M. Fontaine spiega Infernum Metallum | Aristocrazia Webzine

Mariano Fontaine ci guida attraverso la Selva Oscura di “Infernum Metallum”

Come avevo già anticipato nella recensione di qualche giorno fa, Infernum Metallum – Storie E Leggende Del Black Metal Italiano, pubblicato da Tsunami Edizioni, è un’immersione totale nella storia della scena italiana e nei ricordi dei suoi protagonisti. Un volume così ricco di dettagli e informazioni ha aperto una catena di interrogativi che non si sarebbero mai potuti lasciare irrisolti: il rimedio migliore mi è sembrato quello di interpellare Mariano Fontaine, co-autore del libro insieme a Cristiano Mastrangeli.

Prima di tutto, una domanda molto banale ma necessaria: come è nata l’idea di concepire un trattato enciclopedico sulla storia del black metal italiano?

L’idea nacque verso la fine dell’ottobre del 2020. Il perché giustamente mi chiedi: semplicemente perché nessuno era mai riuscito a farlo e noi da tempo avevamo questo pallino in testa. Raccontare il black metal italiano era una bella sfida, e a noi piacciono le sfide: come ben sai, questo genere in Italia ha avuto tanti aspetti spigolosi, in primis gelosie e invidie. Ricordiamo bene gli anni Novanta, c’erano fazioni assolutiste: un po’ l’ardore della gioventù, un po’ la società, un po’ le eco della scena norvegese, tutto ciò creava divisioni. Per cui abbiamo sempre pensato che per gli artisti interessati e per i giornalisti di settore non sarebbe stato facile uscire fuori da quel pensiero indotto: «sono amico di questo, quell’altro non lo sopporto, questo è giusto e questo no». È insito nel loro spirito. Solo qualcuno che lo aveva vissuto da fuori avrebbe potuto scriverlo. Bene, io e Cristiano ci siamo detti: e perché non lo facciamo noi? Ci scrutammo attorno, recuperai tonnellate di vecchie fanzine che stipavo dagli anni Novanta e ci mettemmo al lavoro. Per la buona riuscita del prodotto dovevamo però centrare un obiettivo che ci eravamo prefissati, cioè quello di non fare una ricerca enciclopedica e troppo didascalica. I saggi fatti in questo modo ci annoiano e, a nostro modo di vedere, non trasmettono nulla al lettore. Magari andavano bene dieci o quindici anni fa, ma oggi la struttura deve essere più snella e meno pedante. Soprattutto volevamo riuscire a trasmettere emozioni, un po’ quello che deve — o dovrebbe — fare la musica. Volevamo qualche cosa di diverso, un lavoro quanto più vario possibile in modo da coinvolgere. Il nome infine è arrivato quando eravamo a metà dell’opera grazie a un’intuizione di Cristiano: visto che si parlava del black metal italiano e che la struttura narrativa girava intorno all’inferno dantesco un giorno mi disse: «E se lo chiamassimo “Infernum Metallum”?».

Dover analizzare e confrontare una mole di materiali e testimonianze come quelli che sono poi confluiti nel libro non deve essere stato affatto semplice. Come vi siete suddivisi il lavoro?

Diciamo semplicemente che noi due ci completiamo a vicenda, visto che lavoriamo in simbiosi da oramai dieci anni. Io ho sempre quel tipo di vena più fantasiosa, più artistica diciamo, e nella scrittura sono maggiormente scoppiettante quanto dinamico. Di contrappeso lui è la precisione assoluta, la sintesi massima, è super critico e descrittivo e dalla sua ha un modo di scrivere molto da saggio, ad esempio i vocaboli che usa sanno sempre di arcaico. Et voilà, il gioco è fatto.

La suddivisione in base ai gironi infernali è una scelta perfettamente coerente con il materiale trattato. Vi è venuto in mente fin da subito di seguire questo tipo di scansione o lo avete deciso in corso d’opera?

È successo che proprio in quel periodo di studio sulla scena, mia figlia stava studiando l’Inferno dantesco e rimase tremendamente affascinata dal personaggio di Dante Alighieri. Bene, sfogliando un tomo di mio padre sull’Inferno degli anni Cinquanta, con le spettacolari illustrazioni di Gustave Doré (che successivamente feci rilegare e donai a mia figlia), mi venne l’idea di suddividere gli anni di approfondimento saggistico lungo i nove cerchi concentrici dell’universo dantesco. Sottoposi questa mia idea a Cristiano che me l’avallò all’istante.

Tra i vari cerchi infernali che corrispondono alla scansione cronologica, a quale sei più affezionato e/o ritieni sia stato più importante per lo sviluppo della tua coscienza musicale?

A mio avviso sono due questioni diverse e separate. Soprattutto ci sono in ballo i sentimenti. Mi spiego. I primi cerchi riguardano band storiche, e per certi versi mitologiche, come Bulldozer, Schizo, Necrodeath. Artisti immensi e precursori di tutto un genere che per noi rappresentano l’adolescenza, per cui ci vengono i brividi ancora oggi a ripensare a quelle copertine blasfeme, misteriose e quell’immagine così truce. I cerchi degli anni Novanta rappresentano invece la nostra maturità artistica visto che in quel periodo scrivevamo sulle fanzine, molte band le intervistammo già all’epoca, seguivamo la scena da dentro: i magazine di settore, le altre riviste amatoriali, i concerti, gli screzi, le divergenze. A pensarci bene anche tutto questo aspetto è oramai obsoleto e probabilmente rappresenta il motivo per cui ai nuovi discepoli sembra tutto molto romantico, oltre che strano ed enigmatico.

A mio avviso, un libro come Infernum Metallum può costituire un ottimo ponte fra chi segue la scena black dai suoi albori e chi, invece, la conosce da relativamente poco tempo, magari anche per motivi puramente anagrafici. Che feedback avete raccolto finora?

I feedback sono stati semplicemente fantastici. C’è stata una vera riscoperta del genere, le band sono rimaste pressoché tutte estasiate e abbiamo ricevuto i complimenti da ogni dove. Il saggio sembrerebbe aver anche venduto bene, considerando la povertà intellettuale e culturale che c’è nella Penisola. Siamo stati al primo posto tra i bestseller di settore su Amazon.it per quasi due mesi consecutivamente. Ho personalmente effettuato delle presentazioni importanti come alla Feltrinelli di Genova (un’immensa struttura a più piani), alla Fiera Nazionale del libro di Roma, a Milano sui navigli, nella mia zona al Metropolis (grande realtà della scena italiana). Che altro aggiungere? Il libro è disponibile nelle più importanti librerie di Italia. Incredibile a dirsi, il black metal che entra prepotentemente nel patrimonio intellettuale della Penisola. Assurdo ma vero. Si tratta di un sogno che si è avverato e di tutto ciò non possiamo che ringraziare Max ed Eugenio della Tsunami, due persone che lavorano con grande diligenza, tanta voglia e immensa professionalità. Non finiremo mai di ringraziarli.

In una intervista rilasciata a musicalnews.com hai spiegato che tu e Cristiano avete deciso di optare per un titolo in latino perché, secondo voi, rappresentava al meglio lo spirito del black metal. A ben pensarci, tante volte mi sono chiesta come mai ci sia questo stretto legame fra black metal e latino, dandomi la risposta che, in un certo qual modo, questa lingua aiuta a donare a questa branca del metal una sorta di connotazione sacrale. Condividi o confuti questa teoria?

Diciamo che il latino è una lingua antica, per cui dona fascino e importanza a qualunque contesto. Soprattutto a quello black metal, musica pregna di tanti spunti magici quanto anticlericali.

Considerando che la trattazione si ferma ai primi anni Duemila, avete in programma di proporre magari una seconda parte in cui analizzate gli ultimi vent’anni della scena black nostrana?

Avevamo cominciato a lavorarci sopra ma onestamente, tolta qualche band, ci si infilerebbe in una sorta di palude. Un marasma incredibile. E sopravvivere in un acquitrino potrebbe diventare una cosa davvero difficile, si rischierebbe di impantanarsi nelle sabbie mobili ed essere tirati giù. Per cui abbiamo desistito nell’approfondire un universo musicale che, comunque sia, è cambiato nella quasi totalità per coerenza e aspetto sociale. Personalmente però avevo voglia di approfondire su qualche band raccontata da Infernum Metallum. Caso ha voluto che Fabban stesso mi abbia chiesto, qualche mese fa, se fossi interessato a lavorare sulla bio ufficiale degli Aborym. Detto fatto: mi sono fiondato a capofitto in questa nuova avventura, diciamo pure che l’ho anche ultimata e consegnata all’editore. Vi posso assicurare che ne leggerete delle belle tra Fabban, Seth, Yorga, Bard Faust, Attila Csihar e via discorrendo. È stato veramente entusiasmante tornare indietro negli anni Novanta e Fabban si è dimostrata una bella quanto profonda persona. Ora non ci resta che attendere la pubblicazione da parte di Tsunami, interessatissima al progetto editoriale.

Le prossime domande si staccheranno dal black metal in senso stretto, perché vorrei fare qualche riflessione più generale. Il primo quesito che ti pongo è il seguente: se guardiamo la scena italiana dagli albori a oggi, trovi ci siano prettamente delle discrepanze oppure si può ravvisare qualche caposaldo che si è mantenuto tale nel tempo?

In questo caso rifletto solo il mio di pensiero e non quello di Cristiano: a mio avviso, parliamo di due mondi che per certi versi sono assolutamente divergenti. Basti pensare che il metal era considerato un modo di vivere ai margini, stigmatizzato e reputato come deriva sociale. Con questi presupposti, possiamo considerare i gruppi degli anni Ottanta come dei pionieri che sfidavano un mondo del tutto ostile. Oggi il concetto di heavy metal è considerato vintage e ampiamente fagocitato dal sistema. Questo però non deve significare per forza un bene questo e un male quello: sono semplicemente due condizioni diverse dovute al passare degli anni. Ovviamente ci sono svariate band che hanno conservato la coerenza.

Negli ultimi anni, l’avvento dei social e delle piattaforme streaming ha modificato la modalità di fruizione individuale della musica e, in un certo qual senso, anche la soglia di attenzione del fruitore medio quando deve decidere se ascoltare o meno un certo album in base alla recensione che ne viene fatta. Ti chiederei di esporre le tue considerazioni in merito.

Era bello sentire il fruscio della puntina sul vinile. Soprattutto non potevi skippare in avanti così velocemente. Ricordo pomeriggi interi in poltrona, sul divano o sul letto passati ad ascoltare quei pochi vinili che ti passavano tra le mani assaporandone ogni attimo. Riuscivi a entrare nei solchi dell’lp e respirarne ogni angolo. Ecco, probabilmente si è persa la vena romantica che contraddistingue quegli attimi che vanno dall’attesa dell’album alla metabolizzazione del prodotto discografico. Le recensioni poi, un tempo erano basilari per una oculata scelta, cosa che oggi, almeno per me, non ha quasi più senso.

Sul tuo sito ti definisci un «agitatore culturale» che, secondo me, è una figura necessaria in una società che sembra tendere verso la passività. A tuo avviso, quali potrebbero essere i modi più efficaci per agitare costantemente se stessi e gli altri?

Si deve essere propositivi, si deve lottare, si deve essere intraprendenti. Tutto questo in onore della musica, della lettura e di qualsiasi forma d’arte. Si deve continuare ad agitarsi culturalmente per tutta la vita. Sai, ho cominciato a suonare il piano a otto anni, strimpellare una chitarra classica a diciotto, ho creato e scritto fanzine (Grief, Fanzine Italiana, Crash Magazine), ho avuto una mia piccola casa discografica (la Whiplash Productions), ho organizzato tanti live underground (uno su tutti, i Theatres Des Vampires, quello che trovi sul saggio dopo il quale per poco non ci arrestavano), ho inciso due album con gli Housebreaking, ho suonato su palchi di tutto rispetto (Napalm Death, Entombed, Sodom, Asphyx eccetera), ho avuto il mio negozio di CD e merchandise (Crash Store) e ora, sarà l’età, scrivo libri. Ho cinquantatré anni e non ho voglia di smettere di agitarmi… culturalmente parlando!

Ti ringrazio per il tempo e concludo con una domanda che pongo sempre a fine intervista: cosa stai ascoltando in questo periodo?

Uh! Vediamo: Pantera, Metallica, Machine Head, Tiamat, In Flames, Rammstein, Iron Maiden, Linea 77, Aborym, Dark Tranquillity, Moonspell, Sentenced, Katatonia. Faccio quotidianamente lunghe passeggiate tra la natura e ascolto tanta roba… vecchia!