BLACK WINTER FEST VIII (05/12/2015 @ Colony, Brescia) | Aristocrazia Webzine

BLACK WINTER FEST VIII (05/12/2015 @ Colony, Brescia)

Evento: Black Winter Fest VIII
Data: 05/12/2015
Luogo: Circolo Colony, Brescia
   
Gruppi:

  • Abhor
  • Acherontas
  • Ad Hominem
  • Nokturnal Mortum
 

 

E ci pensavo, e ci ripensavo, e ci pensavo un'altra volta. Brescia non è così lontana, ma sono sempre trecento chilometri tra andata e ritorno, immerso nella nebbia della bassa. «Se trovo qualcuno che mi accompagna, vado». Meno male che Guglio, bassista delle Rape, passava di lì per caso: «Man, andiamo al Colony stasera?». «Ok». E siamo partiti.

Guarda l'album fotografico


Abhor

Con grande rammarico per ragioni di orario non siamo riusciti a vedere le prime formazioni avvicendarsi sul palco, tra cui i Nova, i nostri amici Veratrum (che prima o poi però incrocerò, è una promessa che riuscirò a onorare) e la nuova incarnazione dei piemontesi Skoll. Quando entriamo al Colony, come sempre brulicante di nerovestiti capelloni, è già il turno degli Abhor.

Il gruppo veneto, forte del recente "Ritualia Stramonium" e dell'aggiunta in pianta stabile di un quinto elemento addetto a organi e tastiere è senza ombra di dubbio il più old school tra i nomi della serata: un black metal freddo, occulto e misticheggiante avvolge la sala, mentre Ulfhedhnir vomita su di essa improperi, bestemmie e qualche incantesimo. La presenza del quintetto è buona e i brani scorrono rapidi, tra un blast beat, qualche inserto sinfonico e riff freddi da far prendere la polmonite gentilmente concessi da Kvasir e dal fondatore del progetto Domine Saevum. Particolarità: lungo l'arco dell'esibizione i due musicisti si sono scambiati strumento e posizione, da basso a chitarra e viceversa, senza soluzione di continuità, cosa piuttosto inusuale. A ogni modo, gli Abhor sono stati ottimi latori del nero verbo e il perfetto benvenuto per noi ritardatari.


Acherontas

Rapido cambio palco, giusto il tempo di una media all'affollato bancone del Colony — che non solo è ormai forse l'unico riferimento rimasto per il metal underground del Paese, ma ha anche della buona birra — e due candelabri si accendono davanti alla postazione della batteria. Acherontas e compagni prendono posto dietro ai rispettivi monitor e non ce n'è più per nessuno.

Abbastanza complesso da affrontare negli episodi in studio, il quintetto greco trova nell'esibizione dal vivo, contrariamente alle mie personalissime aspettative, la propria dimensione perfetta. Sarà perché costretti ad asciugare un po' la loro vena artistica (indiscutibilmente prolissa), sarà perché l'atmosfera che riescono a ricreare con qualche semplice accorgimento estetico dato da candele e bandane è ottimo, resta il fatto che l'ora scarsa a disposizione degli alfieri dell'occultismo ellenico scivola che è un piacere. Tolti due tedeschi mentecatti che danno fastidio per buona parte dell'esibizione, riuscendo pure a rovesciarmi sulla schiena la loro birra (idioti), il concerto degli Acherontas è stato senza se e senza ma il momento più alto del mio Black Winter Fest. Il muro sonoro della chitarra di Acherontas, perfettamente sposato alle sue urla litaniache e ai colpi sordi di batteria, predica il Male con un fascino proprio di pochi. Ottimi.


Ad Hominem

Al secondo cambio, finalmente i Veratrum si fanno vedere e riusciamo a scambiare quattro chiacchiere, ma non solo: sfruttando tutto il nostro carisma, scrocchiamo loro anche un ingresso nel borghesissimo backstage del Colony, con addirittura bottiglie d'acqua, divanetti e bagno privato. Un'ottima postazione da cui osservare gli Ad Hominem e il loro black a tinte thrash.

Con il solito condimento di saluti romani da parte della folla, che pare non stancarsi mai di rendersi ridicola, anche nel 2015, la controversa formazione franco-piemontese spara le sue cartucce con il giusto piglio militaresco e l'accompagnamento di un sound belligerante di matrice fondamentalmente punk. A loro volta piacevoli, soprattutto nei momenti più concitati, ma non proprio la mia «cup of tea».


Nokturnal Mortum

Mentre Haiwas e compagni se ne vanno e ci costringono ad abbandonare la postazione privilegiata, Knjaz Varggoth e soci prendono posto nel fermento generale: la prima esibizione italiana dei Nokturnal Mortum in quasi venticinque anni di carriera è ormai prossima. Giusto il tempo di montare qualche ammennicolo di scena, tra cui spicca uno scheletro animale (che ha tutta l'aria di essere una pecora, ma che in verità potrebbe essere qualsiasi cosa) come asta per il microfono ed ecco i quattro Ucraini salire sul palco addobbati di pelli e pitture tribali.

Francamente, sono rimasto un po' deluso dall'approccio scelto dai Nostri per questa serata: tutta la parte folkloristica, ma proprio tutta, era frutto di registrazioni preimpostate, sul palco non c'era nulla che non fossero basso, chitarra e batteria, nemmeno una comune tastiera. Considerato che la proposta dei Nokturnal Mortum fondamentalmente È il folklore dell'est misto a black metal, la cosa mi ha lasciato abbastanza perplesso. A maggior ragione dall'abbandono delle discutibili ideologie destroidi degli inizi in favore di una filosofia più pagana e naturalistica (corroborato anche dal recente cambio di logo e dall'addio alle simbologie anticristiane), l'interesse verso tutta quella parte tradizionale e folkloristica è addirittura aumentato, perciò la scelta di fare del proprio elemento distintivo un semplice orpello di contorno è stata quantomeno discutibile. Vero è che essendo Knjaz Varggoth autore ed esecutore della totalità delle musiche sarà ben difficile trovare un modo per far quadrare questo cerchio, ma così il concerto ha lasciato un retrogusto di incompiutezza. I Temnozor, tanto per dirne una, si portano appresso almeno il flautista.

Mi auguro di incrociare nuovamente la strada dei Nokturnal Mortum per poterli vedere in modo diverso e completo, per il momento ci si deve accontentare.


Nonostante la parziale perplessità finale, io e Guglio ci infiliamo in macchina soddisfatti della serata, degli incontri fatti, della birra bevuta e ovviamente della musica, pronti ad altri centocinquanta chilometri immersi nella nebbia della «Pianura Pagana» (cit.) fino ai colli insubri.