Samuele Innocenti, tra musica, arte e percezioni della realtà

Samuele Innocenti, tra musica, arte e varie percezioni della realtà

Quando ci si trova a parlare con un artista dalla mente vulcanica, inevitabilmente la conversazione apre svariate porte su differenti aspetti della realtà e della creazione artistica su cui magari, a  volte, non ci soffermiamo abbastanza, soprattutto quando ascoltiamo un disco oppure osserviamo un’opera grafica. La conversazione che ho avuto con Samuele Innocenti ha sortito proprio questo effetto: oltre a parlare degli innumerevoli progetti in cui è coinvolto, in primis O e Bad Bare Black Bones, infatti Samuele ha offerto spunti di riflessione interessanti su una pletora di tematiche, dalle questioni ambientali alle piaghe della società, passando per la comunione esistenziale con il macchinista di un treno e altri aneddoti.


Prima di entrare nel merito della musica, la prima domanda che ti vorrei fare è la seguente: dal momento che tu sei anche un illustratore, la creazione di un’opera — che sia musicale o legata alle arti figurative — è una forma di espressione artistica fatta per te stesso o per comunicare qualcosa ai fruitori?

Samuele: Io credo che sia un insieme delle due cose, e penso che questo possa essere detto di qualsiasi forma d’arte. Creiamo qualcosa per noi stessi: nel momento stesso in cui scatta il meccanismo del portare alla luce un’opera, ci interessa anche egoicamente mostrarla agli altri, comunicare loro qualcosa e al tempo stesso liberarci. L’espressione artistica è una forma di liberazione da qualcosa che ti turba dentro, altrimenti non avresti nessuna necessità di esprimerti, valutarti e allo stesso tempo farti anche valutare dagli altri, è un meccanismo implicito senza il quale tale espulsione non avrebbe senso. Per quanto riguarda la creazione artistica, a volte è molto impulsiva, altre volte invece è frutto di lunghe elucubrazioni, ma parte sempre dalla necessità di riversare qualcosa verso l’esterno.

Prima di partire con la creazione, di solito ti documenti o lasci che il processo artistico parta da uno stimolo che poi vai ad approfondire?

Dipende: premetto che sono una persona estremamente lenta nel suo processo creativo, perché questo deve avere una forma che mi interessi e che possa interessare agli altri. Detto ciò, a livello di disegni parto spesso da un soggetto e poi immagino cosa possa capitargli attorno, in seguito magari lo modifico. Per quello che riguarda invece la stesura dei testi, è facile che possa partire direttamente con alcune strofe o rime, per poi magari collegarle tra loro e aggiungere in un secondo momento delle rime che, in realtà, vengono prima. Altre volte, invece, parto semplicemente dal titolo e poi rielaboro i concetti.

Visto che hai parlato dei testi, mi vorrei riallacciare a questo argomento: una cosa che mi ha colpito molto riguardo gli album degli O, in particolare di Antropocene [che abbiamo inserito anche tra le migliori uscite italiane del 2020] è il contrasto fra i titoli ermetici e i testi, ricchi di citazioni. Da cosa trai ispirazione?

Posso dirti che hai toccato un punto interessante perché Antropocene è diverso da quanto avessimo fatto prima, dal punto di vista lirico, musicale e anche concettuale. In precedenza, avevamo esplorato molto di più il lato introspettivo della vita, della gente, degli stati emotivi: si trattava inoltre di testi nichilisti. All’interno de Il Vuoto Perfetto e Pietra avevamo già affrontato discorsi sull’inquinamento e sulla fame nel mondo, ma era come se avessi scritto i testi in prima persona. Da un lato, questo mi aveva stufato; dall’altro, in un disco che era già in partenza molto grosso come Antropocene non avrebbe avuto senso portare avanti questo tipo di narrativa, perché avevamo ulteriormente dimezzato i riff, tolto molte influenze che c’erano prima e ci eravamo messi a suonare quasi solo del post-black metal feroce. Inoltre, ci piaceva il fatto che i titoli dei brani potessero riassumere in una sola parola gli svariati concetti che compaiono all’interno di Antropocene, che illustrano come il mondo stia finendo a causa dell’Uomo: trattiamo di aspetti come il cancro, l’inquinamento delle acque, la vendetta, tematica di cui si parla in “Izo”, ispirata a un film di Takashi Miike. In “Era” troviamo una visione nichilista e obliterante e citiamo passaggi presi da La Nausea di Sartre, mentre per “Mare Morto” abbiamo estrapolato alcune parti di “When The Music Is Over” dei Doors. Nel processo di scrittura dei testi e delle canzoni, è stato come se prima avessimo costruito una grande impalcatura e poi avessimo edificato sopra il palazzo pezzo per pezzo. È tutto molto complesso e variopinto proprio perché avevamo in mano qualcosa di più grande rispetto ai lavori precedenti e sentivamo dunque la necessità di entrare maggiormente nei dettagli.

All’interno di Antropocene, molti testi parlano non solo dell’elemento umano, ma anche di quello legato alla Natura e all’ambiente. Negli ultimi anni sono usciti parecchi dischi che trattano questo tipo di tematiche, come ad esempio Death Atlas dei Cattle Decapitation. Secondo te quale dovrebbe essere il rapporto ideale tra l’essere umano e la Natura?

Quello che avrebbe dovuto essere da sempre: un rapporto di distacco e rispetto, specialmente per quanto riguarda gli animali. Dovremmo cercare di non molestarli, di lasciarli il più possibile vivere liberi nel loro habitat e di adottare tutta una serie di accorgimenti che poi sfociano nell’utopia più totale. Questo improvviso interesse verso l’ambiente e verso nuove forme di alimentazione, ma anche verso tematiche attenzionate in questo periodo come l’omofobia e il femminismo, è arrivato però un po’ troppo tardi, perché siamo messi veramente male. Vedo sempre una grande contraddizione fra i tentativi fatti per sensibilizzare le persone su questi argomenti e il comportamento effettivo della gente. La nostra è una specie estremamente irrequieta e ingrata. Io nel mio piccolo cerco di contenere i danni e penso sia il massimo che si possa fare, perché è difficile risvegliare una coscienza collettiva nel 2022. Evidentemente non siamo così intelligenti se, appena usciti da una pandemia mondiale, ci troviamo in mezzo a una guerra.

Questo è vero: penso anche al fatto che durante la pandemia molti spazi si fossero svuotati e alcune specie animali avessero ripreso possesso di questi ambienti. Un fenomeno del genere avrebbe dovuto farci riflettere, e invece tutto è tornato come prima.

Sono d’accordissimo con te e posso raccontarti un episodio interessante a riguardo. Durante i primissimi giorni di pandemia, stavo facendo dei lavori di giardinaggio vicino a una ferrovia, dove tagliavo legna secca che, in caso di siccità, avrebbe preso fuoco. Mi ricordo del cielo più pulito che avessi mai visto e ricordo anche di essere stato salutato dal conducente di un treno che stava passando, solitario, in quel momento. Credo sia un avvenimento mai successo nella vita, perché solitamente il veder passare un treno che ti ignora, allo stesso modo in cui tu ignori gli altri esseri umani, è un fatto del tutto ordinario. Immersi in quel silenzio, però, dove le presenze umane si riducevano a un lumicino, era bello vedere come sotto un cielo terso due persone che non si sarebbero mai guardate abbiano avuto invece quasi piacere a incrociare i loro sguardi, trovandomi spesso una situazione di stallo. In quei momenti mi capitava di pensare se avremmo capito qualcosa di tutto questo e se sarebbe servito a qualcosa. E la risposta è stata naturalmente di no, non è servito a nulla. Ci siamo spaventati troppo tardi e non abbastanza.

Cambiamo argomento: spiega ai lettori di Aristocrazia quali sono gli altri progetti di cui fai parte.

In realtà sono diversi: ho iniziato quasi per caso a collaborare con una simpatica ragazza di Ferrara, di nome Elena Micheli, che tra l’altro è una bravissima illustratrice. Lei mi chiese di riempire con dei vocalizzi quattro tracce di basso che aveva registrato, cosa che feci a casa, trovandoci in un altro periodo di lockdown. Queste tracce di voce improvvisata sono diventate parte di un progetto chiamato Bad Bare Black Bones, molto strano e particolare, industriale, quasi aritmico, che colpisce molto grazie alla sua originalità. Pare che Bad Bare Black Bones sia molto piaciuto a un suo amico addetto al mixaggio, al punto da voler stampare il vinile. Siamo riusciti a suonare una data a Carpi e penso che porteremo ancora il progetto dal vivo.

In secondo luogo, se gli astri saranno tutti allineati sarebbe molto bello far uscire il progetto ambient che ho con Michele Roverselli, che è anche mio cugino. È una cosa che abbiamo in ballo da quattro anni, il lavoro ci piace molto ed è quanto di più oscuro e assurdo potessimo creare insieme: abbiamo esplorato un aspetto musicale che né lui né io conoscevamo ma è stato molto bello creare.

Inoltre, dovrei rimettermi a lavorare sul mio progetto solista blues, per il quale sono già pronte alcune canzoni e alcune composizioni. Sono tutte cose che non ho avuto tempo di portare avanti in questi anni e quindi si prospetta un altro anno interessante, ho molti progetti in ballo e vorrei seguirli tutti con molta attenzione e calma.

Tra i generi che hai citato, ce n’è uno che senti più tuo al momento?

Per rispondere alla tua domanda, premetto che sento una grande fame a livello artistico ed espressivo. Sto lavorando tantissimo sulla mia voce, cercando di trovare in essa nuove sfumature, nuovi lidi e nuove sfide: si tratta di un aspetto venuto fuori lavorando al progetto con Elena. Sto anche cercando di capire come utilizzare bene la voce, usandola in maniera pulita nel progetto blues e come corredo per quanto riguarda il progetto ambient, formato da versi cantati a grande distanza dal microfono. Negli O, invece, è sempre bello e graffiante tirare fuori la massima potenza vocale.

In realtà, tutti questi sono elementi che mi appartengono, ma in questo periodo mi interessa molto il discorso atmosferico-ambientale, sto ascoltando diversi compositori e musica cinematografica: Philip Glass, György Ligeti e Riz Ortolani. Ascolto anche molta musica classica e non mancano mai ascolti più cattivi, come il black metal e tanto hardcore, ad esempio i Wolfbrigade. In questo periodo ho la testa intasata di musica, ma se dovessi registrare qualcosa nell’imminente sceglierei quello che sto facendo con Elena, qualcosa di minimale e oscuro, in cui sperimentare senza testi, lasciando libera la voce.

La tua passione per la musica e quella per il disegno si sono sviluppate in modo parallelo o consecutivo?

Per me è nata prima la passione per la musica e solo in un secondo momento si è aggiunto il disegno, ma le due per me sono intercomunicanti. Ho iniziato a disegnare nel 2010, sei anni dopo il diploma. Era un lato che non avevo mai considerato: avevo finito l’artistico, nonostante me la cavassi non avevo più avuto interesse a mettere mano a un disegno. Questo interesse è emerso in un secondo momento e le due cose hanno iniziato a fondersi: la musica e il disegno sono impossibili da separare per me, quando creo ascolto sempre qualcosa e mi piacerebbe tantissimo iniziare a disegnare le mie canzoni, cosa che ho iniziato a fare con Antropocene, sebbene con grande lentezza, date le dimensioni dei disegni. Mi piacerebbe creare un percorso illustrativo, canzone per canzone, per renderlo ancor più massiccio ed esplicito.

Tra i disegni che hai realizzato fino ad ora, ce n’è uno a cui sei particolarmente legato?

Sì, senza alcun dubbio; è stato il primo disegno 100×70 che ho fatto e raffigura un coccodrillo, visto da sott’acqua, che sta per attaccare due bagnanti. Essendo un grandissimo amante degli animali, specialmente dei rettili e nello specifico dei rettili giganti, è un disegno di cui vado molto fiero perché è stato il primo di molte cose: il primo disegno di grandi dimensioni che ho dovuto studiare meticolosamente, ed è stato il primo disegno che ho completato con la mano sinistra, che ho usato per colorare.

Sei ambidestro, quindi?

Sì, sono diventato ambidestro, non solo per il disegno ma anche per la scrittura. È una cosa che mi sono imposto anni fa, in un periodo particolarmente noioso, in cui mi sono chiesto: chissà come si annoia un mancino! [ne so qualcosa]

Sei anche l’autore della cover art di The Man Behind The Sun, dei SednA, che a me personalmente è piaciuta tantissimo, è bellissima! Hai ricevuto direttive precise a riguardo o ti è stato chiesto di fare quello che volevi?

Ti ringrazio, anche l’album è molto bello! Crisa [Alex Crisafulli, chitarrista e cantante dei SednA] è stato molto preciso a riguardo: mi ha chiesto un gigantesco Sole, disegnato con il mio stile, e un uomo di spalle al centro. L’idea mi è piaciuta molto e mi sembrava un’immagine sufficientemente potente, perciò non c’è stato bisogno di arricchirla con virtuosismi e particolari ulteriori, mi sono semplicemente messo a elaborare la sua idea a mio modo. In realtà, quindi, si è trattato di un insieme delle due cose, però forse preferisco avere a che fare con persone che abbiano le idee molto chiare, perché mi stimola l’idea di fare qualcosa che io normalmente non farei, secondo l’ottica di un’altra persona. È stata la mia prima volta ed è stato molto bello, anche se impegnativo: i disegni semplici richiedono sempre molto impegno perché sono poveri di dettagli, non si tratta di dipinti fiamminghi e le figure devono avere il giusto impatto, soprattutto se rappresentano i concetti musicali di un album. A maggior ragione, dunque, l’interpretazione deve essere molto diretta e accurata.

Che impegni hai per il 2023?

Ho tanta voglia di rimettermi in forma a livello vocale, perché ho compresso il diaframma allenandomi con i pesi e vorrei riprendere pieno possesso delle mie facoltà vocali. Ho voglia di suonare date sia con i Bad Bare Black Bones che con gli O, proseguire i miei progetti e portare avanti i disegni su commissione. Oltre a restare vivo, naturalmente.

Illustrazioni:
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O:
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Bad Bare Black Bones:
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