Sangue, sudore e gloria: Drakhen racconta Bloodshed Walhalla

Sangue, sudore e gloria: Drakhen racconta i Bloodshed Walhalla

Se avessimo voluto farci narrare le epiche gesta di un guerriero vichingo dell’Anno Domini 800, probabilmente avremmo dovuto stanarlo all’interno di una qualche taverna, scomodarlo mentre era intento a sorbirsi pinte di beveraggi vari e, probabilmente, sperare che fosse della giusta loquacità. Il ventunesimo secolo avrà anche i suoi difetti, ma sicuramente non mancano i modi per agevolare le interazioni fra esseri umani. Per questo motivo, dopo aver ascoltato (o meglio, divorato con le orecchie) Second Chapter, ultima uscita dei Bloodshed Walhalla, la conseguenza logica è stata quella di tampinare l’indomito Drakhen con una serie di domande a cui il Nostro non solo non si è sottratto, ma ha fornito risposte esaurienti. In questo modo, ha soddisfatto ogni curiosità a proposito di una band che, da una manciata di anni a questa parte, rappresenta uno degli esempi più validi del folk-viking italico.


Ci ritroviamo in questa sede a qualche mese di distanza dall’uscita di Second Chapter, album che — ci terrei a dirlo — ho apprezzato molto e che risulta davvero scorrevole, nonostante la durata tutt’altro che contenuta. Ora che il disco è in giro da un po’, qual è stato il feedback che ti ha maggiormente soddisfatto finora?

Drakhen: Innanzitutto vi saluto calorosamente e vi ringrazio per avermi dato la possibilità di rispondere alle vostre domande. Second Chapter ormai è fuori da qualche mese: per noi è stato quasi un sollievo vedere e sentire le sue note direttamente da un CD prodotto e confezionato in maniera abbastanza professionale! Come ben sapete, i Bloodshed Walhalla sono una one man band, di conseguenza tutto il lavoro e le spese gravano su di una sola persona. Fare tutto quello che è stato fatto per quest’album non è stato per niente semplice: la composizione, la registrazione e la produzione sono frutto di tanta volontà e voglia di essere sempre protagonista in un mondo un po’ particolare, in cui il Dio danaro fa da padrone. In piena pandemia, ci siamo ritrovati a dover decidere se e quando far uscire l’album. L’attesa è stata inevitabile, tanto che abbiamo dovuto ritardare di alcuni mesi la pubblicazione, nella speranza di tempi migliori che, ahimè, ancora tardano ad arrivare. Alla fine, a marzo di quest’anno abbiamo deciso di far uscire l’album in accordo con la nostra etichetta, la Hellbones Records: forse è stato un azzardo, perché non siamo stati in grado di supportare anche dal vivo la fatica fatta, ma devo dire che sia le vendite che le recensioni che abbiamo ricevuto ci hanno soddisfatto appieno. Sinceramente me lo aspettavo perché, con il predecessore Ragnarok, la gente in tutto il mondo si è parecchio incuriosita e ha ascoltato molto la nostra musica. Per questo siamo molto soddisfatti e abbiamo capito che i Bloodshed Walhalla ormai sono una vera realtà nella nicchia del viking metal, quindi suoniamo la nostra musica, la gente ci ascolta e ci giudica quasi sempre in maniera eccellente.

Nel caso di Ragnarok, il predecessore di Second Chapter, il brano più sostanzioso si trovava a conclusione del disco. Stavolta, invece, rappresenta proprio il biglietto da visita dell’album. Qual è la ragione dietro questa scelta?

Penso non ci siano una ragione o una scelta particolarmente significative. Second Chapter è un concept, all’interno del quale il filo conduttore parte dai sogni premonitori di Baldr, per poi finire in “After The End”. I sogni di Baldr vengono narrati in “Reaper (Baldr’s Dreams)” che, come hai detto tu, è la traccia più lunga e sostanziosa: il tema è abbastanza lungo e articolato e per forza di cose non poteva essere raccontato diversamente. Devo precisare che in Ragnarok abbiamo raccontato l’evento della fine del mondo sempre secondo la mitologia norrena, condito da storie inventate, che però si adattavano perfettamente al contesto. All’interno di Second Chapter, invece, abbiamo trattato il Ragnarök inserendovi anche alcune storie che si possono leggere nell’Edda di Snorri Sturluson.

Dal punto di vista degli argomenti trattati all’interno di Second Chapter, si parte dalla rievocazione del mito legato al sogno di Baldr e ci si addentra in una materia sempre più oscura, fino a giungere alla fine vera e propria di tutto. Quale potrebbe essere un prosieguo dell’epos narrativo dei Bloodshed Walhalla?

Bene, bella domanda! Posso dirti che il terzo capitolo della saga sul Ragnarök che abbiamo deciso di affrontare è a buon punto. Abbiamo già registrato le basi e buona parte delle tastiere. Penso che tra non molto ci dedicheremo per qualche settimana esclusivamente alla linea delle voci. Non ti svelerò assolutamente il contenuto, ma ti assicuro che ci saranno sorprese dal punto di vista compositivo. I Bloodshed Walhalla si stanno evolvendo, sono più maturi e hanno ormai assunto una fisionomia personale. Agli inizi ci etichettavano come cloni dei Bathory, e posso dirti con fierezza che non ci disturbava assolutamente, l’ho sempre dichiarato. Ora però qualcosa è cambiato, i fan vogliono la nostra musica e se hai ascoltato Second Chapter avrai sicuramente notato che il sound e i brani in generale ormai ci appartengono al 100%. Da qualche parte addirittura ho letto di band che vengono paragonate alla nostra, quindi il futuro è viking ma made in Bloodshed Walhalla.

Facciamo ora un cospicuo salto indietro nel tempo: su internet leggiamo che la realtà chiamata Bloodshed Walhalla ha preso forma come cover band dei Bathory: è un’informazione esatta? Puoi spiegarci un po’ la genesi del progetto?

L’informazione è esatta: i Bloodshed Walhalla nascono nel 2006, ora ti parlo in prima persona, da una mia idea. Nel 2004, dopo la morte di Quorthon, mi venne in mente di formare una cover band dei Bathory, dato che adoravo la loro musica e conoscevo tutte le loro canzoni a memoria. Mi divertivo a suonare i loro pezzi con la mia chitarra acustica e mi convinsi che avrei dovuto cercare membri adatti per questo progetto. Purtroppo dalle mie parti all’epoca il viking metal era praticamente sconosciuto: non riuscii nel mio intento e intanto gli anni passavano. Nel 2006 decisi di fare tutto da solo, comprai il minimo indispensabile per attrezzare un home studio compreso di strumenti e iniziai a registrare le prime canzoni. La prima fu “One Rode To Asa Bay”: devo ammettere che venne una bomba. La postai su YouTube e iniziarono ad arrivare i primi messaggi di incoraggiamento. Ne seguirono altre e altre ancora. Potete trovare questi pezzi in una raccolta che ho pubblicato ed è tutt’oggi scaricabile tramite Bandcamp. A quei tempi avevo chiamato la band Bloodshed, ma dato che di band con quel nome ce n’erano tante decisi di rendere il moniker originale, aggiungendo una semplice parola che rendesse l’idea della band viking metal. Nacquero così i Bloodshed Walhalla. L’idea che Quorthon fosse morto e che non avrei mai più potuto sentire la sua musica mi spinse sempre più a comporre musica pensata alla stessa maniera del Maestro: le canzoni dei Bathory me le sarei fatte e sentite io. Dopo qualche mese, mi resi conto di aver scritto alcune tracce meravigliose e con tanto coraggio decisi di inciderle, con l’idea di farle ascoltare e giudicare. Dopo tre demo, dal 2008 al 2010, qualcuno notò la mia musica e decise di produrre il mio primo full-length, intitolato Legends Of A Viking. Secondo la stampa, Quorthon era rinato ed io ero al settimo cielo, ma non mi ero ancora reso conto di quello che avevo fatto. L’album era registrato in maniera pessima con strumenti mediocri, in uno scantinato dei vigili del fuoco dove lavoravo e mi dedicavo alla musica nei giorni di riposo, ma era tremendamente bello. Suonava viking, il puro viking. Legends Of A Viking venne recensito in tutto il mondo: così nacquero i Bloodshed Walhalla.

La tua devozione a Quorthon e compagni è stata esplicitata più volte e mi colpisce il fatto che tu abbia dedicato un intero album alle cover dei Bathory, anche in questo caso piuttosto corposo, mi riferisco a Tribute to Bathory, uscito nel 2017. Come mai hai deciso di dedicarti a un progetto del genere e proprio in quell’anno?

Come dicevo prima, Tribute To Bathory non è altro che una raccolta di cover registrate nel corso degli anni. La prima della lista fu “One Rode To Asa Bay”, registrata con un 8-tracce e strumenti veramente mediocri. L’ultima è stata la rielaborazione di “Hammerheart”, la conclusione di Twilight Of The Gods, che fu registrata in quell’anno e inserita quindi successivamente. Alcuni hanno recensito il tributo come un vero e proprio full-length ma per me non è così, non c’è mai stata una presentazione ufficiale. Si tratta semplicemente di cover che ho reso fruibili e scaricabili sulle varie piattaforme online. Comunque, a parte l’album di tributo, la devozione verso Quorthon è notevole e la si respira inevitabilmente nell’ascolto di ogni singolo album che abbiamo pubblicato fino a oggi. Ogni lavoro dei Bloodshed Walhalla è dedicato alla sua memoria e per sempre sarà così, ma questo non vuol dire che siamo i cloni o i nuovi Bathory come ci etichettano in continuazione. Noi siamo alla ricerca costante del nostro status, della nostra identità. Se all’inizio della nostra discografia ho sempre dichiarato di volermi sostituire agli ormai defunti Bathory, ora le cose sono un po’ cambiate. Penso che abbiamo raggiunto una certa padronanza delle nostre capacità e una esperienza tale da poter andare nella strada giusta e con le nostre idee. A conti fatti, chi recensisce Second Chapter e dice che siamo i cloni dei Bathory, come alcune volte mi sono trovato a leggere, si sarà sicuramente limitato ad ascoltare la nostra musica di molto tempo fa, senza ascoltare proprio nulla del nuovo lavoro. Sono andato fuori tema, è vero, ma ci tengo a precisare questo aspetto fino allo sfinimento!

Sappiamo molto bene come il patrimonio dei miti norreni rappresenti ormai da decenni una ricchissima fonte di ispirazione per molte band, ma il cliché vorrebbe che questo filone tematico fosse una prerogativa di artisti che si trovano nell’area scandinava. Cosa ti ha spinto a concentrarti proprio su queste tematiche?

È solamente una questione di gusti musicali: per me è musica tutto ciò che ascolti e ti fa venire la pelle d’oca. Oltre alla passione che ho sempre nutrito verso la mitologia in generale, il culto del mito e del fantastico, il genere musicale che suono suscita in me quelle sensazioni fortissime che altri tipi di musica non danno. Oddio, ascolto un po’ di tutto, il metal però mi attira maggiormente ed è proprio il viking che, in particolare, mi rende musicista e riesce a farmi esprimere al meglio tutta la creatività che ho dentro. Ormai è così da decenni, non posso e non riesco farne a meno, perciò non ho nessun interesse ad accantonare questo mio dono. Anzi, sto cercando in tutti i modi di mantenere in vita questo modo di suonare e comporre musica: quel sound sporco e grezzo, ma infinitamente melodico e pieno di pathos che ormai un po’ tutte le band che si etichettano viking stanno trasformando in ibridi tra generi che nulla hanno a che fare con ciò che è stato creato negli anni Ottanta. Provate a smentirmi.

La tua provenienza geografica si situa in quel di Matera. C’è qualche leggenda delle tue zone natie a cui sei particolarmente legato? Esiste qualche somiglianza palese tra i miti della tua terra e quelli norreni?

Dalle mie parti le leggende più affascinanti sono quelle che mi raccontavano sempre i miei nonni o gli anziani in generale: storie avvincenti e a volte anche particolarmente ostili per me, che all’epoca ero un bambino molto curioso. Ad esempio, cito il racconto sui licantropi — che nel nostro dialetto si chiamano u lupemb — in cui ognuno degli anziani asseriva di aver avuto un incontro ravvicinato con una di queste bestie. Oppure il monacello (u m’nacidd) che durante la notte ti saliva sulla pancia e non ti faceva respirare; se riuscivi a prenderlo, ti riempiva d’oro. Sono tutti racconti e leggende che effettivamente non hanno nulla a che fare con la mitologia: sono solamente credenze popolari caratteristiche che ogni paese può raccontare. Se poi vogliamo parlare di mitologia, dalle mie parti abbiamo avuto la dominazione dei Greci, che ci hanno insegnato tantissimo in materia. Sinceramente non ho mai approfondito, ho paura di dirti stronzate quindi mi asterrò dal parlarne. Rispondendo alla tua domanda, non riesco a trovare somiglianze tra due culture talmente distanti.

Una delle sensazioni frequenti che provo ascoltando i Bloodshed Walhalla è il desiderio di correre subito a cimentarmi in qualche impresa eroica: c’è qualche progetto, non importa quanto ambizioso, che ti piacerebbe portare a termine prima di venire convocato tra le mura del Valhalla?

Sono una persona molto semplice, con i piedi per terra e con la testa sulle spalle. Ho una famiglia, nella quale ci sono due figli da portare sul tetto del mondo. La mia impresa eroica sarà vedere loro realizzati, come ho fatto io. Poi dedicherò il resto della mia vita a ciò che gli eventi mi indicheranno. Quando ero ragazzino volevo fare tantissime cose, avevo tanti sogni, la voglia di spaccare il mondo per poi salvarlo. Con il tempo, si diventa più maturi e si vedono molte cose in un’ottica decisamente diversa. Comunque, prima di entrare nel Valhalla l’unica cosa di cui andrò fiero sarà la certezza che nella vita ho fatto veramente tutto, ho avuto tutto. E per averlo, ho combattuto e vinto da vero eroe.

Guardando invece a un futuro più prossimo, che cosa c’è in programma per i prossimi mesi?

Per quanto riguarda il nostro percorso musicale, è in ottimo stato avanzato il terzo capitolo della saga sul Ragnarök. Infatti devi sapere che dopo Ragnarok e Second Chapter ci sarà il capitolo finale. Di questo, però, non intendo parlare, perché sarà tutto da scoprire e non mancheranno news a riguardo. Per quanto concerne la band, ho comunicato qualche settimana fa che i Bloodshed Walhalla non si esibiranno più dal vivo, dato che non ci sono più membri disposti, sotto le mie condizioni, a supportare il progetto anche sul palco. Purtroppo penso che, per affrontare un percorso lungo e duraturo, tutti coloro che sono coinvolti debbano dare il 100% per la causa. Quando non sussiste più questa certezza, tutto va a farsi fottere, il che più o meno è quello che è successo nel periodo di pandemia che ci ha completamente penalizzato. In proposito non sono preoccupato o deluso, addirittura sono leggermente sollevato: i Bloodshed Walhalla sono nati come one man band e ora sono tornati semplicemente a essere ciò che erano.

Penso di aver già provveduto abbastanza a tempestarti di domande. In chiusura, ti andrebbe di consigliarci almeno una band che gli estimatori dei Bloodshed Walhalla potrebbero apprezzare?

Sarei banale se ti elencassi Bathory, Moonsorrow, Ereb Altor, Falkenbach, Windir e così via, perché un ascoltatore dei Bloodshed Walhalla ha già sicuramente e ampiamente ascoltato questi mostri sacri del panorama folk-viking. Quindi consiglierei ai fan di questi generi, soprattutto ai più giovani, di ascoltare un po’ più di underground nostrano. Ci sono delle realtà davvero interessanti. Vi ringrazio di cuore per avermi dato la possibilità di rispondere alle vostre domande. Ci vediamo presto!