I Necrodeath compiono 33 anni (ma non si fermano ad Eboli)

NECRODEATH (2018)

Gruppo: Necrodeath
Formazione:

  • Marco “Peso” Pesenti – Batteria
  • Marçelo “Flegias” Santos – Voce
  • Pier Gonella – Chitarra
  • GL – Basso
Quando, ad aprile, ho partecipato alla serata di inaugurazione del neonato Evilution Club ad Acerra non me ne sono stato con le mani in mano. Infatti, grazie a Daniele “Ogre” Cristiano e allo staff di Valhalla Agency, ho avuto il piacere di intervistare nientepopodimenoche (se non si fosse capito) i Necrodeath: ecco com’è andata.

Buonasera maestri, grazie infinite del tempo che mi concedete e benvenuti su Aristocrazia Webzine. Più che benvenuti, in realtà, bentornati: Ul_Fieschi vi ha intervistati prima di me cinque anni fa, in occasione dell’uscita del DVD Hellive. Sentite ancora un po’ di ansia prima di salire sul palco oggi, oppure è qualcosa alla quale vi siete abituati, ormai?

Peso: Beh, l’adrenalina prima di salire sul palco, quando c’è l’atmosfera giusta, la sentiamo sempre; ed è un bene perché è anche la forza che ci fa continuare dopo questi trentatré anni, da quando è iniziata l’avventura Necrodeath. Parlare di ansia, adesso, mi sembra esagerato però, insomma, l’adrenalina è il nostro punto di forza. Naturalmente, complice di questa cosa qua è il pubblico che abbiamo davanti, perché, alla fine, è una sinapsi che deve esserci tra le due cose, tra noi sul palco e le persone che ci stanno sotto e ci supportano.

GL: Adrenalina sì, ansia sicuramente no. Dopo tanti anni comunque di palchi, di esperienze dal vivo, non vedi l’ora di salirci su, di divertirti; io mi diverto. E in ogni caso è una bella energia quella che nasce sul palco e che si trasmette. Come diceva Peso, poi, dipende anche dalla serata: ci sono serate in cui ti diverti, dove c’è più energia sul palco e più interazione col pubblico, e serate magari un po’ meno… Ogni volta è un’esperienza diversa.

Quello dei Necrodeath è un nome storico, sia perché siete in giro da un bel pezzo, sia per tutte le realtà che avete influenzato (e che continuate a influenzare) nel corso degli anni. Come si è evoluta la band nell’arco di tutto questo tempo?

Peso: Dunque, più di evoluzione parlerei di una costanza che si è mantenuta nel tempo, di una costanza e di una coerenza se non altro a livello di sound e di attitudine. La formazione, chiaramente, in trentatré anni — poi c’è stato anche il periodo di fermo — è cambiata e l’unico superstite sono rimasto io, anche se comunque questa formazione attuale è solida da ben dodici anni; insomma, è abbastanza già vecchia anche questa lineup [ride, ndr]. Comunque, io non parlerei di evoluzione: parlerei di un percorso che si è evoluto negli anni. Noi siamo partiti comunque da un black-thrash degli anni 80, con influenze riferite ai grandi Venom, agli Slayer, ai Possessed, ai Celtic Frost, ai Kreator e a tutte quelle band lì e poi abbiamo cercato, nel corso del tempo, nel nostro percorso, di crearci un nostro sound, uno che fosse riconoscibile. Detto ciò, abbiamo prodotto dodici album (undici più uno di cover) e il nostro intento, durante questo cammino, era quello di non fare degli album uno fotocopia dell’altro. Infatti ci sono stati dei momenti in cui abbiamo anche osato fare cose abbastanza lontane da quello che erano gli esordi: un album come Draculea, per esempio, molto introspettivo, o un album molto progressivo come Idiosyncrasy, composto da un unico pezzo di quaranta minuti. Con questo album qua, The Age Of Dead Christ, abbiamo voluto fare un po’ un ritorno al passato, alle origini sia dal punto di vista grafico, sia dal punto di vista compositivo-attitudinale. Abbiamo riprovato a metterci in sala prove, partendo da un’idea, che magari partiva da uno di noi, e a svilupparla: quindi, microfono aperto durante le prove e vediamo cosa salta fuori. Devo dire che è stato un lavoro molto istintivo, per cui, per la maggior parte delle cose il buono alla prima, se mi intendi, è stato approvato. Per cui, ecco, è uscito un album che secondo me è anche un po’ un ritorno… ed è per questo che abbiamo voluto andare a ripescare il vecchio logo, cioè il primissimo logo con cui siamo usciti nel 1985 con il demo The Shining Pentagram.

Ecco, parlando del processo di composizione dell’album, come si è evoluto questo processo, questo approccio, nel corso della vostra attività? Come si diceva poco fa, siete un attimo tornati al microfono aperto in sala, si registra, si scrive insieme: negli anni questo procedimento è cambiato? C’è mai stato qualcuno che ha portato la maggior parte delle idee, dei riff, e, partendo da quelli, si è sviluppato un disco?

Peso: Di solito il sottoscritto è quello che, in passato, assieme a Claudio, ha fatto partire le idee di composizione primarie. Ultimamente questo lavoro lo condivido con Pier. Ma quello che senti, alla fine, è sempre il risultato di un’alchimia di noi quattro, perché se questa formazione che dura da dodici anni ha un’identità è perché ognuno di noi dà un suo apporto e, indipendentemente da chi fa partire l’idea originale, è sempre il risultato finale ciò che per noi conta e deve essere comunque qualcosa che identifica sempre il gruppo, senza farsi influenzare da alcun trend. Perché, insomma, in tre decadi noi ne abbiamo viste un po’ di tutti i colori.

A proposito di questo: il mondo non è stato fermo, da quando la formazione ha mosso i primi passi, anzi, si è mosso e si è evoluto con voi in parallelo. Che ne pensate di questa porzione di realtà nell’universo della musica, oggigiorno?

GL: Beh, cosa ti posso dire… Sicuramente si sono prospettati tanti generi musicali, si sono evolute molte situazioni, soprattutto in ambito metal. Si è passati da cose più grezze, che facevano parte del nostro background dagli anni ’80 a oggi, quando anche io ascoltavo i primi gruppi metal che circolavano, ai gruppi un po’ più estremi. Ora, ovviamente, alcune cose sono cambiate, alcune mode sono anche passate. Se pensiamo un po’ alle mode, come il Nu Metal, che hanno avuto un po’ un’esplosione e poi alla fine sono state in una parabola discendente… Oggigiorno quasi quasi sembra che si ritorni a riscoprire delle cose del passato. C’è da dire che noi, oggi, anche con questo album qua, siamo voluti tornare un po’ all’origine anche per riscoprire quello che era il nostro background musicale, da dove arriviamo, appunto. Abbiamo voluto riscoprire ciò che ci ha portato a essere quello che siamo oggi e quindi tornare anche un po’ a vedere quello che eravamo; e soprattutto nel loro caso [riferendosi a Peso e Flegias, ndr], con quello che hanno composto all’inizio, rifacendosi agli approcci un po’ più grezzi, un po’ più immediati, un po’ più diretti…

Peso: Per cui, anche facendoci aiutare meno dalla tecnologia che, ultimamente, appunto, nell’ambito musicale, si fa…

GL: Esatto. Anche l’approccio dal punto di vista della registrazione è stato rivisto un po’ alla vecchia maniera, quindi niente metronomo, si suona pressoché quasi tutto dal vivo e sovraincisioni dettate dalla comodità della registrazione, però non c’è stata minimamente una forzatura, uno stravolgimento, un’impronta di editing esagerata.

Peso: Non ci sono griglie, non ci sono trigger, è tutto microfoni…

GL: Suona molto live, infatti, l’album. Ecco, la cosa che mi piace dire è che, rispetto all’idea iniziale, appunto, come dicevamo prima, del pezzo che è nato in sala prove, molti pezzi sono nati in sala prove jammando. Diciamo che, dal demo alla registrazione, c’è stato poco stravolgimento, quindi quello che sentivi nella prima registrazione poi è quello che è stato sviluppato e registrato, alla fine. Quindi, ecco, ci è piaciuto tenere questa freschezza, questa impronta che abbiamo dato…

Peso: Istintiva, ecco.

Che ne pensate dell’evoluzione dei nuovi media, che tange la musica tanto quanto l’intera umanità, argomento che viene anche citato all’interno di “The Whore Of Salem”?

Peso: Guarda, io ti farei rispondere da lui [indica Flegias che riposa sul letto affianco a noi, ndr] che ha scritto questa canzone… [risate, ndr]

Quali sono i pro e i contro della digitalizzazione della musica, secondo voi?

Peso: Guarda, io sono abbastanza allergico, forse perché vengo anche da una generazione passata dove non c’erano tutte queste cose qua. Il nostro massimo di media, ai miei tempi, era il tape trading, ci si scambiava le cassette, ce le si spediva, per cui sono sempre abbastanza distaccato. Loro [GL e Pier, ndr] sono un po’ più aggiornati e stanno cercando di convincermi a comprare uno smartphone per mettermi nella loro chat di WhatsApp… [ridacchia, ndr]

GL: Sì, per comunicare almeno in maniera civile, ecco…

Peso: Ma non riescono, non ce la fanno. Per cui, insomma, il mio approccio è abbastanza distaccato. Pier, invece, oltre a essere il nostro chitarrista, visto che da quattro o cinque anni a questa parte ci autoproduciamo anche, nello studio Musicart, dove appunto componiamo, lui magari è quello più… come posso dire…

GL: Tecnologicamente evoluto.

Peso: Sì, e anche quello più informato. Però, ti ripeto, in questo lavoro abbiamo deciso, come ti dicevo prima, di togliere tutta questa tecnologia che ti aiuta, no? Ma tu mi parlavi anche dei media…

Sì, insomma, per quanto riguarda la diffusione della musica, quindi il formato in digitale piuttosto che le cassette…

Pier: Beh, diciamo che abbiamo curato un po’ tutto quello che si poteva. Il disco è uscito su cd, su vinile e sulle piattaforme digitali. Cerchiamo, per il momento, di rimanere aggrappati a tutto. Col vinile ci siamo cresciuti, il cd fino a un po’ di tempo fa era comunque lo standard per ascoltare la musica, adesso ci rendiamo conto che sta cambiando tutto ma devo dire che l’LP, quindi il vinile, sta vendendo. C’è sempre questo po’ di ritorno: è comunque un oggetto che piace ancora, per fortuna. Quindi abbiamo curato molto anche l’edizione su vinile. Abbiamo avuto la fortuna di lavorare con due case discografiche, chiaramente Scarlet Records per il cd e la Terror From Hell per il vinile, e il digitale così, per conto nostro.

Ecco, parlando nello specifico di The Age Of Dead Christ: come lo presentereste, come disco? Quali differenze ha con il suo più diretto predecessore 7 Deadly Sins? E quali, invece, paragonato al primo Into The Macabre?

Peso: Beh, come ti dicevo prima, l’approccio è stato quello di cercare di avere un ritorno alle origini. È chiaro che alle origini noi suonavamo in una certa maniera rispetto a come suoniamo adesso. C’erano dei mezzi con cui si registrava che sono diversi per cui se per l’attitudine e l’approccio c’è stato un passo indietro, chiaramente è un prodotto che vuole puzzare di vecchio ma che suona allo stesso tempo fresco, per cui può darsi che sotto certi punti di vista si avvicini al penultimo, nonostante in quell’occasione però lavorammo nella maniera un po’ tradizionale con cui si lavora oggigiorno, facendoci aiutare di più dalla tecnologia. Non saprei, perché poi ognuno quando ascolta le canzoni ha la propria vibrazione che comunque è soggettiva. Potremmo star qui ognuno a dire la propria, ma alla fine il nostro intento e la nostra intenzione sono quelli con cui siamo partiti, anche dal punto di vista grafico. La copertina stessa è una copertina che ti richiama i vecchi demo tape degli anni 80, cioè foglietto bianco, col pennarello nero facevi la copertina… Chiaramente noi, partendo da quell’idea, l’abbiamo fatta al computer. Ma anche all’interno, il font: siamo andati a riutilizzare quello che si utilizzava negli anni 80, ovvero la macchina da scrivere. Il richiamo è quello, chiaramente datato 2018.

Piccoli locali o grandi palchi: dove preferite suonare, di solito? E perché?

Peso: Guarda, sinceramente non sono i locali piccoli o i locali grandi dove preferisco suonare, ma sono le persone che ci chiamano e con cui ci confrontiamo, è sempre la persona che fa la differenza, non è mai il locale, per quanto mi riguarda. Necrodeath ha suonato in tutte le situazioni possibili e immaginabili, in tutta Italia e in tutta Europa, dal peggiore chiringuito della situazione fino allo stadio di Monza con Slayer e Iron Maiden. La differenza, per noi, è sempre la persona che cura l’invito e la serata e che ti fa fare la differenza.

Pier: E naturalmente il pubblico. Paradossalmente a volte è più partecipe il club ridimensionato e paradossalmente ti diverti di più. A volte succede anche quello.

Domanda di rito che stiamo facendo un po’ a tutte le band che intervistiamo. Immaginate di dover far capire a un novantenne che non ha idea di cosa sia il metal chi sono i Necrodeath e cosa fanno: come fate a spiegarglielo?

[ridono, ndr]

Peso: Io gli direi: «Ti ricordi quello che facevano i Beatles? Da lì si è evoluto tutto, partendo da loro. Si sono evoluti i suoni, un sacco gli andamenti, le velocità, però se ti ricordi un pezzo come “Helter Skelter”, composto negli anni ’60, che probabilmente può essere un riferimento, ecco: da lì è nato l’heavy metal, evolvendosi».

GL: Comunque è meglio che se ne sta a casa a dormire. [ridiamo, ndr]

Peso: Come ieri: ci è capitato che una ragazza ci ha chiesto una foto e fa «È per mio papà, che è un vostro fan: è a casa con la sciatica». [grasse risate, ndr]

GL: Meglio che se ne sta a casa a curarsi …

Perfetto, per me è tutto. Grazie di nuovo per il vostro tempo: ora vi lascio carta bianca per fare qualunque tipo di considerazione vogliate!

Peso: Grazie a te. Beh, potete seguirci sul nostro sito ufficiale, che è necrodeath.net. Questo album qui sarà supportato da 33 date: il titolo stesso di The Age Of Dead Christ richiama l’età della presunta morte di Gesù Cristo e richiama anche i nostri 33 anni di attività ed è composto da 33 minuti. Queste 33 date che noi faremo in giro per l’Italia saranno tutte indicate sul nostro sito, per cui vi invito a seguirlo e, se capitiamo dalle vostre parti, di venire a vederci.