Navigare lungo le anse del Nilo con Karl Sanders

NILE – Vile Nilotic Rites: un’intervista

Gruppo: Nile
Formazione:

  • Karl Sanders – Voce, Chitarra, Basso, Tastiere
  • George Kollias – Batteria
  • Brad Parris – Basso, Voce
  • Brian Kingsland – Chitarra, Voce

Pochi gruppi death metal sono personali e tenuti in considerazione quanto i Nile. Karl Sanders è una figura centrale nell’intera storia del genere, da tre decenni una colonna portante della scena. Era lì quando negli anni ’80 i suoi amici Morbid Angel provavano Abominations Of Desolation ed è ancora qui oggi, pronto a pubblicare il nono album di quella che può senza ombra di dubbio dirsi la sua band.

I Nile arrivano da tempi difficili: sono passati quattro anni da What Should Not Be Unearthed, il periodo più lungo mai passato senza pubblicare un album fin dal loro debutto in studio nel 1998, e la sofferta separazione dall’amico di sempre e membro di lunghissima data Dallas Toler-Wade è stata indubbiamente un fattore. Qualche ora prima della loro esibizione a Milano in compagnia dei deathster in piena ascesa Vitriol e agli insindacabili Hate Eternal, mi sono seduto insieme a Sanders in persona per discutere le ultime novità e molto altro. Il cinquantaseienne chitarrista mi ha dato l’impressione di ponderare attentamente ogni parola pronunciata e ha iniziato a parlare con cautela, come se dovesse studiarmi, come se volesse comprendere il suo interlocutore. Via via che l’intervista procedeva, la conversazione si è fatta sempre più rilassata e piacevole.


Iniziamo dal nuovo album che sta per uscire, Vile Nilotic Rites. È passato un po’ di tempo dal precedente e non siete mai rimasti così tanto senza una nuova pubblicazione.

Karl: È vero, ma stavolta è andata così.

Cosa dovrebbero aspettarsi i fan? Teoricamente leggeranno questa intervista poco prima della sua effettiva uscita, quindi non l’avranno ancora ascoltato.

Tu l’hai ascoltato? Cosa ne pensi?

Sì, e l’ho apprezzato. Non voglio dire che mi sia sembrato più facile della vostra media, ma mi è sembrato più semplice da assimilare.

Sììììì, è molto orecchiabile.

Un aggettivo molto calzante. Quindi sei d’accordo?

Decisamente. È stato composto in un modo per cui è risultato molto musicale. Credo che chiunque possa mettere su questo disco, ascoltarlo e sentirci qualcosa. Se ti piace il metal, dovrebbe piacerti questo album. Ci sono cose veloci, cose tecniche, qua e là, ma ci sono anche cose più lente, cose in tempi medi, cose strambe, cose. Un sacco di varietà.

Nelle note un concetto che hai molto sottolineato è quello di lavoro di squadra. D’altra parte, è anche il primo album dei Nile senza Dallas…

Non diciamo quella parola.

…Ok.

Diciamo che è il primo album in studio con i nuovi ragazzi! Cerchiamo di evitare qualsiasi controversia. Viviamo in un’epoca di giornalismo acchiappaclick. Non importa quanto tu e io siamo bravi, quando l’articolo sarà condiviso su Blabbermouth troveranno una piccola frase…

…E la piazzeranno come titolone.

E la piazzeranno come titolone e la faranno suonare come WOO, VEDIAMO PER COSA STANNO LITIGANDO. È click-baiting e lo odio. Lo odio, cazzo.

Beh, io sono l’ultimo che può dirne qualcosa, sono un freelance per Vice, che è la madre del giornalismo click-bait [«Lo so», dice Karl ridendo], ma è l’unico modo per portare la gente a leggere il tuo articolo. È un equilibrio molto sottile, da una parte devi far leggere quello che scrivi, dall’altra devi riuscirci senza sensazionalismi.

Un equilibrio sottile, hai ragione. Come un po’ tutto nella vita, alla fine. Qualsiasi cosa ha un lato negativo, già [mormora pensieroso].

Tornando all’album: hai sentito la differenza, lavorando con i nuovi membri?

Oh, come dal giorno alla notte. Sono una ventata di aria fresca. George ride e ci scherza, hai presente il nostro batterista George, Kollias, dice che siamo i breeze brothers, da tanto siamo freschi [ridacchia].

Insomma vi siete divertiti.

Un sacco. È stato un lavoraccio, ma ci siamo divertiti. Brad e Brian [Parris, bassista, e Kingsland, chitarrista] sono affamati e pieni di entusiasmo e questo è importante per poter ritrovare quella scintilla.

A proposito del concept dell’album: è sempre un disco dei Nile al 100%; ma qual è la storia di “Oxford Handbook…”, che razza di titolo è?

Le hai lette le note?

Dicono che arriva da un documentario sui nazisti che hai trasformato in qualcosa di completamente diverso. Era una cosa un po’ oscura e i testi non erano pubblicati, quindi non so altro.

Oh. Sì, molto oscuro. A volte, mentre scrivi una canzone, il luogo da cui parti non è necessariamente quello in cui finisci. E questa cosa mi piace. È come imparare qualcosa di nuovo a letto, con una nuova ragazza, sai. Inizi qui e finisci là. Quindi, “The Oxford Handbook…”, c’è un libro che si chiama davvero così, The Oxford Handbook Of Genocidal Studies. Volevo scoprire di più riguardo il genocidio nei tempi antichi e la canzone arriva più o meno da lì. Quella del genocidio non è certo un’idea nuova, anzi, è molto, molto, MOLTO vecchia, non è stata inventata nella Seconda Guerra Mondiale. Esiste probabilmente da quando gli esseri umani hanno iniziato ad ammazzarsi a vicenda.

Hai scoperto qualcosa di interessante riguardo la cultura degli antichi egizi e il genocidio?

Un sacco di materiale riguarda Sargon II, un re assiro, un tiranno sanguinario e un conquistatore, ma non proprio egiziano. Ci sono anche un sacco di citazioni da Omero, Tucidide, uno storico greco di cui sicuramente sto sbagliando a pronunciare il nome, per cui non si tratta di qualcosa di egiziano, potrebbe riguardare chiunque, qualunque cultura. Mentre lavoravo al brano, questo ha iniziato a cambiare, è diventato uno di quei… Hai presente i manuali stampati che danno ai soldati quando stanno per andare in guerra? Una roba del genere. E la canzone è diventata una cosa tipo: «Si fa così, devi uccidere ogni uomo, donna e bambino». Già. None shall escape the sword [letteralmente nessuno sfugge alla spada]. Originariamente avrebbe dovuto essere questo, il titolo. Ma… si è evoluto. Inizi qui [punta alla sua destra con un dito], finisci là [traccia una linea verso la sua sinistra, drammaticamente].

Adesso una mia curiosità personale: non ho mai trovato una risposta precisa in nessuna delle tue interviste nel corso degli anni, ma qual è esattamente il tuo grado di conoscenza della cultura dell’antico Egitto e delle culture antiche in generale? So che non hai una laurea in materia, ma a che grado arriva la tua passione?

È un interesse casuale, in realtà. Un giorno mi sono svegliato e ho realizzato che ero in una band chiamata Nile, mi sono guardato allo specchio e mi sono detto: hmm, se ascoltassi un gruppo che si chiama Nile, cosa vorrei ascoltare? Ci ho pensato per un po’ ed ecco cosa mi ha portato a iniziare le mie ricerche per i testi. Ho pensato che se dovevo farlo, volevo farlo bene… Ero al Greenville Technical College all’epoca, che aveva un’enorme biblioteca, anzi, in realtà era collegato a molte altre biblioteche di altri college negli States, forse addirittura nel mondo, non lo so, in ogni caso nel 1993 avevano il loro network ed erano tutti collegati tra loro. Potevo cercare un libro in quella biblioteca e trovarlo in qualsiasi altro college. Fu molto utile per iniziare a scrivere canzoni, potevo trovare roba di ogni genere così. Nel tempo il mio interesse è cresciuto; più cercavo e studiavo, più mi interessavo.

E so che il tuo primo viaggio in Egitto è stato solo lo scorso anno, con Nader Sadek. Come lo descriveresti, dopo venticinque anni passati a scrivere canzoni e testi nei Nile?

È stato stupendo. Nader è stato un ospite meraviglioso, ci ha portati ovunque, ho visto cose straordinarie. È stato di grande ispirazione, un paio di canzoni sono proprio frutto di quel viaggio, specialmente “We Are Cursed”.

È stato peggio di come te l’aspettavi? L’Egitto è sempre stata una località vacanziera molto rinomata per gli Europei, ma negli ultimi anni è diventato un Paese più instabile…

Beh, era molto economico andarci, l’anno scorso. È stato questo a proibirmi di andare in passato: l’Egitto non è lontano dall’Italia o dalla Grecia, ma arrivando dagli States è un biglietto da 2000 dollari. Vivo con un budget death metal per cui era assolutamente impossibile. Ma con Nader è stato incredibile, siamo stati benissimo.

Cambio completamente argomento: hai detto in passato che non vuoi parlare delle tue opinioni personali, perché queste vengono decontestualizzate e trasformate in titoloni acchiappaclick e ti sei già espresso in merito [Karl ride]. L’anno scorso ho avuto l’occasione di parlare con Dave Mustaine, e ha detto che non avrebbe discusso le sue opinioni personali, perché aveva paura di alienare parte del pubblico per qualcosa che non aveva nulla a che fare con la musica.

Molto ben detto.

D’altra parte: non è il concetto stesso del metal, e di quello estremo in particolare, non mandarle a dire a nessuno e fregarsene di quello che pensano gli altri?

SÌ! SÌ. È COSÌ. Da uomo con qualche anno sulle spalle che si ricorda cos’era il metal, gli ideali, le convinzioni e la filosofia che gli stavano dietro… Non viviamo più in quel mondo. Abbiamo ancora musica che suona così, ma viviamo in un mondo in cui chiunque si offende per qualsiasi cosa. Non importa di cosa stai parlando, ma se adesso dicessi che la sedia è fatta di alluminio qualcuno ne rimarrebbe offeso, cazzo. [fa il verso] «Come, non ti piacciono le sedie di alluminio? Che problemi hai con l’alluminio?». È folle e questo è il mondo in cui viviamo oggi. Per cui, se vai in giro a parlare liberamente, con questa idea di posso dire quello che mi pare, beh, sì, quella è l’idea del metal, libertà di espressione. Penso che la disco music sia gay? Sì. E se lo dico ora sto offendendo tutti i gay e tutti quelli che ascoltano disco. E adesso sono uno stronzo. Eppure, sai… Ho detto la verità. E quando ero giovane potevo dirlo. Potevo dire: sono metal, e se non è metal, fa schifo ; e volerlo dire davvero, senza offendere nessuno. Oggi? Oggi devi stare attento a tutto quello che dici in pubblico, molto attento.

Ci preoccupiamo di più di non dire cose che potrebbero offendere che di avere effettivamente un’opinione sensata su qualcosa.

Ben detto amico.

Sei anche convinto che siamo destinati all’autodistruzione, giusto? Credi che viviamo in un’idiocrazia.

Sì. Te lo ricordi il film, Idiocracy?

Lo conosco di nome, ma non l’ho mai visto.

Oh amico, devi rimediare! È profetico! Dieci anni dopo o poco più ti guardi intorno e, wow, ti accorgi che è davvero così. È un po’ inquietante, è la natura dell’essere umano, c’è una battuta nel Pianeta Delle Scimmie originale, con Charlton Heston, dove il Dr. Zaius spiega alla giovane scimmia dottore perché non può lasciare che gli uomini facciano quello che vogliono liberamente. Perché finiremmo tutto il cibo, distruggeremmo l’ecosistema in cui viviamo e poi ci sposteremmo per cercarne un altro. Sai, non sono uno stronzo di Greenpeace, non vado in giro a dire salviamo gli alberi o cose così. Non è quella la mia vita, io faccio death metal. MA…

…Vivi in questo mondo.

Vivo in questo mondo. E se mi guardo intorno… Le persone sono stupide, cazzo.

Posso scriverlo e usarlo come titolo?

Puoi scriverlo, sì, perché ce l’ho con chiunque, non con un singolo gruppo o una minoranza, ma la gente, in generale, è veramente stupida. Soprattutto in America, dove puoi vedere l’instupidimento culturale anche rispetto a solo dieci o vent’anni fa. È un tentativo metodico di mantenere la popolazione fottutamente ignorante.

Tentativo da parte di chi?

Beh, qualcuno vorrebbe che fossero gli Illuminati… Io non credo in quelle cazzo di teorie cospirazioniste, mi baso solo sulle stronzate che vedo coi miei occhi. Io dico la classe dirigente più alta, quell’1% di popolazione. Il resto di noi non è altro che un esercito di polli in gabbia. Il nostro unico scopo è di lavorare e pagare le tasse. Consumare prodotti. E basta. È come se fossimo in una grande fattoria, recintati, e in una fattoria nessuno vorrebbe che i polli, le vacche e i porci diventassero troppo furbi, ché se lo facessero direbbero: hey, aspetta un attimo, perché stiamo facendo questo per voi? Non dovremmo badare al nostro interesse?

Il metal estremo potrebbe essere un modo tramite cui risollevarsi.

Assolutamente, ne sono convinto. È una forma individuale di protesta e di sfida: ascolto quello che mi pare, suono quello che mi pare e non mi interessa cosa ne pensi tu. Il problema, credo, è che un sacco di metal è diventato accettabile.

Intendi per le masse o che gli artisti stessi non hanno più quella volontà di scioccare o di agire trasmettendo qualche tipo di valore, qualunque esso sia?

È una questione culturale, in generale. Abbiamo internet da un po’ ormai. Tutti hanno visto tutto. Puoi cliccare su qualsiasi link tu voglia e potrai letteralmente vedere qualsiasi video di qualsiasi band o qualunque cosa riguardo chiunque. Qualsiasi cosa tu voglia scoprire, puoi cliccare, puoi googlarla. Abbiamo così tante informazioni che l’informazione e la disinformazione stanno diventando la stessa cazzo di cosa. In America abbiamo così tante informazioni riguardo cosa il nostro governo sta facendo che nessuno se ne interessa più. Abbiamo un sovraccarico di informazioni. Non puoi processare così tante informazioni, non puoi interessarti, è davvero un modo di tenere a bada le masse. Tenerci tutti stupidi.

È un contrasto molto affascinante, parlarti di persona. Suoni il death metal più intricato e aggressivo da venticinque anni, ma sei molto pacato e ragionato quando parli. Pratichi ancora le arti marziali?

[ridacchia] Sì. Sono cintura nera di quarto livello in Sen-I-Jutsu e ho una cintura nera di primo livello in taekwondo.

Ti aiuta a mantenere la calma e la concentrazione?

Assolutamente. Penso che questa sia proprio la cosa migliore che ho imparato grazie alle arti marziali. La mia prima moglie diceva che ero pericoloso prima di iniziare con le arti marziali. Quando qualcuno cerca di prenderti a pugni e calci, se perdi la calma ci rimetti il culo. Devi rimanere concentrato, i combattenti migliori sono quelli che non si fanno prendere dal panico.