FORDOMTH + Prison Of Mirrors (07/02/2020 @ Evilution Club, Acerra)
Evento: | Nome evento |
Data: | 07/02/2020 |
Luogo: | Evilution Club, Acerra (NA) |
Band:
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Foto: | Valerio Pagano |
Usciti dal comfort della propria regione per andare a consegnare a domicilio male e disagio, i catanesi Fordomth hanno portato avanti il loro primo mini-tour di tre date lungo lo Stivale in maniera rispettabilissima. E così, dopo che G.E.F. li ha molestati con un’intervista (che leggerete nei prossimi giorni) durante la loro esibizione a Roma, il sottoscritto è corso a goderseli al solito Evilution Club in compagnia dei salernitani Prison Of Mirrors.
Ad aprire le danze è stato il quartetto mio conterraneo, che ha iniziato a far capire ai presenti di che pasta è fatto già prendendo posto sul palco del locale. Tuniche lunghe e pesanti, pentacoli capovolti come pendenti al collo, candelabri, bafometti, gesucristi e croci all’ingiù: l’abito non fa il monaco, ma ciò non toglie che spesso la prima impressione non è completamente sbagliata; e questo è stato uno di quei casi. I Prison Of Mirrors sono alfieri di un black metal di matrice squisitamente francese, a metà strada tra le atmosfere più dissonanti dei Deathspell Omega e i momenti più pachidermici dei The Great Old Ones; vista la tipologia di proposta, la loro esibizione sarebbe potuta essere di grande effetto, ma sfortunatamente è stata resa molto meno soddisfacente del previsto a causa di alcuni piccoli problemini tecnici.
Certo, per alcuni avere chitarre prettamente zanzarose totalmente confuse nel mix e sovrastate dai possenti blast di batteria (opera di Bestia, in forze anche presso gli Earth And Pillars), dalle metriche di basso e dai rantoli mefitici della voce potrebbe essere stato anche piacevole, come una sorta di omaggio ai disagi novantiani; ma anche no. C’è stata, a ogni modo, una leggera ripresa nella seconda metà dell’esibizione: i suoni sono stati bilanciati leggermente meglio, lasciando emergere dall’impianto alcuni riff delle sei corde, multiformi e quasi sempre dissonanti, facendo sì che i presenti ci capissero qualcosa di più; purtroppo questo non è comunque stato abbastanza da poterci far godere appieno i cinquanta minuti di esibizione dei Prison Of Mirrors. Davvero un gran peccato.
La performance dei catanesi, d’altro canto, non è stata segnata da alcun tipo di problema tecnico e così il quantitativo estremo di disagio e marciume di cui si sono fatti amorevolmente dispensatori è stato ricevuto forte e chiaro dai presenti. La prima mezz’ora di concerto è volata quasi senza la minima pausa, in un enorme flusso di violenza acustico-emotiva rivolto contro di noi, contro loro stessi e, probabilmente, contro tutta l’umanità. Il quartetto sarà anche nato e cresciuto all’ombra dell’Etna, ma vomita il suo micidiale magma nero come ispirato dalla violenza del Vesuvio. Sebbene la principale coordinata stilistica dei Fordomth siano i Wiegedood, il loro approccio non è limitato esclusivamente a quello stile: residui del precedente taglio marcatamente funeral doom infestano come fuochi fatui l’intera scaletta, tra rallentamenti al limite del sostenibile, growl gutturalissimi e arrangiamenti straziantemente pesanti, donando ulteriore vigore a una soluzione già di per sé profondamente grossa.
L’ora trascorsa sul palco dai Fordomth passa via che è un (dis)piacere: il loro approccio è muscolare, il cantato — probabilmente l’elemento di maggior pregio all’interno di un contesto uniformemente di un certo livello — è sanguigno e passionale e i presenti ne vengono fuori come riscossi da una condizione di trans estatica, dalla quale con molta probabilità non erano pronti a uscire. Se, come mi hanno poi detto gli stessi membri della formazione siciliana, i brani eseguiti provengono quasi esclusivamente dal loro nuovo album (del quale potrebbe o non potrebbe essersi già parlato in sede di intervista), eccezion fatta per “The Chanting Void”, estratto dallo split dello scorso anno coi conterranei Malauriu, potremmo già avere un primo, serissimo contendente alla lista dei dischi del 2020.
Nota: grazie ancora una volta a Valerio Pagano per averci dato la possibilità di utilizzare le sue foto in questo articolo.