Una serata con Of The Wand And The Moon | Aristocrazia Webzine

Una serata con Of The Wand And The Moon

Quest’anno l’autunno è particolarmente, e preoccupantemente, mite, con giornate tiepide e pomeriggi soleggiati che sembrano voler ritardare il più possibile il buio dell’inverno. Poi arriva la sera del 3 novembre e su Milano si abbatte la tempesta: le temperature crollano di dieci gradi, la perenne siccità che ha caratterizzato il 2022 viene interrotta da un’acqua torrenziale tanto che se credessi in un dio che comanda il meteo secondo i suoi umori mi verrebbe da pensare che qualcuno gli ha ammazzato il gatto. Un gatto, manco a dirlo, di nome Lucifero.

Il 3 novembre è infatti la data in cui, dopo anni di assenza, Kim Larsen riporta sui palchi italiani il suo progetto principale, Of The Wand And The Moon. Seguiranno nei giorni subito successivi Roma, Napoli, Pescara e Bologna, per un totale di cinque date nel Bel Paese, sempre con un accompagnamento diverso in apertura. Per l’occasione della data milanese, ospitata nell’intimo e raccolto teatro Linguaggicreativi di via Villoresi, un’altra ricorrenza interessante: dopo più di tre anni di assenza dai palchi, tornano a esibirsi dal vivo gli Albireon di Davide Borghi, Carlo Baja Guarienti e Stefano Romagnoli, volto noto sulle pagine di Aristocrazia. L’evento promette insomma di essere un ritrovo neofolk delle grandi occasioni, e il piccolo teatro fa il tutto esaurito nonostante il tempo da lupi.

In un contesto così caldo e amichevole, riesco anche a sedermi a un tavolo davanti a Kim Larsen, per scambiare due chiacchiere prima dell’inizio del concerto e fargli qualche domanda. Già dopo pochi secondi sono assolutamente chiare due cose, solo apparentemente in contrasto tra loro: il mio interlocutore è di una gentilezza e disponibilità fuori dal comune, ma è allo stesso tempo molto a disagio. La dimensione dell’intervista dal vivo, quella situazione che porta un perfetto sconosciuto a fargli delle domande e chiedergli dei cazzi suoi, gli piace proprio poco. La prima cosa che chiedo a Kim è com’è la situazione concerti, visto che ha ricominciato a suonare dal vivo a spron battuto, tanto da avere addirittura cinque date in Italia. «Sì, sto suonando abbastanza, in primavera ho fatto dei brevi tour insieme a Brighter Death Now, ora sono qui, mi sto muovendo…», però era da un po’ che non veniva in Italia. Ci pensa un po’ su, «Oh, in Italia… Non me lo ricordo neanche quando è stata l’ultima volta, è da un po’ che non passo di qua. Ho suonato anche con altri progetti però in tempi recenti, qui in Italia, ma non mi ricordo quando ho fatto l’ultimo concerto di Of The Wand And The Moon, suonando cose soltanto mie».

Proprio a proposito di questi altri gruppi di cui fa parte, domando a Kim come mai negli ultimi anni sono stati questi a vivere un’attività più intensa, mentre OTW&TM ha beneficiato solo di qualche singolo sparso e ci sono voluti dieci anni per vedere il seguito di The Lone Descent (2011). Your Love Can’t Hold This Wreath Of Sorrow è uscito nel 2021 perché «Sono successe tante cose: c’è stata una pandemia proprio quando avremmo dovuto registrare, prima avevo passato parecchio tempo in giro a suonare, il mio co-produttore, Mikkel Elzer, è stato negli Stati Uniti per ragioni di famiglia. Però sì, sono passati degli anni tra un album e l’altro». Questa domanda è nata dal fatto che in una qualche vecchia intervista Kim aveva detto che The Lone Descent avrebbe potuto anche essere il capitolo finale dell’avventura di Of The Wand And The Moon. «Sì, ero stanchissimo, prosciugato — anche economicamente. Quando finisco di lavorare a un album sono devastato, ci metto tutte le mie forze e in particolare dopo The Lone Descent ero in un momento pessimo della mia vita». Poi però è andata diversamente. E adesso c’è il rischio di non vedere un altro album di Of The Wand And The Moon? Larsen ridacchia, ma no, «Ho già delle idee per il prossimo disco, e in realtà ho registrato un sacco di canzoni extra che poi non sono finite su Your Love…, perché per queste avevo in mente di creare qualcosa di più cinematografico. Devo solo trovare il tempo di pubblicarle! Il mio co-produttore è al lavoro sul missaggio dei pezzi proprio ora».

È interessante l’utilizzo del termine cinematografico, perché proprio in alcune interviste legate al periodo di Your Love Can’t Hold This Wreath Of Sorrow Larsen ha parlato dell’importanza e dell’affetto che prova verso certo cinema europeo del primo Novecento, da Fritz Lang a F.W. Murnau. Cosa ci aspetta quindi in queste prossime pubblicazioni cinematografiche, saranno esteticamente legate a quell’epoca? «In realtà probabilmente no, ho in mente cose più vicine al cinema dei ‘70, qualcosa che abbia il sound di quegli anni, come se fosse una colonna sonora anni Settanta». Un po’ distante, in realtà, da quell’immagine solitaria e quell’etichetta loner folk che il danese ha più volte usato per descrivere la sua musica. E questo mi porta a chiedere a Kim cosa significhi per lui la solitudine, aspetto così fondamentale in tutta la sua produzione artistica. Lui arrossisce, accenna a una risata, ma poi risponde laconico: «Non sono in grado di spiegarlo, è troppo difficile». Ci pensa su un po’, e poi conclude: «Ascolta le mie canzoni». Pensare che la mia domanda successiva sarebbe stata la stessa, ma rispetto all’altro grande tema della musica di Kim Larsen, che della solitudine è contraltare: l’amore. «Oh no, non saprei da che parte cominciare».

Il termine loner folk, invece, arriva da Mikkel Elzer, il co-produttore di Of The Wand And The Moon, che lo ha usato in riferimento ad alcuni artisti degli anni ‘60 e ‘70 riscoperti solo in tempi recenti come Dave Bixby, Bob Theil e Simon Finn, cantautori ignoti ai più, armati solo di chitarra acustica e poco altro. Speri quindi che il pubblico riscopra la tua musica tra trenta o quarant’anni? «Spero di essere ancora qui a fare musica, tra trenta o quarant’anni!», risponde Kim ridendo, «e di non essere ancora sparito dai radar».

Per il momento non c’è pericolo, visto che il danese è attivissimo su più fronti, e oltre al suo gruppo principale ha anche due progetti paralleli, Solanaceae, di cui è in programma un nuovo album [il primo e unico, l’omonimo “Solanaceae”, risale ormai al 2009], e Les Chasseurs De La Nuit, in cui si firma con lo pseudonimo e anagramma Mark Liens. A questi si aggiungono le collaborazioni: Vril Jäger è un duo formato da Larsen e Thomas Bøjden di Die Weisse Rose, mentre White Chamber è una collaborazione con il chitarrista Iver Ask Overgaard del gruppo post-rock My Beloved. Tutti questi gruppi, controgruppi, progetti e controprogetti sono formalmente attivi, il che dà l’idea di quanto Kim sia attivo e frizzante dal punto di vista creativo. Qual è però la dimensione in cui si sente più a suo agio, quella solista o quella a contatto con altri? Anche qui è difficile ottenere una risposta chiara. «Di solito sono io a scrivere il grosso della musica, poi però tutte le altre persone coinvolte aggiungono la propria parte, non dico mai a qualcuno di suonare in un modo piuttosto che in un altro. Nel caso di Your Love Can’t Hold This Wreath Of Sorrow, per esempio, avrei voluto utilizzare tutto ciò che il trombettista, Bo Rande, ha registrato. È fenomenale. Ricordo che, dopo aver lavorato insieme a lui su The Lone Descent, mi dissi che per l’album successivo lo avrei coinvolto il più possibile, e così è stato. La mia unica esperienza in una vera e propria band, per quanto fossi sempre io a scrivere la musica, non è andata troppo bene…». È odore di Saturnus quello che sento? «Sì», confessa Kim scoppiando a ridere. Quindi non hai più rapporti con il gruppo in cui hai militato a inizio carriera e per cui hai praticamente scritto i primi due album? «No, no, direi di no. Ho sentito qualche volta Brian Pomy Hansen, il bassista, ma si parla ormai di anni fa».

Un aspetto particolarmente evidente, mettendo a confronto i primi album di Larsen e le pubblicazioni più recenti, è invece l’allontanamento dal mondo delle rune e della mitologia. «È vero. Credo, con l’andare degli anni, di aver più o meno trovato il mio sound, il mio modo di creare musica, e questo mi ha portato a discostarmi parzialmente da ciò che facevo agli inizi, quando ero così fortemente influenzato dai Current 93 e dai Death In June. Ci sono ancora, le rune sono ancora nascoste da qualche parte nella mia musica, ma non sono più così evidenti». Le rune, tra l’altro, sono un elemento che spesso porta con sé delle — errate e superficiali — considerazioni di appartenenza politica, e per uno come Kim Larsen, che da sempre ci tiene a sottolineare la sua linea assolutamente distante da qualunque schieramento ideologico, questo è sempre stato motivo di dispiacere. «Non è per questo motivo che le rune sono meno presenti nella mia musica, ma sono davvero stufo di essere coinvolto dalla destra e dalla sinistra per quello che faccio. E sì, l’utilizzo delle rune mi ha causato qualche fastidio, sia da una parte che dall’altra, ma io non voglio in alcun modo che la politica diventi parte della mia musica».

Quindi non suoni per nessuno in particolare, non hai in mente un pubblico di riferimento quando componi le tue canzoni. «Assolutamente no. Semplicemente, scrivo la musica che vorrei sentire, che mi piace, e cerco di realizzarla al meglio. Anche per questo non sarei mai in grado di pubblicare un album ogni due anni e poi passare tutto il tempo in tour, non mi piace l’idea di rinchiudere il mio progetto artistico all’interno di un business plan, non potrei mai farcela».

Tutte le fotografie sono di Rachele Salvioli, utilizzate per sua gentile concessione e del Teatro Linguaggicreativi di Milano.

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