Frantic Fest 2023: Giorno 1 | Aristocrazia Webzine

Frantic Fest 2023, il ritorno dei vermi: l’inizio della fine

Dopo l’impagabile esperienza dell’estate scorsa, il ritorno al Frantic Fest quest’anno non solo era auspicabile ma quasi obbligatorio. Tra volontari indefessi, membri della line-up e spettatori gaudenti, siamo tornati a Francavilla al Male per la vacanza dei vermi più bella di sempre. Per agevolare la lettura di questo reportage, che gode anche delle testimonianze fotografiche di Anna Bechis, abbiamo pensato bene di ammorbarvi con un commento per ogni singolo giorno: ecco com’è iniziata l’edizione 2023 del fest.


Giorno Zero

Come di consueto, la tre giorni abruzzese si è aperta per chi ha acquistato gli abbonamenti con una giornata zero virtualmente scollegata dal festival in sé, ma pur sempre in pienissimo stile Frantic. In tanti, già dal primo pomeriggio di mercoledì 16, infatti, hanno iniziato ad affollare l’area campeggio e ancora di più sono arrivati col passare del tempo. Nel bill di questo Day Zero, due realtà locali e un nome piuttosto di culto, seppur non in maniera canonica.

A inaugurare la festa, se così vogliamo chiamarla, sono stati dei giovanissimi. Appena diciotteenni, o giù di lì, gli Slyther hanno avuto l’onere e l’onore di essere i primi a calcare il palco del Tent Stage. Non nuovi ai concerti, questi alfieri della nuova guardia hanno portato una sferzata d’aria fresca in quel di Francavilla, offrendo al già nutrito pubblico uno spettacolo godibilissimo. Heavy-thrash zozzo e caciarone, tra pezzi originali e cover, tirando fuori una “Seek & Destroy” niente male, per un riscaldamento sorprendentemente divertente.

Il divertimento, però, non è finito lì. A seminare risate e rock & roll ci hanno poi pensato gli scioccanti Hobbit Motherfuckerz: un nome, tutto un programma. A partire dall’estetica — con i due chitarristi conciati coi più bei pantaloni di pelle a culo all’aria che abbia mai visto, fino al cantante, mascherato con una sorta di corpsepaint — la band è un omaggio tutto pescarese ai Turbonegro e ha subito ripreso da dove avevano lasciato gli Slyther, tenendo alti i giri e continuando a macinare riff su riff. Onore alla turbojugend e alla leggerezza e spensieratezza che hanno contribuito a elargire.

Qualche attimo di organizzazione, il tempo tecnico di riposizionare gli effetti e regolare i volumi — ma anche per approfittare di un panino con le polpette cacio e uova — ed è stata la volta del main event della serata, una roba che non poteva non far sorridere tutte e tutti i presenti. Prima del dj set conclusivo, infatti, è stata la volta degli Heavy Artillery, nientemeno che Alan “Nemtheanga” Averill al basso e alla voce, Shauny Cads (Unyielding Love) alle chitarre e Johnny King (Conan, Dread Sovereign, Malthusian ed ex Altar Of Plagues, tra gli altri) alla batteria. Poche storie: il set dei tre è stato una delle robe più belle mai viste al Frantic, e a dirlo sono stati diversi membri stabili dello staff, non l’ultimo arrivato di turno.

Tre energumeni, solo brutte intenzioni e tante cover old school. Dai Celtic Frost a Hellhammer, da G.G. Allin agli Slayer, fino a Venom e Motörhead: la permanenza sul palco del trio non è stata esattamente breve, eppure tutti i presenti hanno chiesto loro un bis dopo la conclusione affidata a una sbarellatissima “Ace Of Spades”. La vera chiusura finale? Una cover di “Zombie Ritual” dei Death. In una versione così brutta, storpiata, ignorante, non preparata e con problemi tecnici alla chitarra che, dopo scarsi novanta secondi, è stata accantonata dalla band con un sonoro «We’re sorry, we can’t remember it. Goodnight». Applausi, sipario, buonanotte.


Giorno Uno

Scenario: il sole perfora la schermatura offerta dagli alberi e dalle tende e la vita nel campeggio del Frantic si risveglia troppo presto. C’è la prima tornata di SaraPanda dell’anno, non eccessivamente entusiasmante — se non per le clamorose risposte mancate di qualche partecipante. Francavilla al Male inizia a popolarsi di brutti ceffi.

Ad aprire le danze già dal primissimo pomeriggio all’ombra di un Tent Stage già nutritamente frequentato, i capitolini Svart Vinter, alfieri di un black metal melodico e zanzaroso pienamente nei canoni del genere. Canonica anche la mantellina indossata dal cantante nonostante i settordicimila gradi all’ombra, a parere di chi scrive, tra l’altro, evitabilissima. Tutto sommato nihil novi sub solem (sic), ma il pubblico ha apprezzato l’impostazione di quello che programmi alla mano sarebbe dovuto essere il mood della giornata, tanto che all’arrivo dei Bosco Sacro la situazione è stata un secondo straniante. La stragrande maggioranza degli astanti non era pronta alla performance del quartetto, lontana nel pratico dai lidi più neri ma sulfurea in certe intenzioni.

Altro giro, altra corsa. Terza band del giorno, è ai Nubivagant che spetta l’arduo compito di settare nuovamente il mood, e il duo lo fa col suo mix sperimentale di black atmosferio, death ipercalibrato e spiritualità. Un rituale decisamente molto studiato, se vogliamo, rispetto a quello che il pubblico ha poi potuto osservare sul Main Stage. A inaugurare il palco principale, infatti, sono stati gli Slaughter Messiah, storici amiconi di belzebù con Lord Sabathan (fondatore degli Enthroned) cantante-bassista, arrivati a Francavilla con l’unica intenzione di perorare la causa del capro. Thrash-black-speed-smadonno, probabilmente, è l’etichetta più adatta a definire quella che è stata la loro ignorantissima (in senso buono) performance.

Lord Sabathan arringa la folla

Il ritorno al tendone ha riservato al pubblico del Frantic 2023 quella che probabilmente potremmo definire a mani basse la rivelazione dell’anno per tutti i presenti. I Calligram, nella loro apparente tranquillità e presa a bene, sono stati capaci di rovesciare contro i numerosi presenti sferzate su sferzate di acidissimo post-black a tinte hardcore che hanno lasciato il segno. Soprattutto sulla pelle del loro bassista, rovinato al suolo a un certo punto mentre il cantante, Matteo, era impegnato a perdere la testa sul palco — chi c’era, sa, foto e video alla mano. A posteriori, avremmo dovuto sospettare che ci avrebbero fatto così male: si sono presentati sul palco in camicie a fiorellini hawiaiane, bermuda e costumi da spiaggia… Il ritorno alla sobrietà, se così vogliamo definirlo, è stato poi offerto al Main Stage dai Dread Sovereign, cioè due terzi del gruppo con cui Alan la sera precedente ha fatto caciara alla festa di riscaldamento. Attitudine e personalità da vendere: non penso ci sia veramente altro da dire. La loro performance, doomica e allo stesso tempo decisamente sulfurea, ha convinto tutti, anche chi la sera prima aveva visto Alan e soci dilettarsi in cover e chi, quello stesso pomeriggio, li aveva beccati a giocare a calcetto nel backstage.

Calligram

Dell’esibizione degli Hierophant, sfortunatamente, sono riuscito a seguire ben poco per ragioni di natura pratica, ma posso garantire che la puzza di zolfo che la band ha sprigionato a suon di riff e invocazioni satanasse si sentiva tale e quale dall’altra parte del Tikitaka. Del set degli Harakiri For The Sky, invece, potrei dire tantissimo, forse anche troppo. Mi limito a un sobrio: ho pianto e perso la voce. Perché, nonostante la compagnia aerea con cui sono arrivati abbia perso le chitarre e i piatti della batteria, loro sono saliti sul palco arrangiandosi con quello che amici e conoscenti hanno potuto offrire e hanno ugualmente rovinato tanti, oltre il sottoscritto, tra le fila del pubblico.

Al pari dello spettacolo imbastito dai Calligram, la personalità soverchiante di Agghiastru è stata totale e la performance di Inchiuvatu ha sorpreso anche il fan incallito che ha visto la band in Sicilia più e più volte, nel corso degli anni. Un teatrino, lo ha definito l’artista siculo, per ridere e giocare. Momenti di recita si sono intrecciati a brani dal repertorio dello storico progetto della scena mediterranea, tra distorsioni, guizzi poetici e lunghe sezioni dedicate alle sole tastiere. Quanto genio ci vuole per portare a compimento un progetto simile. E a quel punto, se già l’hype era in crescita, la chiusura affidata ai Rotting Christ sul palco principale e ai Misþyrming sul Tent Stage non ha fatto altro che mandare tutti a nanna dopo una botta di endorfine difficile da smaltire.

Il teatrino di Agghiastru

Sul palco, Sakis, Temis e soci ci sono rimasti per un’ora tonda, ma per i presenti non è stato abbastanza. Il tempo è volato via in quella che, senza ombra di dubbio, è stata un’esibizione da manuale. I Rotting Christ, per chi avesse qualche dubbio, sono ancora in formissima e le corde vocali rovinate di tante urlatrici e urlatori ne sono solo l’ennesima riprova. Quanto ai Misþyrming, penalizzati da voli cancellati e membri malati, non si può fare un discorso troppo diverso. Sebbene molto più giovani della compagine greca, gli islandesi hanno asfaltato il pubblico di Francavilla al Male senza quasi soluzione di continuità. Un cuore grosso così il cantante, lo sguardo indemoniato il bassista, la presenza del batterista nascosta dalla furia iconoclasta di piatti e tamburi: una chiusura sulfurea e maligna degna dell’intera, prima giornata di Frantic Fest.

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La galleria fotografica di Anna Bechis