La storia dei Defacement | Aristocrazia Webzine

La storia dei Defacement

Per me, l’album omonimo dei Defacement è stata una delle più liete sorprese del 2021. Pubblicato da I, Voidhanger, Defacement è un perfetto miscuglio di death e black metal, inquietudine, malinconia e tumulto che arriva dritto dall’abisso. Ho rintracciato Khalil, uno dei due membri fondatori nonché chitarrista della band ora di stanza a Utrecht, per farmi raccontare la genesi del progetto, la sua storia e i suoi piani futuri.

Partiamo dall’inizio: quello dei Defacement è un nome ancora relativamente sconosciuto, ed è difficile trovare informazioni che vi riguardino sul web. Come presenteresti la band a uno sconosciuto?

Non la definirei una band metal, o black o death metal. Defacement per me e per noi è qualcosa a cui chiunque può relazionarsi, chiunque può potenzialmente connettersi alla narrazione alle spalle della musica.

Seguendo le briciole online, sembra che la band sia nata come progetto parallelo del gruppo black metal Deathcrush, originariamente nato in Libia e poi trasferitosi in Ucraina, Germania e infine nei Paesi Bassi… È corretto? Posso chiederti qual è la tua storia?

Io e Ahmed [basso e voce] ci conosciamo da anni, fin dai tempi della scuola. Ci siamo trasferiti a studiare in Ucraina, dove ci siamo laureati e abbiamo capito che non potevamo rimanere perché non è sicuro per gli stranieri non bianchi, oltre a non esserci possibilità per una carriera da musicista professionista, a differenza dell’Europa, dove ci sono studi e opportunità professionali. Per farti un esempio, in Ucraina mi è stato vietato di esibirmi in tutto il paese perché non sono bianco.

Metal-Archives parla di Defacement e Deathcrush come di terzetti. Il terzo membro, oltre a te e Ahmed, è il batterista Mark “Bestia” Dal Pastro (Inverted Matter, Earth And Pillars e tanti altri). Come siete entrati in contatto?

Ho cercato musicisti per tre anni, qui in Olanda, ma non ho trovato nessuno. Ho trovato Marco su Facebok, gli ho mandato una richiesta di amicizia e detto che stavo cercando un batterista, lui mi ha risposto che era interessato e da allora facciamo musica insieme.

Avete pubblicato due album, Deviant è stato autoprodotto nel 2019, mentre Defacement è uscito per I, Voidhanger nel 2021. Entrambi sono ottimi esempi di death metal oscuro, dissonante e zozzo: quali sono le principali differenze tra i due dischi, e quali le loro somiglianze?

Mark ha registrato la batteria per il secondo album dei Deathcrush, in quel periodo io ero in un momento molto incasinato mentalmente, psicologicamente e fisicamente, e questo stato mi portava a rifiutare la maggior parte di ciò che mi circondava e odiare tutto nella vita. Quando provavo ad ascoltare musica in quel periodo, tutto suonava allo stesso modo. Sempre la stessa gente, gli stessi blast-beat black metal e gli stessi tre accordi, migliaia di band che suonano e sembrano uguali e compensano la loro mancanza di idee e pratica con un atteggiamento o ideologie politiche radicali in cui la musica è solo rumore di sottofondo per i loro sproloqui, giudizi e odio gratuito. Volevo scrivere qualcosa che avesse la mia impronta, il mio tono e che raccontasse il mio punto di vista, volevo riversare le mie emozioni nella musica. È così che è stato registrato Deviant, con la batteria che Marco aveva registrato per la seconda uscita dei Deathcrush. L’album non ha testi, le urla erano più una descrizione di uno stato in cui l’ascoltatore si può riconoscere. C’erano delle idee per i testi, ma erano idee nella mia testa che alla fine ho tenuto per me e non ho voluto condividere.

Defacement, invece, è nato in un periodo durante il quale l’aggressione sociale era arrivata a un livello difficile da sostenere. Questa situazione mi ha dato convinzione, mi ha reso più forte e più motivato a creare musica ed essere me stesso. L’album non è incentrato sulle solite cazzate che senti di solito in questa musica, ma cerca di essere una narrazione e una descrizione di uno stato d’animo in cui mi trovavo in quel periodo, e anche una sorta di testimonianza di incidenti che sono accaduti realmente e ai quali in futuro guarderemo con orgoglio.

Concettualmente parlando, il nome della band è piuttosto esplicativo, ancora di più se in combinazione con l’illustrazione rosa e super d’effetto di Dusty Ray del 2018. Come siete arrivati a quel dipinto?

Uno dei motivi importanti per cui i Defacement sono i Defacement è che io e Ahmed abbiamo vissuto in luoghi, a contatto con culture e in continenti diversi. Ovunque andassimo c’era sempre un gruppo di fanatici a cui piaceva il suono della propria voce, gente desiderosa di metterci in bocca parole non nostre. Ci siamo sempre trovati ad avere a che fare con qualche tipo di superiorità religiosa, razziale o morale sbandierata nei nostri confronti e tutti hanno sempre voluto darci lezioni e insegnarci come vivere le nostre vite. Ecco perché il nome della band è Defacement. È il nostro modo per dire a quelle persone che anche se fossimo d’accordo con loro non gli daremo mai la soddisfazione di leccargli il ​​culo e vivere secondo i loro standard, il nostro modo per dire che nessuno è un esempio morale per noi. Fino a quando non capisci che non sei migliore degli altri e che quello che hai in testa non è un lasciapassare per scaricare le tue abitudini infelici sulle persone solo perché sei un miserabile stronzo e vuoi dimostrare qualcosa, noi andremo avanti per la nostra strada. A proposito di Dusty Ray: sì, l’artwork è fantastico. Vorrei poter ridecorare la faccia di qualcuno in quel modo. [ride]

Sia Deviant che Defacement sono album molto intimi e personali. Tutto sembra puntare verso l’interno, verso un disagio interiore, verso gli orrori della mente, e questo si nota ancora di più leggendo i testi di Defacement. Questo mi ha ricordato molto il progetto solista di Brendan Sloan, Convulsing, e non posso dire di essere rimasto sorpreso quando ho scoperto che era ospite nell’ultima traccia di Defacement, “Wounded”, come cantante. Come è nata questa collaborazione?

Brendan è un amico. Gli ho chiesto di occuparsi delle voci su un brano e siamo tutti molto felici che abbia accettato, perché il risultato è fantastico.

Come dicevo, i vostri testi sono molto intimi, a tratti fortemente nichilisti (“Full of nothing… Empty of everything”), e le tue risposte precedenti non hanno fatto che confermarlo. Ti piacerebbe entrare un po’ di più in dettaglio e raccontare da dove arrivano quei versi?

I testi di Defacement parlano di una lotta interiore, e andando avanti a leggere fino all’ultima traccia, “Wounded”, si arriva al punto in cui il protagonista è quasi fuori dal tunnel.

Siete una band piuttosto “silenziosa” online: pochi post, poche interviste, comunicate solo le informazioni essenziali… È una scelta voluta o solo frutto del caso? Quanto pensi sia importante la capacità di comunicare la tua musica, nell’era digitale?

Il nostro obiettivo è soltanto la musica. Non vogliamo metterci in mostra. Non ci piace l’idea di fare un sacco di post per spingere le persone ad ascoltare o comprare i nostri album. Non è vero che siamo silenziosi, abbiamo un buon supporto ad ogni uscita e, a giudicare dal fatto che abbiamo degli album completamente sold out, pensiamo che la comunicazione sia buona. La cosa più importante per noi è condividere l’idea che sta alla base dei Defacement, piuttosto che vendere, postare o socializzare.

Che piani avete per il prossimo futuro?

Abbiamo un nuovo album pronto per essere registrato a breve. La musica è scritta e lo stiamo provando in questo periodo, entreremo in studio tra non molto.