DEAFHEAVEN + Atomikylä (22/08/2016 @ Tavastia, Helsinki)
Evento: | Deafheaven + Atomikylä |
Data: | 22/08/2016 |
Luogo: | Tavastia, Helsinki, Finlandia |
Gruppi:
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Lunedì pomeriggio mi contatta una mia amica alla disperata ricerca di compagnia per il concerto dei Deafheaven che si sarebbe tenuto la sera stessa, e io rispondo «No, grazie». Dopo un po', però, mi dico che tapparsi in casa non è una buona soluzione al problema del malumore che mi affliggeva ormai da qualche ora, quindi il potere della musica live inizia lentamente ad avere il sopravvento ed ecco che alle 20:50 siamo entrambe al Tavastia, con i nostri fiammanti biglietti (scontrini) in mano, dirette verso la scala che porta al piano rialzato del locale.
Atomikylä
Entrambe decidiamo che siamo troppo stanche per metterci a sgomitare per la prima fila e ci appollaiamo su uno dei gradini, notando subito che la visuale è ottima nonostante la ringhiera. Dopo appena cinque minuti compaiono sul palco quattro teste dalla folta chioma che rispondono al nome di Atomikylä, band nata per consolidare il fraterno connubio tra i Dark Buddha Rising (da cui provengono il cantante-chitarrista V. Ajomo e il batterista J. Rämänen) e gli Oranssi Pazuzu (T. Hietämäki al basso e J. Vanhanen alla chitarra-voce). Il caso ha voluto che mi fossi ascoltata il nuovo disco "Keräily" proprio il giorno prima, quando nemmeno progettavo di andare a sentirli dal vivo, per mero caso e pura curiosità, e che, udite udite, non fossi riuscita bene a capire se mi piacesse o meno. Psichedelia mista a drone, a sludge, a stoner… un qualcosa che non ero riuscita a classificare ma che mi aveva sicuramente colpito.
Se avete presente gli Oranssi Pazuzu, probabilmente saprete già che suonano una roba allucinatissima e a sé stante, ma gli Atomikylä sono, se possibile, ancora più fuori dal mondo. Bene, posso dire che dopo averli ascoltati dal vivo — solo per mezz'ora a causa del tempo necessario a preparare il palco per i Deafheaven e della lunghezza granitica dei loro brani — ho cambiato idea: sono malatissimi, sì, e li adoro. Atmosfere soffocanti, effetti rumorosi e disturbanti («I NAZGÛL!»), ritmi quasi sempre lenti e a volte in controtempo sono gli ingredienti principali della musica di questi quattro signori che — niente da fare — hanno proprio voluto esagerare. Nonostante fossi abbastanza distante dal palco, le mie orecchie hanno sofferto per qualche minuto, prima che la mia amica decidesse, con una mossa alla MacGyver, di sopperire alla nostra mancanza di tappi per le orecchie — rigorosamente dimenticati nello zainetto — con un qualcosa che fosse in grado di… tamponare il suono, non so se mi spiego. Come accennato qualche rigo più su, l'esibizione dei gentiluomini capelluti dura soltanto mezz'ora e me ne scopro dispiaciuta.
Deafheaven
Alle 22:00 arrivano sul palco i post-blackgazer Deafheaven, che avevo già visto nel 2014 a Praga — anche stavolta trascinata da amici, perché all'epoca non conoscevo affatto la band — il giorno prima di partire alla volta del Brutal Assault. Di quel concerto ricordo soprattutto il viaggio della speranza per arrivarci — un'ora cercando di orientarci in un parco enorme — e le dimensioni ridottissime del locale, le quali consentivano al cantante George Clarke di toccare il soffitto con tutto il palmo della mano. A parte questo, il live fu piacevole, Clarke non stava fermo un attimo e la folla era fomentatissima. Uscii da lì pensando di dovermeli assolutamente recuperare su disco, cosa che poi, per ragioni varie, non ho mai fatto.
Anche stavolta, quindi, mi guardo i Deafheaven senza aver mai avuto modo di approcciarmi a loro via disco, nonostante lo scorso anno sia uscito anche il nuovo lavoro "New Bermuda". Parto carica per via dei ricordi praghesi, ma bastano cinque minuti per rendermi conto che questo live sarà diverso: Clarke si muove e fa casino come sempre, ma il resto della band sembra morta. Lobotomizzata. Non percepisco passione né voglia di suonare, il bassista ogni tanto fissa un punto imprecisato per quasi dieci secondi prima di riprendersi, il chitarrista Shiv Mehra non sembra affatto felice di essere lì e a tratti suona delle note, durante gli intervalli solisti, che non riesco bene a capire se siano dovute a una chitarra accordata male, se siano delle semplici dissonanze che io percepisco in modo errato per via dei miei tappi improvvisati o se siano proprio le note che sono state incise anche sul disco. Più in là verrò a sapere, da fan più esperti, che "New Bermuda" non è un granché e che — forse — la risposta al dilemma potrebbe essere semplicemente questa. L'altro chitarrista Kerry McCoy, a onor del vero, fa quel che può, mentre Daniel Tracy dietro le pelli sembra felice di essere lì. Alcuni brani, specie quelli tratti dal predecessore "Sunbather", contribuiscono a ravvivare un po' la mia attenzione nei confronti di quello che — altrimenti — giudico un concerto carino ma qua e là ben poco entusiasmante.
Mentre ci avviamo verso casa non posso fare a meno di pensare che ho preferito di gran lunga gli Atomikylä.