JANVS
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Con la recente rivisitazione del loro demo d’esordio “Nigredo”, gli Janvs sono tornati a far suonare i nostri impianti con le loro inconfondibili sonorità. Non poteva quindi esserci occasione migliore per risalire direttamente alla fonte e scambiare due parole con Matteo Barelli, mastermind del progetto genovese.
Iniziamo coi fatti più recenti: gli Janvs, come i lettori (spero) sapranno, hanno da poco dato alla luce un’originale riproposizione del demo d’esordio “Nigredo”. Da dove nasce questa scelta dopo tutti questi anni di silenzio? M’è parso di capire che è un’idea che ti frullava in testa già da tempo.
Matteo: Già dopo “Fulgures” mi sarebbe interessato intraprendere questa ri-registrazione. Ho sempre percepito il demo originale come un qualcosa di incompleto, frustrato da troppi limiti contingenti, a cui desideravo dare una dignità diversa in modo da poter essere annoverato a pieno titolo nella nostra discografia. Poi il progetto fu di volta in volta dilazionato, oppure imbastito e poi abbandonato, proprio perché c’erano altre cose più pressanti da gestire. Dopo un lungo periodo di inattività, coronare finalmente questo obiettivo ci sembrava il modo giusto per rimetterci in moto, chiudendo un ciclo su se stesso.
Cinque anni di silenzio sono lunghi, possiamo considerare “Nigredo” un rientro in scena degli Janvs? Non che foste mai scomparsi ufficialmente, ma la vostra assenza aveva fatto pensare che probabilmente l’esperienza Janvs fosse giunta al termine.
Succederà quello che deve succedere. Non ci sentiamo parte di nessuna “scena” e non vediamo l’obbligo di scrivere programmi nella pietra. Può benissimo essere che un album nuovo esca tra un anno, che esca tra dieci anni o mai più.
Ma se ben capisco mi pare abbiate già in mente qualcosa per il futuro: idee per un nuovo disco magari?
Sì, stiamo lavorando su dei pezzi nuovi. Ma negli ultimi anni mi è successo più volte di iniziare a scrivere per poi arrivare al punto di buttare via tutto, anche idee che continuo a reputare buone, per il fatto di essere isolate fra loro nel tempo, senza un’organicità precisa. Per metterle insieme dovremmo fare un album di singoli. Non posso quindi avere la certezza che questo processo inevitabilmente porterà a un disco nuovo. La mia creatività tende ad andare più veloce di quello che riesco a fare e le idee cozzano le une con le altre, una cosa che prima non mi succedeva. A ogni modo sono fiducioso per ora, come non lo ero da molto tempo.
Colgo al balzo l’occasione per sottoporti un paio di domande inerenti al processo creativo che sta dietro il progetto Janvs: m’è rimasta impressa da tempo immemore una tua dichiarazione circa il tuo approcio alla musica, ovvero il fatto che per provare i tuoi riff utilizzi la chitarra acustica, da cui fondamentalmente nasce tutto. Il tuo approcio alla musica è ancora similare o è cambiato nel corso degli anni?
Senz’altro è cambiato. Le nuove cose che sto macinando sono particolarmente dissonanti e bizzarre. Molto meno melodiche di tutto ciò che fino a ora abbiamo fatto. La distorsione, e in generale l’effettistica, non può più essere un vestito da mettere a una melodia concepita senza, ma diventa parte attiva della composizione. Le dissonanze innescano le distorsioni in un modo molto diverso dalle melodie e armonie “lineari”. Quello che è rimasto invariato è sicuramente il ruolo centrale della chitarra. Più in generale il mio approccio alla musica è cambiato nel senso che sono stufo di comporre in solitudine e di suonare unicamente nell’ottica della registrazione in studio. Per vari motivi Janus non potrà mai offrirmi nulla di diverso da questo. Ho iniziato a suonare in una band (insieme a Claudio) dove ho un ruolo che pesa quanto quello degli altri, una band che ha la sua ruotine di prove e che si pone di fare live. Insomma in una band normale. Questo canale di sfogo è importante perché Janus torni a offrirmi stimoli che aveva onestamente smesso di darmi nella stasi della sua dimensione.
Così non fai che alimentare la mia curiosità di ascoltatore e redattore. Si tratta di un progetto top secret o si possono avere informazioni su questa esperienza parallela?
Siamo solo agli inizi, quando più avanti si sarà concretizzato qualcosa di tangibile non ci nasconderemo.
E come Janvs pensate mai alla possibilità di fare qualche concerto?
La dimensione live [per gli Janvs] non mi interessa, a Massimo e Claudio interessa di più e provano a spingermi verso alcune soluzioni. Vedremo, non si sa mai, di sicuro la cosa prevede problemi organizzativi non banali visto che dovremmo integrare la formazione con altri membri e che non viviamo più neanche tutti nello stesso stato. Ma non si sa mai.
Ho sempre trovato le liriche degli Janvs molto interessanti: chi sono gli autori (letterari e non) che più ti hanno influenzato e hanno contribuito a formare il substrato su cui poi s’è andata a formare la tua sensibilità artistica?
Ti ringrazio. Trovo complicato rispondere, nel senso che per me la scrittura dei testi di Janus è sempre stato un processo estremamente naturale, direi inevitabile. Semplicemente è come se i testi fossero stati già lì, sepolti da qualche parte, io ho semplicemente dovuto scavare via ciò che li oscurava quando il momento me lo ha comandato. Chiaramente ci sono tanti uomini, artisti e non, che hanno contribuito a scolpire la mia sensibilità in modo più o meno consapevole da parte mia, ma non riesco a ricollegare direttamente nessuno di essi al mio modo di scrivere i testi. Sono l’espressione di una necessità. Pessoa diceva: “se scrivo ciò che sento è perché così facendo abbasso la febbre del sentire”.
E a livello musicale invece? Cosa ascolta Matteo Barelli durante la sua giornata?
In questo periodo ascolto molto doom, death metal e sludge. L’ultimo Down capita al momento giusto. Sarà colpa del caldo che inizia.
Una questione che esula dal campo prettamente musicale (ma che finisce col ricollegarcisi): ho vissuto a Genova un paio d’anni per vicessitudini personali, e ancora oggi ci torno almeno un paio di volte all’anno; trovo che sia una città che lascia qualcosa di indelebile, sarà il mare, il clima, i carruggi, non so dirti, ma di certo ha qualcosa di unico che mi attrae. Qual è il tuo pensiero a questo proposito e qual è il tuo rapporto con essa?
Il luogo in cui sono nato e in cui ho vissuto per trent’anni certamente non può che influenzarmi, non può che esistere fra me e la città un legame profondo che mi condiziona anche, e forse soprattutto, al di là di quello di cui posso avere coscienza. Penso proprio che questo ragionamento valga per tutte le persone che hanno radici profonde in un determinato luogo, che questo si apprezzi o meno. Francamente penso che Genova sia una città detestabile sotto una quantità notevolissima di punti di vista, provo spesso il desiderio di andare a vivere altrove per sottrarmi alle sue negatività, pragmatiche e sottili. Genova in verità non è né un paese né una città, tende a presentare gli svantaggi di entrambe le situazioni, raramente offrendone i pregi. Ormai è una cittadina in letargo abitata da gente per lo più insopportabile, come tutta la Liguria. Questo è un aspetto della faccenda (evidentemente devo lamentarmi, “mugugnare”, essendo genovese). Esiste poi l’universo magico, malinconico, oscuro e accecante al medesimo tempo che è l’altra dimensione di questo luogo aggrovigliato su se stesso, nascosto, segreto, aperto ai mari e al mondo intero, che è ciò che amerò con timore e ansia per tutta la vita, ovunque essa mi porterà.
Due parole sull’esperienza dell’Invitta Armata: mi pare di poter dire che sia stato un movimento (è lecito chiamarlo tale?) nato spontaneamente senza pianificazioni, ma puoi dirci qualcosa riguardante la sua nascita e la sua vita? E soprattutto a oggi cosa ti è rimasto di quegli anni? Siete sempre in contatto con gli altri artisti?
Non so se BMIA sia stato un “movimento” o meno. Ognuno all’interno dello stesso “movimento” ha concepito BMIA, sia alla nascita che negli anni, sotto punti di vista molto differenti e spesso non esattamente comunicanti. Sicuramente sono orgoglioso di come ho sempre concepito io l’esperienza e dell’apporto che a essa ho dato, sia in termini musicali che in termini concettuali, nell’individuazione delle colonne ideali originali più alte. Non sono rimasto in contatto con nessuno degli altri membri (a eccezione ovviamente di Massimo). Per quel che mi riguarda l’esperienza è definitivamente chiusa e irreplicabile.
Matteo, per quanto mi riguarda ho esaurito gli argomenti e mi sento più che soddisfatto per le esaurienti risposte ricevute. Ti ringrazio a nome di tutta la redazione di Aristocrazia per il tempo dedicatoci e spero di poterti sentire nuovamente in futuro. Come da tradizione ti lascio l’ultima parola qualora tu volessi aggiungere qualcosa. A presto!
Vi ringraziamo molto per l’attenzione e il supporto. Speriamo non passi troppo tempo prima di risentirci. Un saluto a tutte le persone che ci seguono.