt” quanto più fedeli alle versioni originali. Nel caso di “Comfortably Numb” abbiamo addirittura utilizzato amplificatori, microfoni e strumentazione vintage proprio per ottenere un suono caldo e drammatico che puzzasse di anni ’70. La cover dei Maiden invece è una cover dei Maiden realizzata da Aborym e non poteva che venir fuori in questo modo. Molti puristi ci odiano dopo aver ascoltato [ride], ma Aborym è questo e fa parte del gioco. Abbiamo risuonato quel brano due o tre volte più veloce, con la nostra merda electro, synth, partiture techno-industrial e tutto il resto. Cazzo, è una figata! Adoro come suona! Avremmo voluto realizzare anche un brano di Duran Duran, ma non c’era più tempo. In futuro magari… Coverizzare un brano dei Maiden è qualcosa che presenta solo due soluzioni, secondo me: suonarlo identico all’originale o stravolgerlo completamente come una sorta di remix. Noi abbiamo scelto la seconda soluzione. Può piacere o non piacere, ma la nostra versione di “Hallowed Be Thy Name” è questa, prendere o lasciare… Non facciamo musica per shockare gli ascoltatori o per catturare il loro consenso. Fondamentalmente noi suoniamo ciò che ci piace e cerchiamo di farlo seguendo il nostro gusto e la nostra creatività. Il giorno in cui mi accorgerò che stiamo facendo musica per ottenere consensi smetterò di suonare.

A Taranto l’Ilva è (stata) fonte di sostentamento per migliaia di famiglie, eppure al tempo stesso è la fabbrica della morte, come tristemente emerso dalle cronache. La vicenda del Gruppo Riva si arricchisce ogni giorno di nuovi capitoli, con ricatti ai lavoratori e alle istituzioni. Da esterno per me è difficilissimo esprimere un giudizio, dato il grave contrasto che si è creato fra il diritto alla salute e quello al lavoro (come sancito dalla nostra Costituzione). Qual è il tuo punto di vista sulla faccenda?

Credo che se non ci sono le condizioni per far lavorare quella gente in sicurezza, garantendo loro la salute e garantendo la salute all’intera popolazione di Taranto, non possono esistere neanche i presupposti per parlare di lavoro. Si va a lavorare per guadagnare soldi e vivere nel benessere, mentre lì molta gente va a lavorare per guadagnare soldi per poi tentare di curarsi. Io mi schiero a favore della gente che si batte per garantire la salute e che si batte per eliminare ciò che di pericoloso viene generato in quella fabbrica. Non è possibile che i soldi vengano prima di tutto il resto e il gruppo Riva pur di far soldi — o evitare di spenderne per rendere gli impianti a norma — per anni ha sacrificato vite umane. In quella fabbrica è morta tanta gente così come tanta gente rischia la vita ogni giorno a causa dei veleni tossici che fuoriescono da quella merda. Lo trovo assurdo. Mio padre ha lavorato lì dentro per trent’anni e dopo altri venti anni ancora è a rischio tumore ed è costretto a fare controlli ogni anno, sperando di essere fuori pericolo. A Taranto la gente continua a morire di tumore (ai polmoni, al cervello ecc.), i bambini nascono già malati e molti non superano il primo anno di vita. Di cosa parliamo? Non si dovrebbe neanche ragionare su qualcosa di così scontato. In questo Paese succedono cose che all’estero sono impensabili purtroppo.

A livello lirico Dirty è decisamente sfaccettato, penso al viaggio allucinante di “Across The Universe” o all’omaggio cinematografico di “Raped By Daddy”, ma i testi possiedono sempre il vostro marchio. Esistono tematiche che non tratteresti mai in un brano di Aborym?

Non tratterò mai tematiche che non mi interessano concretamente o che ritengo poco interessanti. Per me i testi sono importanti quanto la musica e non concepisco l’idea di sprecarne anche uno che sia uno riempiendolo di stronzate o di cose non interessanti. Da questo punto di vista sono maniacale e ho scritto i testi di Dirty prevalentemente in California, a Los Angeles proprio perché volevo respirare determinate sensazioni che solo in quella città ero sicuro di provare sulla mia pelle. E non ho mai scritto in condizioni psico-fisiche normali, ma sempre strafatto e con il cervello in merda. A volte anche ubriaco… in vino veritas come si dice. Volevo essere ulteriormente influenzato da una città folle come quella. Sono stato a Cielo Drive, ho scritto alcuni versi percorrendo la Mulholland Drive, ho scritto altre cose nella Death Valley, a Hollywood, Santa Monica, Malibu… Appuntavo tutto sul mio smartphone e poi quando tornavo in albergo lavoravo sulle metriche e fissavo i testi. Volevo assolutamente respirare la puzza di una città tentacolare, le sue nevrosi e i suoi eccessi… Come ti dicevo prima, musica e testi di Dirty parlano di tutta la merda che si vede in giro, di questa situazione attuale di perenne conflittualità, di regresso, disordine, caos… Ho scritto di tutta la merda che vedo in giro: nelle persone, nel sistema, nella morale, nella cultura, nella sessualità. Ho scritto dei disastri sociali che stanno creando nuove generazioni e nuovi movimenti di ribellione come successe negli anni ’70 con la Weather Underground [organizzazione di sinistra radicale attiva negli Stati Uniti dal 1969 al 1976, NdR] ad esempio, della crisi, delle malattie, della perversione sessuale di alcuni pretacci a cui piace infilare l’uccello dove capita, della violenza e della pazzia delle relazioni di una coppia X così come di un mondo alieno che stupidamente studiamo quando siamo già stati studiati. Ho scritto testi che rappresentano tutto ciò che mi fa paura, come fanno le ragazzine con il loro diario. Ho scritto della rabbia della gente e di questa scissione tra i padroni del pianeta da una parte e una guerra sempre più feroce tra il resto della popolazione dall’altra. Di quei maiali incravattati seduti sulle loro poltrone in pelle del cazzo, con i loro telecomandi in mano, pronti a spingere play per poi gustarsi questo cazzo di film su un enorme fottuto megaschermo, mangiando popcorn. Ogni passo avanti è nuovo potere non solo dell’uomo ma anche di alcuni uomini su altri, Condizionatori che si pongono fuori dai giudizi di valore e sono perciò dominati soltanto dalla forza emotiva di impulsi irrazionali. Ecco, preferisco scrivere di certe cose invece di parlare di cazzate.

Quali criteri utilizzi Fabban per organizzare tutte le collaborazioni di cui ti avvali: pensi a chi potrebbe essere la persona più adatta allo scopo oppure viceversa prima selezioni il musicista e poi valuti in un secondo momento il suo possibile contributo?

È molto più semplice di quanto si possa pensare. Io adoro collaborare con persone e musicisti che stimo innanzitutto: questa è la prima cosa, imprescindibile. Ogni musicista ha le sue caratteristiche e i suoi punti di forza. Io cerco semplicemente di dare loro spazio libero attraverso Aborym, cercando di non snaturare mai il loro stile, il loro gusto e le loro peculiarità. È accaduto così con Davide Tiso, con Karyn Crisis, con Preben dei Mysticum così come con tantissimi altri musicisti che hanno lavorato con noi in passato. Su Dirty ho addirittura voluto coinvolgere direttamente la nostra fan-base realizzando un brano assieme a tutti loro, un brano scritto da Alberto Penzin (Co2, ex Schizo) che si chiama “Need For Limited Loss”. Siamo molto aperti a qualsiasi collaborazione, ma quella più eccitante per me è quella con i fan, assolutamente. Aborym è uno dei pochissimi gruppi che coinvolge così attivamente i fan e questa per me è una gran cosa. Ora stiamo lavorando su un disco di remix di Dirty e molti di loro ci stanno inviando i propri brani. Sono assolutamente e positivamente sconcertato da quanta creatività si nasconda tra i nostri fan. Incredibile. Spero che questo disco esca quanto prima.

Ora vorrei fare con te un viaggio nel tempo attraverso cinque tappe, una per ogni vostro album del passato, affrontando alcuni temi specifici. Parto da Kali Yuga Bizzare, anno 1999: “Roma Divina Urbs” è uno dei brani più maestosi che abbia mai ascoltato. Non hai mai pensato di poter realizzare, ora o in passato, un progetto musicale collaterale di stampo epico che seguisse quella strada? O fin dall’inizio lo hai reputato un unicum all’interno della tua carriera?

Mi piacerebbe fare tante cose credimi, ma purtroppo non ho molto tempo a disposizione e il tempo che ho è interamente dedicato ad Aborym, alla mia vita privata, alla mia donna e ai miei amici. Inoltre penso che certe cose debbano essere preservate così come sono ed emulare un brano come quello sotto altre creature musicali potrebbe risultare vano o poco efficace. Preferisco lasciare che quel brano resti li dov’è e a disposizione dei fan e di tutti coloro che a distanza di tanti anni la ascoltano. In passato ho avuto esperienze in altri gruppi con un’attiduine più operistica e dark, come Void Of Silence con cui ho cantato su due dischi, ma le cose sono finite male. Ad ogni modo, la mia predisposizione alla musica è differente, sono lontano da quel tipo di sonorità; negli anni mi sono evoluto, ho imparato altre cose, ho iniziato ad abbracciare altri generi musicali, altre sonorità. Ora come ora non sarei in grado di suonare qualcosa in quello stile. Non credo ne sarei capace. E non credo di sentire la necessità di farlo.

Due anni più avanti ed ecco Fire Walk With Us. A differenza dell’esordio, si tratta di un disco fortemente coeso e omogeneo, nel quale emerge un marchio di fabbrica distinguibile e originale. Come cambiò il vostro modo di comporre dal primo al secondo album?

Ricordo che subito dopo Kali Yuga Bizarre sostituimmo il vecchio cantante con Attila e di conseguenza scrivemmo un disco su misura per la sua voce… Il modo di comporre virò essenzialmente su uno stile che potesse amalgamare al meglio la sua timbrica, ma in linea di massima non avevamo dei metodi. Eravamo troppo sbandati per poter ragionare da gruppo serio e professionale. Eravamo sempre fuori di testa, sempre strafatti e quando arrivò Attila questo matrimonio chimico iniziò a prendere una brutta piega… È come regalare a un cocainomane una busta piena di roba bianca… Noi eravamo già persone piene di problemi e quando abbiamo iniziato a lavorare con Attila tutto ha cominciato a degenerare, come era logico che fosse. Non c’era alternativa. Ad ogni modo, abbiamo registrato quel disco e tirando le somme direi che abbiamo fatto un buon lavoro viste le circostanze.

Nel 2003 With No Human Intervention è un’altra lezione di violenza sonora senza compromessi, ancora più estrema poiché totalmente inumana. Dovendo associare questo lavoro a un’opera cinematografica o letteraria col ruolo di colonna sonora, su cosa ricadrebbe la tua scelta?

Direi Trainspotting di Danny Boyle: dal 2001 al 2003 ho assunto più droghe che cibo. Sono stati tre anni terribili. Non solo per me. Anche gli altri nel gruppo se la passavano male… E in questo disco tutto questo è realmente percepibile.

A mio parere Generator (2006) è il vostro album più malvagio, poiché il maggiore tocco umano ha permesso di esplorare lidi maggiormente oscuri e perversi. Cosa ha comportato per voi la presenza di un batterista fisso per la prima volta?

Volevamo dare una virata ad Aborym e provare ad amalgamare nel nostro sound un drumming acustico, così abbiamo contattato Bard Eithun e abbiamo scritto e registrato Generator. E da allora continuiamo con questo mix tra drumming digitale e drumming acustico che è qualcosa che ci permette di ottenere moltissime soluzioni in più in fase di registrazione. Possiamo lavorare su una batteria elettronica, scrivere midi, per poi aggiungere elettronica, campioni, effetti per poi sostituire alcune partiture con il tocco umano di Bard. Per noi è stato un crocevia importantissimo.

Devo confessarti che Psychogrotesque (2010) è il vostro disco col quale ho faticato maggiormente a entrare in connessione. Come mai dall’idea iniziale di reallizare un unico brano poi siete passati alla suddivisione in parti?

Avevo scritto un lungo testo e non riuscivo a dividerlo in nessun modo. Così ho proposto a Paolo di creare la musica per questo testo facendo in modo di seguirlo costantemente nel suo incedere. Ed è venuto fuori un brano unico, una sorta di romanzo sonoro basato su un testo unico, Psychogrotesque appunto. Questo disco è come un libro: non puoi saltare da un capitolo all’altro. Per capire devi leggere tutto.

Nel corso degli anni i cambi di formazione quanto hanno rappresentato un problema e quanto uno stimolo a evolversi? Con quali ex compagni d’avventura hai mantenuto i contatti? C’è qualche album realizzato da loro dopo l’addio ad Aborym che hai apprezzato particolarmente? Ad esempio fra quelli degli Alien Vampires [il gruppo EBM di Nysrok, N.d.R.], Reinkaos dei Dissection [dove Set Teitan è stato impegnato come chitarrista, N.d.R.] e Ordo Ad Chao dei Mayhem [con Attila alla voce, N.d.R.]…

Reinkaos è un gran album; l’ultimo disco dei Mayhem che ho ascoltato è stato l’ultimo con Maniac alla voce. Per il resto non ho avuto modo di ascoltare altro, ma sono ancora in contatto con alcuni ex-Aborym. I cambi di formazione in un gruppo sono a volte necessari. Non è semplice far interagire persone diverse tra loro e alla base di tutto in gruppo è necessario essere buoni amici, altrimenti prima o poi il giocattolino si sfascia. Ci ho messo anni per stabilizzare la line-up del e ora le cose funzionano. E funzionano meravigliosamente. Paolo Pieri è un grande chitarrista nonché un professionista con un’esperienza live enorme con Hour Of Penance. Bard Eithun è una persona disponibilissima e anche lui un professionista. Peraltro ora abbiamo due new-entry per i live, ovvero il bassista di Stamina Lorenzo Zarone e il chitarrista di Hour Of Penance Giulio Moschini. Le cose ora funzionano, ma ripeto, ho dovuto aspettare e lavorarci duro per anni prima di poter assestare una line-up seria e professionale.

La dimensione live non è mai stata una priorità per Aborym, difatti le vostre esibizioni sono state davvero rare nel corso del tempo. Perché avete scelto di intensificare le vostre presenze sui palchi proprio ora?

In passato era molto complicato per noi, soprattutto per il fattore economico. Ora abbiamo rilasciato il nostro sesto album ufficiale, Aborym è un nome che continua a persistere e la gente, dopo tanti anni di gavetta, inizia a considerarci come una formazione ad alti livelli. Oggi possiamo contare su una line-up professionale e possiamo contare su budget economici decisamente alti. Non ho peli sulla lingua: noi non suoniamo gratis o per la gloria. Se decidiamo di presentarci live lo facciamo con lo scopo di offrire uno spettacolo interessante alle persone che pagano il biglietto per vederci suonare. E dietro un concerto ci sono ore e ore di prove, di soldi spesi, di viaggi, di sbattimenti e di sudore. Pertanto oggi possiamo permetterci di suonare live con una certa frequenza perché possiamo contare su dei cachèt degli organizzatori, ammortizzando le spese, guadagnandoci per poi re-investire gli incassi in nuova strumentazioni, software e tutto il resto.

Cosa vi attende ora per il futuro? Che piani avete in mente?

Abbiamo alcuni concerti a ottobre in Italia, poi a dicembre in Francia, in Olanda e verso Gennaio conto di pubblicare questo album di remix di Dirty. Ho iniziato a scrivere roba nuova da un paio di settimane. E nel 2014 altri concerti…

Sono passati tanti anni da quando Aborym è sulla scena: cosa ritieni costituisca il nucleo costante (concettualmente e musicalmente) che è rimasto fisso nel tempo e quale o quali le variabili utilizzate disco per disco?

La cosa che dal 1992 a oggi non si è mai affievolita è la passione per la musica, per la sperimentazione, per le macchine, per i software. Le variabili sono le metodologie: i metodi che usiamo quando scriviamo musica, quando la registriamo e quando mixiamo.

Prima di chiudere, un’ultima domanda extra musicale. In gastronomia sei uno sperimentatore come in ambito musicale, quindi ti piace assaggiare sempre piatti nuovi e cucine esotiche, oppure preferisci i prodotti della tua terra? Quali sono i tuoi piatti preferiti e quali le bevande?

Mi considero un grande dietro i fornelli e sia Paolo che Bard possono confermare. Sono molto più bravo in cucina che in studio di registrazione [ride]. Adoro la cucina italiana, così come adoro provare sempre cose nuove, soprattutto quando viaggio e sono all’estero. Sono un fanatico della cucina orientale, non sushi però… adoro la cucina russa (la mia compagna è di San Pietroburgo), la cucina thailandese e vietnamita. Il mio piatto preferito: carbonara, purè di patate con mozzarella e prosciutto crudo oppure pesce spada cotto sul barbecue. Le mie bevande: Jack Daniels, Southern Comfort e Cannonau, anche se ultimamente ho un debole per un whiskey che mi ha fatto provare Giulio di Hour Of Penance che si chiama Captain Morgan, quello speziato. Qui in Italia non è facile da trovare: abbiamo preso un paio di bottiglie a Praga tempo fa… Eccellente. Te lo consiglio!

Ti ringrazio per la disponibilità, a te la parola per salutare i nostri lettori.

Grazie a te! Alla prossima!