GAEREA + Ponte Del Diavolo (Ziggy Club, Torino – 12/06/2023)
Il weekend appena concluso ha visto il ritorno in Italia dei portoghesi Gaerea per un paio di date, tra il vicentino e la magicka Torino, in cui gli incappucciati alfieri della depressione urbana hanno esportato il loro blend di disagio nel Belpaese. Con loro, in entrambe le occasioni, gli a noi ben noti Ponte Del Diavolo. Ecco com’è andata la serata piemontese allo Ziggy.

Cena, abbozzata. Tessera Arci, fatta. Sono da poco passate le 21 e, nel piccolo club del torinese, una piccola folla di satanassi e malintenzionati si vede salire sul palco del circolo i Ponte Del Diavolo. Dopo una prima data di rodaggio fuori casa, complice anche la presenza dello zoccolo (caprino) duro del proprio seguito, il quintetto è partito a bomba, con riverberi, fuzz grossi e atmosfere sature e iper dilatate. Non solo estratti dai loro tre EP (Mystery Of Mystery, Sancta Menstruis e Ave Scintilla!), ma anche qualche anticipazione dal loro prossimo album: la scaletta della loro esibizione è fitta e la band non si prende verosimilmente pause tra un pezzo e l’altro.
Una performance degna del termine, la loro. La stranezza della formazione a due bassi e una chitarra dà uno spessore diverso al sound che ci si aspetterebbe da un progetto simile. Pur fautori di un doom-black particolarmente bilanciato, infatti, i Ponte Del Diavolo sono capaci di ammaliare, sfoggiando accostamenti inusuali con semplicità e maestria uniche. Ottimi gli incastri strumentali, che a tratti hanno persino un sapore wave (sensazione confermata dallo stesso bassista della formazione), fenomenale la batteria, ma la vera protagonista del loro spettacolo è l’istrionica Erba Del Diavolo. Una lince, sul palco, capace di tenere il pubblico e affascinarlo tra un blast beat e una sezione più danzereccia, per poi vomitargli contro urla e risate quasi-horror. Risultato: uno spettacolo unico, apprezzato dai loro fan come da chi — come il sottoscritto — non aveva mai avuto modo di vederli dal vivo prima di allora.
«Ieri è andata bene, eravamo un po’ scomodi per la fretta, ma è andato tutto liscio. Stasera è stato tutto più intenso e luciferino, forse perché eravamo a casa e abbiamo sentito un po’ più calore». Si è aperta così, durante il cambio band, la rapida chiacchierata che ho fatto con il bassista dei Ponte Del Diavolo, il buon Krhura dei Feralia, titolare anche di Io Pan Records. «Ieri il pubblico era nuovo, qualcuno ci aspettava, quindi mi sono sentito un po’ studiato. Questa sera avevamo i nostri hooligan e sono riusciti a trascinare anche chi era venuto, invece, per i Gaerea». Una bella esperienza, che ha visto il Nostro contento e soddisfatto del clima generale. «Suonare con loro è figo. Quando salgo sul palco con un professionista che ha più esperienza di me provo sempre a rubargli qualcosa, qualche malizia, qualche trucchetto». Quindi abbiamo chiuso con una domanda sulla scaletta, perché tra le proposte non ricordavo di aver mai sentito alcune cose, prima: non una mia impressione, mi viene confermato. «In scaletta c’erano due pezzi del nuovo disco». Cosa c’è da aspettarsi, dunque, dal prossimo lavoro della band, anche alla luce della sua uscita per la Season Of Mist. «Sempre i Ponte Del Diavolo, ma con qualche upgrade… Adesso non saprei identificarlo, di preciso, ma spero resti con noi per sempre».
Il tempo tecnico del cambio palco passa in un battibaleno e, dopo una serie di aggiunte al set, è subito la volta del piatto principale della serata. Da quando avevano annunciato la data, ho fatto i salti mortali per salire a Torino: avevo aspettative altissime sui Gaerea e, niente, le mie speranze sono state asfaltate da uno show micidiale. Cappucci, trucco pesante e luci fisse sul palco. L’atmosfera è di insofferenza pura e, al primo stacco di batteria dopo l’intro atmosferica, ha inizio il macello. Partono in quinta, i Gaerea, e lo fanno cogliendo appieno l’essenza del loro peregrinare. A manetta, il pubblico si è visto sciorinare contro “Mantle”, “Deluge” e “Salve”, tre mine del loro ultimo lavoro in studio, Mirage. Poi, il primo detour, con “Absent”, ripescato direttamente dal loro primo album Unsettling Whispers, al quale i lusitani hanno fatto seguire una delle loro canzoni migliori, “Cospiranoia”, direttamente da Limbo, il disco che li ha catapultati all’attenzione dei più. Ultimo minuti di repertorio precedente con “Urge” e poi giù con le ultime due sfuriate dal loro miraggio, l’eponima “Mirage” e la caustica “Laude”.
Dietro i cappucci dei portoghesi ci sono stati alcuni avvicendamenti e, con molta probabilità, questo di Mirage è il loro primo tour con questa formazione. La storica Voce dei Gaerea è andata via, ma a dare sfogo alla violente decadenza urbana di cui i Nostri sono portavoce c’è un nuovo figuro altrettanto dirompente. Sul palco, il vocalist non sta fermo un attimo: le mani si torcono, sotto al cappuccio si indovina facilmente una faccia in sofferenza estatica. Chi imbraccia le sei corde non è da meno e, tra un tremolo e un arpeggio, si muove spasmodicamente, seguendo traiettorie randomiche. Meno dinamico dei suoi compagni, il bassista, forse anche per il palco in cui i cinque riescono quasi per puro caso a muoversi senza scontrarsi. I Gaerea, però, sono nel loro elemento, il disagio, e il risultato finale è una vagonata di sofferenza che innesca una catarsi quasi insperata.
Una trasferta innegabilmente fruttuosa, per il sottoscritto, arricchita sì dal concerto ma anche e soprattutto dalle persone (ri)viste e conosciute durante il weekend. In primis, quel maledetto di Francesco di Taur-Im-Duinath, senza il cui appoggio difficilmente questa sfacchinata sarebbe stata altrettanto riuscita, ma anche e soprattutto Krhura, incrociato poco prima di ripartire alla sua Veg Epoque, dove prepara cose che — e mi ci gioco la cittadinanza napoletana — che non mi fanno rimpiangere la cucina di casa.