LAMBS: mettere in musica i propri demoni
Gruppo: | Lambs |
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I Lambs arrivano dal cesenate, sono incazzati neri e hanno diverse cose da dire. Dopo parecchi anni di gavetta, e a oltre quattro dall’EP d’esordio Betrayed From Birth, ho avuto occasione di ascoltare e recensire Malice, il primo, vero album della formazione romagnola. E mi è piaciuto, tanto. Per cui quando si è presentata l’occasione di scambiare quattro chiacchiere con il frontman Cristian Franchini ho fatto del mio meglio per rendere giustizia alla poetica di una band che sta malissimo e che ha tutte le carte in regola per farsi notare.
Ci tengo particolarmente a ringraziare Cristian per la sua pazienza, viste le modalità e tempistiche burrascose cui l’ho costretto per mettere insieme questa intervista.
Prima di tutto partiamo dalle origini: come nascono i Lambs? Quali esperienze hanno portato alla nascita della band e qual è il vostro percorso musicale?
Cristian: I Lambs nascono nel 2013 dall’urgenza di esprimere in musica certe sensazioni scomode o inspiegabili. L’amicizia tra un cantante e un batterista porta il progetto a sviluppare una forma mentis specifica: la musica è lo strumento scelto per raggiungere la propria catarsi. Il primo approccio della band era orientato su radici hardcore punk e black metal, allo stato attuale invece stiamo cercando di non affidarci a nessun genere specifico, dando priorità e respiro alla nostra espressione più naturale.
Di che tipo di catarsi stiamo parlando? Lo chiedo anche perché apprezzo molto i vostri testi (se ricordi la mia recensione, ho citato direttamente un paio di passaggi), e vorrei capire un po’ meglio da dove nascono. Come ha origine tutto questo disagio? È colpa della provincia romagnola?
I testi descrivono principalmente il disagio sociale dell’uomo contemporaneo e tutto ciò che deve affrontare o reprimere all’interno della quotidiana routine. Mettere nero su bianco i propri demoni diventa terapeutico; in questo senso credo che scrivere sia utile a chiunque voglia esorcizzare qualcosa. L’ambiente che ci circonda sicuramente ci influenza su più aspetti, ma non credo sia colpa della Romagna se certi giorni si hanno pensieri particolarmente cupi o si è colmi di rabbia [ridacchia, n.d.Bosj].
Sono perfettamente d’accordo, anzi, mi pare che oggi di motivi per avere pensieri particolarmente cupi ce ne siano ovunque. Però una domanda sulla Romagna devo fartela, perché il giro post-hc-disagio da quelle parti va fortissimo: Marnero, Sedna, Postvorta e pure Vasco Brondi da Fràra, anche se sappiamo tutti che era bello solo il demo. Ce n’è per tutti i gusti. Che acqua vi danno da bere? Siete in contatto tra di voi, c’è un po’ di comunione? E invece, per andare più nello specifico, i vostri demoni in particolare quali sono? Con cosa vi scontrate quotidianamente? Il precariato, la depressione, il cambiamento climatico, il palinsesto Mediaset?
Tutti pensano sempre all’immagine luminosa della riviera romagnola d’estate e a un posto pieno di gioia, ma quando si torna a casa il palinsesto Mediaset è comunque sempre lo stesso, vogliamo parlare poi della robaccia che gira su Netflix ultimamente? Quando ci stacchiamo da quello schermo nero o da qualsiasi altra cosa che ci distrae e anestetizza dobbiamo nuovamente affrontare quei famosi demoni interiori; non importa se rappresentati da stress lavorativo, da una separazione e da una sempiterna inquietudine. Ogni persona combatte una personale guerra dalla nascita. Sullo stesso campo di gioco ci sono i Sedna e i Postvorta, ragazzi con cui siamo a stretto contatto sin dagli esordi dei nostri rispettivi progetti e a questo proposito c’è da dire che il nuovo lavoro lo stiamo scrivendo proprio con qualcuno che suona in una di queste band.
Ecco, parlando della stesura del materiale, come nascono i vostri pezzi? Siete un gruppo da sala prove, oppure costruite a monte, e vi trovate a suonare solo quando avete già qualcosa di pronto?
Nel corso degli anni abbiamo adottato diversi metodi. Il più delle volte può capitare che alcuni di noi si incontrino per confrontare idee da sviluppare collettivamente in sala prove, registriamo sempre quel che ci frulla in testa e ragioniamo su come migliorare il risultato.
Malice è uscito per Argonauta, etichetta che è un po’ il riferimento italiano per determinati suoni. Com’è iniziata la vostra collaborazione?
Abbiamo conosciuto Gero quando abbiamo suonato a Genova in compagnia dei nostri amici NAAT. Qualche anno dopo abbiamo pensato che fosse una buona idea fargli ascoltare il nostro album di debutto e così confrontandoci con lui siamo riusciti a pianificare il parto indemoniato di Malice. Siamo davvero contenti di avere finalmente racchiuso in un album tutte le cose che ci portavamo dentro da troppo tempo.
Parto indemoniato perché è stato particolarmente complesso? E ora che questo bimbo ha visto finalmente la luce, che intenzioni avete? Avete già definito dei programmi?
Ci sono state tempistiche un po’ dilatate dovute a cambi di line up e impegni individuali, ma all’interno della band siamo sicuramente tutti soddisfatti della realizzazione di Malice, questo è quel che conta, a prescindere dai sacrifici compiuti. Finalmente si apre un nuovo capitolo, stiamo già scrivendo nuovo materiale e ancora una volta le carte in tavola verranno rimescolate con rinnovato entusiasmo.
Spenderei un attimo due parole sulla questione live e concerti. In Italia da sempre c’è carenza di locali dove suonare e di pubblico. Prima di tutto quanto è difficile per una band come voi (relativamente giovane e che propone un genere non proprio per tutti) organizzare delle date?
È estremamente difficile organizzare date per qualsiasi band underground, personalmente ci ho provato tante volte e sono riuscito a organizzare due tour europei per la band, ma devo dire che è stato assai estenuante. Esistono delle belle realtà che offrono uno spazio per realizzare adeguatamente un concerto, ma si tratta davvero di rare e preziose situazioni. In passato abbiamo suonato in qualsiasi tipo di ambiente, ora adottiamo un po’ la scusa della vecchiaia per passare più tempo in sala prove, piuttosto che elemosinare concerti in qualche sperduto scantinato [ride].
Secondo voi (o secondo te) come si potrebbe superare la carenza di persone interessate all’underground? Io sono convinto che in Italia manchi il pubblico perché tanti non hanno nessun tipo di cultura musicale. Prendi il cinema: se uno ha vissuto una vita intera guardando action di Hollywood e cinepanettoni, difficilmente potrà apprezzare un film d’autore e di un certo spessore. Idem con la musica: se ascolti per tutta la vita i neomelodici, difficilmente potrai mai apprezzare i Cult Of Luna o un dj minimal berlinese. Però non so in che modo potrebbe risolversi questa cosa, se non continuando a proporre concerti ed eventi e a lottare contro i mulini a vento. Tu hai qualche opinione in proposito, o magari una bacchetta magica che ti avanza?
Il tuo discorso sulla cultura individuale italiana non fa una piega. La gente è sempre più abituata a conoscere e apprezzare solo quel che le viene proposto dai soliti grandi canali di riferimento. Per farti un esempio pratico, penso a un teenager che dovendo scegliere se guardare l’ultima porcata su Netflix o cercare un film di Pasolini online, ricade nella prima scelta per pigrizia mentale. Non credo però sia sufficiente inaugurare un cinema che proietta film non convenzionali per farsi una buona cultura di film. Secondo me la cosa più complessa è riuscire a fare rete e far evadere di casa le persone. In passato ho organizzato tanti concerti con la mia vecchia booking e attualmente faccio parte di un collettivo che ne organizza altri in maniera più sporadica, ho notato che le cose sono drasticamente cambiate nel tempo e non si può dare la colpa solo a un ricambio generazionale praticamente inesistente o al fatto che i locali chiudono all’ordine del giorno, l’unica costante che funziona sempre è portare (almeno) un amico al concerto che ti interessa vedere, non si sa mai che possa generare un duraturo ed effettivo scambio culturale.
La cosa importante è che non vi manchi l’entusiasmo di cui parlavi poco fa, anche se si tratta di entusiasmo per esorcizzare i demoni. In merito a questo sposto un po’ la conversazione su una prospettiva più ampia, e colgo l’occasione della polemica di questi giorni sul Festival di Sanremo (Amadeus, il sessismo e tutte quelle cose là). Come si fa a mantenere l’entusiasmo in un contesto nazionale sempre più povero, dove la musica, come la cultura in generale, viene trattata senza alcun rispetto?
Sono d’accordo. Se all’interno della band qualcuno è carente di entusiasmo, dovrebbe prendersi la responsabilità di farsi da parte per non limitare lo sviluppo di qualsiasi progetto. È molto difficile rimanere costanti e non perdersi d’animo, ma fa parte dei giochi, non solo in campo musicale. Se vogliamo allontanare l’ignoranza e il sessismo di Amadeus, bisogna dedicare spazio ad altre realtà, non certo perdere tempo con le solite dinamiche del marketing sanremese. In Italia si possono conoscere tantissime band ispirate e ispiranti, alcune riescono a raccogliere buoni frutti, altre sono destinate a un’esistenza meno accomodante, credo sia anche questione di fortuna oltre che di sbattimento e sempiterna dedizione. A livello regionale, penso che in Emilia Romagna ci sia poco da lamentarsi. Vuoi vedere un bel concerto? È sufficiente spostarsi di cinquanta o cento chilometri. Non hai voglia di guidare per cinquanta o cento chilometri? Allora non ti meriti il concerto.