Frantic Fest 2022, la vacanza dei vermi a Francavilla al Male
Dopo qualche anno di rinvii e cambi di programma per motivi di forza maggiore (leggi alla voce “pandemia da Covid-19”), il Frantic Fest ha ripreso ad allietare l’estate degli abitanti di Francavilla al Mare — gentilmente ribattezzata dagli organizzatori Francavilla al Male. Tre giorni, ventisette band e un opening party con headliner gli Shores Of Null: questo è stato il programma del fest astro nascente del panorama brutto e cattivo del Belpaese, programma all’insegna del disagio, dell’ignoranza e delle mazzate.

Giorno 0: Opening Party
Porte aperte alle 4:00, gente appostata all’ingresso dal primo momento e posti tenda occupati da subito. Il giorno zero, quello dell’opening party, non ha fatto i numeri dei giorni a seguire, ma Francavilla si è animata subito, lentamente invasa da quelli che, a occhio e croce, sono inequivocabilmente metallari. Sistemati gli ultimi dettagli tecnici e inaugurata la sagra dell’arrosticino, sul palco del fest abruzzese si sono susseguiti gli artisti responsabili dell’ingrato compito di scaldare il pubblico in vista del macello in arrivo: Comanoise, Mykimono, Sons Of Thunder e, padrini onorari della serata, Shores Of Null.

Direttamente da Pescara, i Comanoise sono stati i primissimi a scontrarsi con il pubblico presente già dalla serata zero del fest: non tantissimi, ma neppure fuffa. Trio strumentale fondamentalmente prog metal, ma dall’animo decisamente molto più cafone, la band ha dato il calcio d’inizio all’edizione 2022 del Frantic con la giusta botta di energia, tra un djent d-djent e uno smadonno. Dopo di loro, è stato il turno dei più navigati Mykimono, quartetto di L’Aquila che, per sua stessa ammissione, è più un progetto di lunga data che una band vera e propria. Alfieri di uno shoegaze/post-rock potenzialmente interessante ma, nel pratico, un po’ piatto, i Nostri hanno incarnato un altro lato dello spirito della kermesse: quello che, di lì a poco, sarebbe stato rappresentato dal nome grosso della giornata. Prima degli headliner ha preso posto sul palco la truppa dEi Sons Of Thunder, quintetto romano di un’ignoranza unicissima nell’accezione più positiva possibile del termine. Hard rock energico e caciarone, ispirato dalla voglia più pura e sincera di voler divertire e volersi divertire; un ascolto a “Thunderhood” e “Turn It Up” basterà a comprendere l’entità del danno.

A chiudere in bellezza la prima serata frantica del 2022, per la ridente contrada di Francavilla, gli Shores Of Null. Accompagnati da Leonardo Sapio dei Thecodontion al basso e dalle occasionali comparsate di Martina alle urla aggiuntive, Davide, Gabbo, Raffaele ed Emiliano hanno regalato ai presenti, estasiati, una performance di alto livello, portando sul palco malvagio e cattivissimo del fest il loro ultimo lavoro: Beyond The Shores (On Death And Dying). Ineccepibili, emozionanti e calati al 101% nei rispettivi ruoli, i doomster nostrani hanno risvegliato la voglia di de-esistere di tutti i presenti, riducendo qualche anima pia — assolutamente non io — anche alle lacrime. Punti extra assolutamente meritatissimi per la riproduzione del videoclip girato da Martina, Leonardo e colleghi di Sanda Movies nel corso dell’intera performance della band, che in questo modo si è trasformata in un’esperienza multimediale magnifica.
Giorno 1: OvO, Godflesh, Nunslaughter
Indispettita, Francavilla ha accolto campeggiatori e avventori del Frantic Fest con un cielo coperto e la promessa di maltempo. Doppio palco, per l’inaugurazione definitiva, ma anche banchetti del merch della qualunque e molta più gente tra le fila del pubblico: a occhio e croce tra le 5 e le 700 persone hanno deciso di invadere il Tikitaka con l’unica intenzione di godersi una giornata all’insegna del male.

A dare il calcio di inizio, gli Oreyeon sul palco piccolo e i Messa sul grande: i primi, relativamente freschi della pubblicazione di Equations For The Useless sulla sempre affidabilissima Heavy Psych Sounds, alfieri di uno stoner doom sincero e senza grosse pretese di innovazione; i secondi, ormai di casa da queste parti sia con questa formazione che con i progetti collaterali dei suoi membri, dispensatori di gioie e cosmicismi con la loro formula che mescola rock, blues, doom e psichedelia.

Impegnati a intervistare Stefania e Bruno degli OvO da dietro le quinte, il set dei Naga per ovvi motivi è stato l’unico a mancare all’appello. A giudicare dai suoni percepiti dall’altro lato del palco, però, e dai commenti del buon Schlemihl e di altri amici e conoscenti, i napoletani hanno sicuramente lasciato un segno tangibile sugli astanti. Tempo pochi minuti e dall’altro lato del campo gli ampli degli Ufomammut hanno avviato i loro motori e, dopo un decollo a rilento, il viaggio è stato liscio e tranquillo come solo un’abduzione aliena può essere.
Small stage: Nero Di Marte. Main stage: Nebula. E nel giro nella successiva ora e quaranta, le centinaia di presenti, sparse tra palchi, tavoli e bar, ne hanno sentite delle belle. Il quartetto capitanato da Sean Worrell ha vomitato sul pubblico che affollava l’area del palco piccolo il suo amabilissimo mix estremo di post-metal, capace di passare da momenti di più ampio respiro a sezioni con riff in tremolo, scream e blast beat chirurgici courtesy of Giulio Galati, capo chirurgo della Scuola di Medicina e Smadonnologia del Centro-Sud. I Nebula, dal canto loro, sono stati i primi ospiti internazionali del festival. Padrini dello stoner-rock più psichedelico, i tre californiani nati sulla fine dei ’90 dalle ceneri dei Fu Manchu per volontà del chitarrista Eddie Glass e dell’ex batterista Ruben Romano (oggi sostituito da Mike Amster dei Mondo Generator) hanno dato prova di godere ancora di ottima salute: i decenni passano, ma l’attitudine e la passione per la psichedelia — e per i vari ed eventuali prodotti annessi e connessi — non accenna a voler abbandonare il power trio statunitense.

Dopo averli intervistati, l’attesa per l’esibizione degli OvO era alta; ad aspettarli assieme a noi, anche un gran numero di persone, tant’è che il set del duo è stato il secondo dal punto di vista dell’occupazione dell’area del palco piccolo. Le sperimentazioni di Stefania e Bruno, a cavallo tra musica estrema, elettronica, ritualismi e post-modernismi, non conoscono limiti e portano gli astanti in un’altra dimensione. Un discorso molto simile si può fare per gli headliner della giornata, i Godflesh. L’intera area sotto il main stage era gremita di metallari brutti e cattivi, tutt’altro che intenzionati a godersi il set del duo britannico sorseggiando tè e discutendo con educazione delle gerarchie sociali del 21° secolo. Justin Broadrick e il signor Green sono stati autori di una performance insindacabilmente grandiosa, con il pubblico in estasi tra le urla, i riverberi, le distorsioni e le malattie elettroniche che esplodevano dagli impianti. A scombinare le carte in tavola per quella che, altrimenti, sarebbe stata un’ottima sagra del doom e del culto dell’atmosfera, ci hanno pensato i Nunslaughter. Gli americani, saliti sul palco del palco minore del Tikitaka, non l’hanno mandata a dire a nessuno: rullata, count-in sull’hi-hat e il quartetto ha riversato su un pubblico in visibilio tutto il marciume di cui è da sempre alfiere. Trentacinque anni di inni all’anticristo, di blasfemie e grezzume che i fratelli e le sorelle in Cristo dall’altro lato del palco hanno fatto proprie con un sorriso a 666 denti stampato in faccia. Così si è chiuso il massacro del primo giorno di Frantic Fest, con quella che, col senno di poi, è stata la perfetta anteprima della sera successiva.
Giorno 2: Assumption, Benediction, Guineapig
Anticipata dalla buona educazione dei Nunslaughter, a cui è poi seguita una leggerissima tromba d’aria, la seconda giornata del fest ha rischiato grosso a causa di una graditissima perturbazione che ha raffreddato gli animi a partire dal primo pomeriggio. Noncuranti delle premesse climatiche poco rincuoranti, i frequentatori di Francavilla al Male non si sono lasciati avvilire e, terminato il diluvio, hanno lasciato che fossero la musica e i bei momenti ad avere la meglio.

Subito gli Spoiled hanno permesso ai sopravvissuti alla grandinata di iniziare ad allungare le mani. Thrashcore e viulenza con la u maiuscola hanno caratterizzato la primissima esibizione del pomeriggio che, per circostanze da smadonno, si è trasformato in serata. Ancora male, ancora mazzate, stavolta sul palco grande, con i primi ospiti internazionali della giornata: gli Ereb Altor. Figliocci di Quorthon e fan dei piripiri epici che tanto ci piacciono, gli svedesi hanno infiammato il pubblico, man mano sempre più numeroso, tra un coro, una melodia in mid-tempo e una sezione tremolo picking e blast.

Dal palco piccolo, a un tratto, un flauto traverso sfirulicchia e, memore della giornata precedente, annuncia l’attacco dei Tenebra. I turni sono un po’ più serrati, le tempistiche dei set un po’ più tirate, ma sacrificando qualche minuto di relax lo spettacolo è stato comunque assicurato. Quasi in contemporanea con il termine dell’esibizione dei rocker, sotto il main stage si è radunata una folla importante, tutta in trepidante attesa dell’arrivo sul palco dei padrini del death metal finlandese. Una performance totalizzante, quella dei Demilich, che non hanno pescato a piene mani esclusivamente dal loro unico album, ma anche dalle poche altre uscite minori pubblicate negli ultimi trent’anni.
Il viaggio lungo l’autostrada del death è poi proseguito con le esibizioni di due band nostrane, entrambe già apprezzate sulle nostre pagine. Ai Bedsore è andato il palco piccolo, che hanno onorato con le loro folli allucinazioni ipnagogiche, fondendo atmosfere al limite della psichedelia e del progressive alle distorsioni di un death metal non prettamente possente e poderoso quanto piuttosto tecnico e introspettivo. Sul palco principale, invece, i Fleshgod Apocalypse, in quella che è stata di fatto l’ultima data del tour che li ha portati in giro a partire dalla primavera. Nessun difetto, nessun errore, solo blast beat e legnate nella performance della band umbra, che ha pescato dal suo repertorio regalando ai presenti una serie di spunti per menarsi, sorridere e pogare per nulla scontati.

L’inizio delle performance in ritardo a causa del maltempo ha condizionato molto le scalette e i turni delle band, tant’è che gli spettacoli degli ultimi tre artisti hanno rischiato di sovrapporsi in maniera deleteria; così, per fortuna, non è stato. Gli Assumption, dal canto loro, hanno riempito l’area del palco piccolo saturando l’aria con il loro death-doom fuori dai canoni: i loro fan hanno goduto appieno della performance, mentre chi li ha incrociati per la prima volta a Francavilla ne è rimasto piacevolmente colpito. I Benediction, a un certo punto, si sono materializzati sul main stage e, a quel punto, non c’è stato spazio per fraintendimenti: macello doveva essere e macello è stato. La bolgia che si è creata è stata ineguagliata e la perizia tecnica con cui i britannici hanno solleticato le orecchie del pubblico non è stata da meno. A impacchettare la serata, i Guineapig, in tutto il loro lercissimo splendore. Death-grind porcissimo, con un trio super performante e in ottima forma, nonostante l’orario, le attese e gli spostamenti d’orario. Alla fine della fiera, il pogo c’è stato, l’arrivo delle guardie per disturbo della quiete pubblica sfortunatamente no, la licenza elementare è stata revocata a tutti i presenti e ognuno è uscito dall’area con un sorriso a trentasei denti stampato in faccia.
Menzione d’onore della giornata, perché onnipresente nei ricordi di quel disastro scampato che è stato il Giorno 2 del Frantic, va a lui: il tizio con a tuta hazmat, che s’è fatto tutti i poghi, i circle pit e i mosh agghindato come monito vivente e sbracciante dei guai della vita ma, allo stesso tempo, promemoria del fatto che talvolta prendersi poco sul serio è fondamentale.
Giorno 3: Horror Vacui, Goblin, Raw Power
Un sole cocente e una greve assenza di nuvole hanno annunciato nel modo meno doom possibile l’inizio dell’ultima giornata del Frantic, per i campeggiatori sul posto dalla mattina e gli avventori giunti a partire dal primo pomeriggio. Dopo un secondo round di SaraPanda, l’equivalente del gioco aperitivo da spiaggia in versione metal — caratterizzato dalla presenza di un giudice d’eccezione (se hai seguito le nostre storie su Instagram, sai di chi parlo) —, i palchi sono stati pronti ad accogliere le nove formazioni in programma per il giorno. Col senno di poi, a mente un po’ più lucida, l’ultimo giorno è stato quello con il bill più eterogeneo, a tratti al limite del caleidoscopico.

Gli strascichi di tupa-tupa e mazzate del giorno precedente sono arrivati fino a qui, con band come Septage e Hyperdontia che si sono alternati sul palco piccolo nel giro di un paio d’ore. Con un membro in comune, le due formazioni turco-danesi sono riuscite in un’operazione non semplice di svisceramento, decostruzione e annientamento degli apparati uditivi del pubblico, trapanando crani tanto a microfoni super-saturi quanto a botte di distorsioni pure e semplici. I primi sotto contratto con Me Saco Un Ojo, i secondi sotto l’ala protettrice di Dark Descent: tutto a maggior lode e gloria del metallo della morte.

Discorso diverso per quanto riguarda le prime due band che si sono alternate sul palco principale. Sui Plakkaggio ci sarebbe tanto da dire, ma la nostra Vera ne ha già tessuto le lodi di recente. Anche mancando di un chitarrista, i romani hanno messo a ferro e fuoco il Tikitaka, scatenando e alimentando la volontà di azione di tutti i presenti dispensando hardcore, heavy, thrash e passione. A sovvertire completamente le carte in tavola, dopo la magnifica performance dei Plakkaggio, quella dei 40 Watt Sun. «Ce li saremo cacati in 50, ma quanto cazzo sono stati grossi»: non trovo altre parole per riassumere nel più breve spazio possibile quanto fatto dal mastermind dei Warning. Chitarra in clean, riverberi e tanta, tantissima malinconia i punti cardine del mood dei londinesi, parenti alla lontana di Antimatter, Death In June, Rome e affini, ma con un carattere non meno forte di quello dei Plakkaggio.
I Whiskey Ritual hanno preso posto sul palco piccolo nei tempi stabiliti e, con loro, si è risollevato il mood tetro gentilmente creato con tanta passione dai 40 Watt Sun. Una sanissima dose di black ‘n’ roll dalle tematiche a metà tra l’occulto e il dissacrante hanno illuminato di nero il cielo sopra Francavilla, facendola andare decisamente a male per tutto il tempo della performance di quei matti ultras fedeli al verbo di GG Allin. Dopo di loro, dall’altro lato della location, una delle formazioni più attese della kermesse: quella del progetto omonimo del delicatissimo membro dei Misfits, Doyle. «The next song is a love song. You can dance to it, if you want to» è stata la frase più ripetuta dal grossissimo cantante della band statunitense, ma a restare ancora più impresso nella mente dei presenti è stato sicuramente lui, il gigante del New Jersey. Classe ‘64, fisico al limite della rottura per eccesso di esercizio, caso mai fosse possibile, e una ferocia sfrenata nel maltrattare la sua chitarra hanno reso ancora più spettacolare il tempo speso dal quartetto sul main stage.

Continuando a percorrere la spirale stilistica disegnata dalla scaletta per la giornata di sabato, è stato il turno prima degli Horror Vacui e poi dei Goblin di Claudio Simonetti. Ad accogliere i primi sul palco piccolo, numerosi fan e appassionati di tutto ciò che è dark; perché, in buona sostanza, è proprio questo che fa la band. Spaziando dal post-punk più puro alla shoegaze, infilandoci dentro anche un po’ di goth e deathrock, i cinque vampiri del Belpaese hanno fatto ballare la qualunque: un fantastico sorbetto che ha ripulito gli ascoltatori dagli eccessi dell’estremo per prepararli a una vera e propria lezione di storia della musica. Perché quando sul main stage sono saliti Claudio Simonetti e i suoi compagni di brigata e sono state suonate le prime note riprese dalla colonna sonora di un film di Romero, i presenti sono andati in visibilio. A riprova della profonda varietà connaturata nell’ultima giornata di Frantic, a calcare il palco piccolo del Tikitaka dopo le ultime eco di “Profondo Rosso” sono stati dei titani dell’hardcore italiano: i Raw Power. Quarant’anni di storia sulle spalle del quartetto e un’attitudine così profonda da poter insegnare una cosetta o due a tutti i presenti. Brevi e concisi, ma sempre con il piede a tavoletta sull’acceleratore, la band della bassa reggiana dei fratelli Codeluppi ha chiuso la sua performance a Francavilla con una cover.
È quindi stato con un’ottima versione di “Ace Of Spades” a lode e gloria di Lemmy che anche la terza e ultima giornata del Frantic Fest edizione 2022. Ci sono stati disagi, ci sono stati imprevisti, il maltempo s’è messo d’impegno, ma grazie alla forza di volontà e al sudore delle decine di volontari e responsabili, il risultato finale è stato grandioso. Gente fantastica, situazione geografica super interessante (con il campeggio, prenotabile gratuitamente, a due passi dal lungomare cittadino) e tutto un contorno di attività, possibilità e piccolezze che, di fatto, hanno reso questa prima esperienza al festival una vacanza — per non dire una gioia. Frantic Fest 2023, nun te temo: all’estate prossima, Francavilla al Male!