Guerra, morte e distruzione: l’assedio alla vita degli Hierophant
Il Feast For The Equinox organizzato da Burning Tower al Supermarket di Torino, in occasione dell’ingresso dell’autunno, è stata l’occasione per fare quattro chiacchiere con alcuni degli artisti che si sarebbero esibiti quella sera. Nel mio caso, ho pensato bene di rompere le palle agli Hierophant, quartetto death-black belligerante e sulfureo di cui avevamo già scritto in passato. Il loro ultimo Death Siege (Season Of Mist, 2022) è stato tra i nostri album italiani preferiti dello scorso anno e questa estate al Frantic Fest avevano fatto un’ottima impressione sia a me che a M1. Una chiacchierata, insomma, era obbligatoria: ecco com’è andata l’incursione nel backstage con Lorenzo (voce e chitarra) e Fabio (chitarra) — per chi non soffre di cuore, in coda c’è anche la versione video dell’intervista, realizzata con il prezioso aiuto della nostra Francesca.

Allora ragazzi, partiamo subito dalle basi, dalle cose più semplici: nel caso qualcuno non vi conoscesse, chi sono gli Hierophant?
Lorenzo: Gli Hierophant sono una band death-black metal nata nel 2010 con tutta un’altra formazione e tutto un altro genere. Una band che ha avuto tutta un’evoluzione e un enorme cambiamento per arrivare a quella che è adesso, appunto una band death-black metal.
Hierophant del 2010, Aristocrazia è del 2009. Anche noi abbiamo avuto un sacco di cambi in redazione, a voi cambi in formazione. Come sono andati questi tredici, quattordici anni di attività?
L: Credo che non possiamo lamentarci, sono andati molto bene. Diciamo però che quello che rappresenta il passato, per quanto mi riguarda personalmente, non dico che sia da cancellare assolutamente ma non fa più parte di questa realtà. Considero gli Hierophant da un certo punto in poi una nuova band, è andato tutto molto bene in realtà.
Restando sulla questione formazione, una curiosità personale: il vostro batterista storico, Ben Tellarini, risulta ancora stando all’internet parte della formazione però non sembra essere attivo sui dischi.
L: Non lo è, succede che nella realtà dei fatti Ben non è più parte della band. Magari i siti non sono aggiornati…
Fabio: In realtà non abbiamo mai comunicato nulla, quindi…
L: Non è più nella band. è rimasto nella band fino a Death Siege, che poi è l’ultimo disco. Da quando la band ha ripreso l’attività live, per svariati motivi personali suoi abbiamo deciso di dividere i percorsi in amicizia. Resta per noi il nostro batterista storico.
Parlando di Death Siege, è il vostro ultimo album e voi avete comunque una discografia abbastanza nutrita. Avete debuttato su Demons Run Amok, poi su Bridge Nine e alla fine siete approdati su Season Of Mist. Com’è andato il vostro rapporto con le etichette?
L: Demons Run Amok onestamente non mi ricordo. Dopodiché, sostanzialmente è stato un mandare in giro le demo. Con Bridge Nine mandammo demo a chiunque, anche a Bridge Nine stessa pur sapendo che era una realtà completamente al di fuori del nostro rango, però loro si innamorarono della band e nacque il rapporto lavorativo. Con Season Of Mist successe che il boss dell’etichetta venne a vederci mentre eravamo in tour con Mutilation Rites. Eravamo a Marsiglia, dove ha base l’etichetta: venne a vederci, ci sentimmo via mail e passammo con loro, che era decisamente più coerente con quello che stava succedendo.
Visto che comunque siete abbastanza navigati, siete approdati a Season Of Mist: che consiglio dareste a band emergenti che vogliono trovare un’etichetta o band che stanno andando avanti e faticano per trovare un’etichetta?
F: Tendenzialmente di non scrivergli. Almeno per la mia esperienza, sia musicale che lavorativa che altro, è molto difficile che tu riesca a farti sentire nel rumore di fondo anche se sei molto valido. Io credo che abbia più senso investire tempo e risorse in suonare in giro o in altri ambiti… lavorare attivamente, far uscire i propri progetti, anche perdendoci o andando in pari all’inizio se va bene. Facendosi vedere più possibile, ci vuole un po’ di fortuna ovviamente. Perché se Michael [Berberian], il capo di Season Of Mist, quella sera avesse avuto mal di testa, non sarebbe venuto e molto probabilmente non sarebbe successo niente.
Come invece è successo, si è allineato tutto e le cose sono andate per il meglio, ma è un po’ un mix di cose. Credo che comunque sia molto più importante portare uno show che sia il più personale e professionale possibile, arrivare preparati e non solo suonare bene, ma avere dei suoni che abbiano un suono riconoscibile. Ti faccio un esempio italiano: i Messa, li vedi e dici «sono loro». Come spero anche quello che facciamo noi dal vivo sia molto riconoscibile sia come suono che come impatto, come estetica, playing, tutto l’insieme di cose. Credo che quella sia la prima cosa da ricercare e il resto inizi a succedere un po’ di conseguenza.
Death Siege ha da poco compiuto un anno. A un anno di distanza c’è qualcosa che vi lascia perplessi? Siete convinti o fareste qualcosa diversamente?
L: Per la prima volta nella mia vita posso dire no. È stato un disco con un processo estremamente travagliato, in quanto è stato scritto interamente in era Covid, quindi puoi immaginarti tutte le difficoltà del caso che ci sono state. Però probabilmente grazie a questo, al fatto che siamo riusciti ad avere un focus al 110% sul disco… È strano perché io sono critico di natura e soprattutto su me stesso, sulla nostra musica. Da main composer ho sempre riascoltato i dischi e pensato: qui potevo fare questo, lì quell’altro, sempre essendo contento. Su Death Siege sono veramente soddisfatto al 100%, a prescindere da quello che può pensare l’audience che onestamente mi interessa fino a un certo punto, perché questo è stato proprio un disco più per noi, non so come dire. Può risultare un po’ egoistica la cosa, ma non mi interessa.
F: Riallacciandomi a quello che ho detto prima e che ha detto Lollo, è stata la prima volta che abbiamo detto: non ce ne frega un cazzo, facciamo quello che vogliamo. E da lì in poi ha iniziato a succedere il finimondo di cose. Per dire, invece di pensare a scrivere ciò che fanno gli altri, fai esattamente quello che per te ha senso, che può essere anche una merda, e così tutto si è messo in moto. Quello che abbiamo fatto quest’anno non l’abbiamo mai fatto prima. Niente ci fa pensare che le cose non continueranno ad andare su questa linea.
Io ve lo auguro. Il processo creativo è sempre in una certa misura egoistico, perché deve partire da una soddisfazione personale. Se non convince prima l’artista, non può convincere altri e poi insomma chi se ne fotte se non convince gli altri. Su Aristocrazia è stato uno dei dischi del 2022 e voi avete girato un po’ dopo l’uscita. Come è stato percepito dall’esterno? Come l’avete visto vissuto dalle persone che vi hanno visti live?
L: Io personalmente ho avuto l’impressione che finalmente abbiamo fatto gol. Seguendo tutti questi crismi che abbiamo citato, del tipo freghiamocene, facciamo quello che ci piace e bla bla bla, ho avuto questa impressione. Mi hai fatto pensare un po’ ai risultati che abbiamo raggiunto quest’estate, che è stata un’estate che voglio definire gloriosa per la band. Abbiamo calcato i maggiori palchi europei, mondiali per certi sensi, e credo che tutto il successo sia dovuto a svariati fattori ma mi auguro anche alla nostra musica. Quindi mi auguro che Death Siege abbia colpito nel segno.
Stasera siamo qui a Torino, al Supermarket, per la seconda edizione del festival del Burning Tower. Suonate assieme a tanti altri gruppi validi, tutti italiani, quindi anche una bella situazione da questo punto di vista. Come vi sembra l’atmosfera del fest?
F: Deve ancora iniziare, non lo so. No scherzo, credo abbia molto senso. I ragazzi vogliono dare non un concerto quanto più un’esperienza, proponendo diverse cose che magari a un primo sguardo non hanno nulla in comune, ma hanno un filo conduttore come mood, che può essere un po’ estremo. Ci saranno un po’ di performance di persone che fanno cose estreme.
L: Mi sembra volutamente un evento volto all’estremismo preso dai vari fronti, quello musicale come dell’arte in generale.
Ecco, arte visiva e performativa, musica, a 360°. Prima di chiudere, una domanda avendo parlato dell’anniversario di Death Siege: a breve ricorre l’anniversario della scomparsa di un artista importante della scena non italiana ma mondiale, fondamentale, con cui avete avuto a che fare in una certa misura sia come band sia tu come artista, Timo Ketola.
L: Mi è venuta la pelle d’oca, guarda.
Lo so, non volevo tirarla in ballo ma ho scoperto che avete collaborato.
L: Ci sta, andrebbe citato ogni giorno per quello che ha fatto.
Esattamente, visto che tu hai avuto un rapporto diretto, mentre io l’ho conosciuto di persona ma ci ho avuto a che fare indirettamente. A quasi un anno di distanza, un tuo ricordo di Timo?
F: Noi ci abbiamo lavorato sia come Hierophant che con una sorta di ‘zine svedese chiamata Bardo Methodology. Io e Niklas [Göransson] ci siamo conosciuti uno squasso di anni fa. Senza nessun tipo di motivo mi è piaciuto e l’ho aiutato dal giorno uno senza chiedere mai niente in cambio, perché mi piaceva. È diventata quella che mi sembra di capire una delle riviste del genere più seguite e rispettate al mondo. Tra l’altro, ne approfitto per dire che di recente Niklas ha lanciato nel sito una specie di Patreon interno dove lo si può supportare, perché lui non fa advertising o altre robe che compromettano la sua integrità, ma allo stesso tempo vive anche di quello. Tornando a Timo, io lo conobbi perché ha fatto foto ai Watain. Poi scoprii che lui viveva in Italia e parlava italiano come noi… quindi gli abbiamo scritto subito, all’inizio ci parlavamo in inglese perché non è che con un finlandese ci parli in italiano.
Ci incontrammo a una fiera del tatuaggio a Bologna, lui lavorava a Roma in uno studio e niente, facciamo delle chiacchiere informali e lui aveva uno sketchbook, ha iniziato a paciugare sopra e fa: guarda, io ho pensato a questo. Praticamente era una bozza della copertina di Spawned Abortions, un 7″ che abbiamo fatto uscire tra Mass Grave e Death Siege, un pezzo più una cover dei Bolt Thrower per far capire un po’ dove stavano andando le cose. Fu una copertina incredibile. Dopo di quella, lui mi fece come ringraziamento uno ierofante che a oggi è inedito e che abbiamo nel nostro archivio, nessuno l’ha mai visto. È stato molto triste, non c’è altro da dire, però ha fatto tantissime cose che tutti quelli che sono interessati nel genere tengono molto in considerazione, si ricorderanno sempre. Sicuramente lui c’è, ha lasciato un segno.
Ha lasciato un segno e un percorso incalcabili da altri, per quanto mi riguarda. Per chiudere, in ultimissima battuta: cosa ci possiamo aspettare dal futuro degli Hierophant? Che cartucce ci sono da sparare?
L: Total chaos. Mi fermo qua.
Guarda l’intervista qui: