L’universo di Cosmic Putrefaction
È ormai qualche anno che sono convinto del talento di Gabriele Gramaglia: dagli esordi a nome The Clearing Path a metà anni ‘10 alle più recenti fatiche come Turris Eburnea, la sua crescita è stata verticale. A 2021 inoltrato, Gramaglia conta tre gruppi attivi: il suo progetto death metal solista Cosmic Putrefaction, Turris Eburnea insieme a Nicholas McMaster dei Krallice e Vertebra Atlantis, in cui milita come chitarrista e cantante e il cui debutto, Lustral Purge In Cerulean Bliss, uscirà a metà novembre su I, Voidhanger ed è il mio disco preferito del 2021.
Oltre a questi, c’è una serie di altri impegni sospesi in modo più o meno indefinito, e abbiamo approfittato di una delle prime sere di frescura ottobrina per sederci a un tavolo insieme e fare il punto della situazione su tutto ciò che ruota attorno al musicista milanese. Non troppo inaspettatamente, oltre che musicista prolifico Gabriele è anche molto loquace, e con entusiasmo mi racconta subito di un’idea che gli sta molto a cuore: «Sto cercando di tirare su uno studio di registrazione, è un’idea abbastanza ambiziosa che sto portando avanti con un’altra persona che ho incontrato proprio durante la ricerca dello spazio». Una ricerca che va avanti da tre anni: «Ho scoperto che i capannoni costano troppo [ride], e nel frattempo ho conosciuto questa persona che sta cercando uno spazio per mettere in piedi una sala prove, e abbiamo deciso di continuare a cercare insieme. Ci piacerebbe riuscire a realizzare uno spazio polifunzionale con studio e sala prove».
Effettivamente il progetto è molto ambizioso, soprattutto in un Paese che tiene in grande considerazione la musica e le arti in generale come l’Italia, ma è vero che un luogo di aggregazione di questo tipo, pur in una città grande come Milano e i suoi dintorni, non c’è. Prima di lavorare come produttore, però, Gabriele è un musicista che fin dall’adolescenza si è sempre tenuto impegnato con un sacco di iniziative, e quando gli chiedo di rivelarmi un po’ da dove ha cominciato inizia a raccontare: «Prima di concentrarmi su Summit e The Clearing Path io avevo due band vere, e una addirittura a posteriori posso considerarla il proto-Cosmic Putrefaction. Si chiamava Oaken/Throne, era una roba un po’ più alla Dismember che avevamo messo in piedi nel 2011 io e un ragazzo del collettivo dello Sga di Arese, ma avemmo un sacco di problemi di line-up e pur avendo una scaletta pronta da suonare non facemmo mai uscire nulla ufficialmente, se non una demo di due pezzi che oggi sono su YouTube e che finirono poi anni dopo totalmente rielaborate sul primo album di Cosmic Putrefaction, At The Threshold Of The Greatest Chasm. L’altro gruppo invece era abbastanza diverso, si chiamava Thy Solace ed era più vicino all’hardcore alla Converge, e infatti lo creai insieme all’allora cantante della band hardcore A Faded Glory, un ragazzo che faceva parte della cricca dello Sga e che attualmente è dietro il microfono degli Øjne, la band screamo».
Da due band pronte a suonare dal vivo ad anni di progetti solisti registrati in solitaria però c’è una bella differenza. «Eh. Un’estate, non ricordo se fosse il 2012 o ‘13, entrambi i gruppi si sciolsero nella stessa settimana. E poi io non ho mai avuto la smania di suonare dal vivo, ce l’avevo a sedici anni, poi gli anni passavano e non riuscivo mai ad avere una formazione stabile, quindi quella dal vivo è una situazione che non mi sono mai davvero goduto appieno». E quindi una volta naufragate le due band, è rimasta l’opzione cameretta: «Parte di quella roba hardcore me la sono portata dietro, i Converge sono un gruppo che mi piace sempre e infatti un brano dell’EP di Thy Solace è finito nel primo Clearing Path, ma volevo spostarmi verso l’atmospheric black metal». Insomma, nessuno dei suoi album si è generato dal nulla, anzi tutti hanno delle radici ben definite, ma anziché salire sul palco Gramaglia ha cominciato a sedersi in cabina di regia: «Alla fine ho deciso di iscrivermi a un corso alla Civica scuola di musica di Milano e iniziare a studiare per fare il fonico, così da sapere davvero quello che facevo e poterlo fare da solo. All’epoca non sapevo fare un cazzo, quindi mi sono messo a studiare». Insomma la scuola di tecnico del suono è venuta prima della composizione? «Sì, prima volevo capire come si fa, poi ho scoperto che alla Civica c’era anche un corso di composizione non tradizionale, ma di composizione applicata, e mi sono iscritto. Devo davvero tantissimo alla scuola, anche per quanto riguarda lo sviluppo dei miei progetti solisti».

Oltre che della formazione didattica, la musica di Gabriele è anche e soprattutto figlia di una passione che non è mai appagata: «Se fosse per me farei una band al giorno e un album al giorno, c’è troppa roba che vorrei provare. È vero anche però che con Cosmic Putrefaction mi sembra di avere trovato una dimensione più solida, laddove invece The Clearing Path è stato un passaggio durato relativamente poco e ho cambiato quasi subito genere. E devo confessare che tutto quello che ho fatto è sempre andato di pari passo con l’allargamento del mio network. Man mano che facevo cose entravo in contatto con sempre più persone, e tutte loro mi hanno dato dei riscontri, e anche degli aiuti, sulla mia musica». E infatti il primo Cosmic Putrefaction è stato cantato da Brendan Sloan (Convulsing), tanto per dirne una, mentre Gabriele imparava a cantare. «Ho fatto una masterclass di canto con Enrico Di Lorenzo degli Hideous Divinity, che di professione è foniatra, e alcune cose che ha spiegato durante il corso mi hanno aiutato molto, e man mano che prendevo consapevolezza ho capito che tramite Cosmic Putrefaction potevo esprimere qualcosa di più solido rispetto a prima, quando cambiavo idea ogni due secondi». Per ora quindi Cosmic Putrefaction è qui per restare? «Esatto. È un po’ complicato per me parlare di questo perché non è chiarissimo il meccanismo che mi porta a decidere che disco fare, ma è come se con questa band avessi trovato un terreno sufficientemente solido su cui poter tornare ed elaborare cose diverse, ma partendo sempre dalla stessa matrice. Con The Clearing Path invece, per esempio, mi ero reso conto che andando avanti ne avrei cambiato troppo i connotati e non avrebbe avuto più troppo senso, per cui ho preferito dedicarmi ad altro».
A Turris Eburnea, per esempio. Il progetto a due con il bassista dei Krallice, Nicholas McMaster, è uscito in primavera per la bresciana Everlasting Spew, ed è con tutta probabilità l’EP migliore che un ascoltatore di death metal possa ascoltare quest’anno. «Pensare che io non sono un tipo da EP, preferisco di gran lunga un album, una narrazione completa». E allora come mai solo quattro tracce e venti minuti? Troppi impegni? «Logistica. Io e Nicholas volevamo fare il nostro disco della pandemia. Concepito in quel momento lì, registrato in quel momento lì, pubblicato in quel momento lì, che fosse riconoscibile e individuabile chiaramente come un lavoro legato a un periodo molto specifico, quello del primo lockdown. Quindi pensavamo non ci sarebbe stato il tempo di fare qualcosa di più lungo. A posteriori ovviamente l’avremmo fatto, visto che la pandemia è durata un anno e mezzo e forse non è ancora del tutto finita, ma non potevamo saperlo. Però abbiamo avuto un workflow che è difficile riuscire a replicare. Parliamoci chiaro: ci sono tanti musicisti bravi, ma Nicholas è un fuoriclasse. Che ne so, come possono essere gli Ad Nauseam, ci sono quelli bravi, e poi ci sono quelli come Matteo Gresele che sono fuoriclasse, giocano in Champions League. Nicholas è uno di questi, gli mandavo i riff e tornavano indietro che erano un’altra cosa. Ci sono tanti bassisti bravi che arricchiscono le proprie linee, ma lui lo fa a un livello che è una roba per pochi, il suo contributo è allucinante. Mi piacerebbe lavorarci assieme un’altra volta se ci sarà occasione. Vedremo».
Con così tanti gruppi attivi una domanda sorge spontanea: non c’è troppa gente che pubblica troppa musica? Non si sta perdendo l’idea di lavorare di fino a un album, cercando di confezionare un lavoro che sia il migliore possibile, a favore invece di una continua pubblicazione di materiale spesso non rifinito, se non proprio riciclato? Marginalmente, ne parlavo già l’anno scorso. «Partiamo dal presupposto che se c’è uno che non può dire alla gente di far uscire meno dischi quello sono io. Detto questo, bisogna trovare un equilibrio, perché anche la gente che rimesta troppo lo stesso materiale e lo pubblica molto tempo dopo averlo concepito rischia di commettere un errore, c’è il pericolo che poi il disco non funzioni. Poi ci sono mille sfumature, non è sempre vero, prendi il caso proprio degli Ad Nauseam o dei Nero Di Marte che ci mettono centomila anni a fare un disco. Io invece, che non sono una persona istintiva, ho trovato una certa istintività nel mettere insieme un album. Quando inizio a lavorare a un disco, dal momento in cui comincio a dedicarmici a quando termino di scriverlo, passano di solito due o tre mesi. Preferisco prendere un argomento e spolparlo fino all’osso nel più breve tempo possibile, finché sono concentrato. E poi i dischi sono come la mozzarella: scadono. Se io inizio a scrivere qualcosa oggi e finisco tra due o tre anni, tra due o tre anni quello che ho fatto oggi magari non funziona più, perché cambiano tante cose. Cambiano gli stimoli che ricevi, cambiano le reazioni che hai agli stimoli che ricevi, cambia tutto, quindi io cerco di esaurire le cose nel più breve tempo possibile. Poi a volte anche io esagero dall’altra parte, ci sono notti in cui fatico a dormire, metto il mondo intorno a me in pausa, però preferisco lavorare così».

Da un gruppo all’altro, arriviamo all’ultimo (per ora): Vertebra Atlantis. Come accennavo in apertura, Lustral Purge In Cerulean Bliss esce tra pochi giorni su I, Voidhanger ed è un album pazzesco. Dopo anni di totale controllo o al massimo collaborazioni a distanza, Gabriele torna ad avere una band vera e propria, a condividere il lavoro con un batterista e cantante, Riccardo Rijillo (HomSelvareg) e un bassista, Vrangr. «La band è nata come progetto mio e di Riccardo degli HomSelvareg, originariamente volevamo fare dark ambient a tema cosmico. Però non quel cosmico come lo intendono i Blood Incantation». E come lo intendono i Blood Incantation? «Con quella prospettiva spiccatamente retro sci-fi, con astronavi e viaggi alieni, UFO e incontri extraterrestri. Io non ho particolare interesse per quelle cose». L’approccio di Gramaglia sembra un po’ più astratto, e infatti mi verrebbe da dire più Ad Nauseam, per nominarli ancora una volta, che non Blood Incantation. «Sì, sì, assolutamente, esatto. Lo specifico perché tante volte mi è stato detto di una mia affinità coi Blood Incantation, e io invece vorrei un po’ smarcarmi da questa cosa, anche se di loro Starspawn mi piace molto, ma vorrei distanziarmi un po’ da questi paragoni, cerco di affrontare più l’aspetto esoterico ed esistenzialista del cosmo, che non quello materiale e alieno». Niente alieno in copertina quindi sul prossimo Cosmic Putrefaction, ma neanche sull’album di Vertebra Atlantis, la cui illustrazione è di Vama Marga: coerentemente, autore anche del dipinto in copertina di Imperative Imperceptible Impulse, il più recente disco degli Ad Nauseam. «Lo spazio è un luogo indefinito, di silenzio, tarkovskijano, che raffigura delle epopee interiori. A me è quella roba lì che interessa raccontare».
Insomma, premesse spaziali per questa nuova avventura. «Volevamo fare qualcosa che avesse echi di Kosmische Musik, Klaus Schulze eccetera. Però, banalmente, oh, quella roba lì non la sapevamo fare. Avevamo delle belle idee, ma non le sapevamo realizzare. Usavo un MS-20 della Korg, con cui si possono fare cose pazzesche, che hanno usato anche per la colonna sonora di Dark, la serie Netflix, ma io più che girare le manopole non ero in grado di fare». Il progetto è rimasto arenato per un po’, fino a che non è stato stravolto tutto: «Alla fine ci siamo detti: io suono la chitarra, tu la batteria, proviamo a fare una jam e vediamo cosa esce. Così abbiamo scritto concept e testi insieme e provato a cantare insieme, e ho scoperto che Riccardo è anche un cantante pazzesco. Chi cazzo lo sapeva che cantava così, ha una gamma di voci incredibile, parlato, urlato, growl, scream, pig squeal, tutto. E questa varietà di voci è perfetta per i testi di Vertebra Atlantis, in particolare per quelli che ha scritto lui, che sono soprattutto nella prima parte del disco. Aveva queste bozze, che inizialmente voleva mettere in strofe, ma quando me le ha fatte vedere ho detto assolutamente no, devono rimanere così perché sono una figata». Quindi il concept è nato da un vostro scambio di idee? «Sì, abbiamo cominciato riorganizzando gli spunti di cui volevamo parlare, e ne è uscita questa specie di purgatorio astratto, che poi Vama ha messo in copertina. È un album che abbiamo costruito insieme, come una band vera e propria».
La dimensione attuale però secondo Gabriele è ancora perfezionabile: «Vorrei che fossimo un po’ più gruppo di quanto non siamo. Ok che c’è stata la pandemia nel mezzo, però dopo diverse peripezie siamo riusciti a coinvolgere Vrangr al basso, e vorrei che riuscissimo a trovarci di più. I primi tre pezzi li provavamo quando eravamo un duo, senza in realtà sapere come sarebbero davvero usciti quando avessimo avuto una band completa, gli altri non li abbiamo mai provati, nemmeno una volta che siamo diventati tre». Quindi alla fine il metodo di lavoro non è stato tanto diverso da quello di Turris Eburnea. «No, esatto, è stato simile a Turris in fondo, per questo mi piacerebbe che ci beccassimo in sala prove più spesso. Adesso che la pandemia sta permettendo di fare un po’ più di cose, di trovarsi, non lo stiamo facendo, e un po’ mi dispiace. Abbiamo provato a fare qualcosa con Jamkazam, l’app per jammare in remoto, però è impossibile da gestire, sei sempre fuori tempo. Vedremo come gestire la situazione una volta che il disco sarà fuori».
Magari ricomincerai a suonare dal vivo, come quando eri un ragazzino? «Non lo so. Io non è che sia un mito con la chitarra, correggo tanto in produzione, non sono mica come Erik Rutan che prova e registra perché tanto è buona la prima. Io tante volte non aspetto nemmeno di impararli, i miei pezzi, prima di registrarli». Un po’ come i Summoning, che si sentono più compositori che musicisti, e che non suonano live perché tanto non sarebbero in grado di riproporre cose che hanno registrato anni fa, visto che non le hanno mai imparate. «Idem, stessa cosa per me. Dei riff dei vari Cosmic Putrefaction mi ricordo a malapena quelli principali. Dovrei reimparare tutto da capo. Guarda, “The Glooming Murk…”, un brano da The Horizons Towards Which Splendour Withers, è veramente difficile da suonare. L’altro giorno l’ho ripreso in mano senza le tab davanti e mi sono detto ma come cazzo si fa ‘sta roba». E con Vertebra Atlantis? «I primi tre pezzi li so suonare, li ho provati di più in effetti». D’altronde fa parte dell’essere una band, dell’ecosistema-gruppo, in cui devi portare il tuo contributo, parlarne con qualcun altro, rimaneggiarlo, lavorarci per più tempo. «Esatto, e vorrei che diventassimo una band che si trova a prova e si gasa perché è in grado di suonare il proprio repertorio alla perfezione. Quello mi piacerebbe tantissimo. Speriamo di farcela».
Dopo Vertebra Atlantis? Tornerai all’ovile con un nuovo Cosmic Putrefaction? «Il disco è pronto al 98%. Già completamente scritto e registrato, tranne la batteria perché questa volta ci sarà un batterista vero». Niente più batteria programmata quindi? «No, stavolta ci sarà Giulio Galati (Nero Di Marte, Hideous Divinity) in studio a registrare». Si prevedono mazzate.