KVELERTAK – Nattesferd Tour (17/10/2016 @ Tavastia, Helsinki)
Evento: | Kvelertak – Nattesferd Tour |
Data: | 17/10/2016 |
Luogo: | Tavastia, Helsinki |
Gruppi:
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L'astinenza da serate musicali dal vivo è una brutta bestia, specie quando tale disturbo non dipende tanto da noi, quanto da congiunzioni astrali avverse contro le quali nulla possiamo, se non maledire il creato. Tanti sono i gruppi a cui siamo regolarmente costretti a fare ciao, ciao con la manina quando vengono a suonare dalle nostre parti, ma per quanto mi riguarda nel momento in cui i Kvelertak chiamano io DEVO rispondere.
The Dogs
Rimetto piede al Tavastia dopo non molto più di un mese — poco, direte voi, ma in queste ultime settimane a Helsinki hanno suonato tipo tutti — qualche minuto prima che i norvegesi The Dogs appaiano sul palco. La gente è presente, ma quasi tutta al bar o in fondo al locale; c'è solo un ragazzo solitario appoggiato alla transenna. Appena le prime note iniziano a uscire dalle casse mi avvicino anche io al palco, curiosa di conoscere questa band che ho scelto di andare a vedere senza nessun ascolto preliminare, preferendo un impatto più diretto. Quindici minuti dopo Kris, il cantante, deciderà che è giunta l'ora di condividere col pubblico la parte più intima di sé e si metterà ad armeggiare con la cerniera dei pantaloni, e io capirò di aver avuto zero preliminari e un impatto molto più diretto di quanto mi aspettassi, ma andiamo con ordine.
Il palco è affollato da sei musicisti, tutti in camicia nera con fiocco bianco al collo, e suonano un bel garage-punk accompagnato da percussioni, armonica a bocca, tastiere ed effetti vari. Ottima impressione fin dall'inizio, anche se noto che, nonostante la band abbia già suonato (e bene) un paio di canzoni, vicino al palco ci siamo comunque solo io e il ragazzo di prima. Un po' forse è colpa del gene della finnicità, però devo ammettere che c'è qualcosa negli occhi del cantante che mette in soggezione, un guizzo di imprevedibilità che ci fa stare un po' tutti sulla difensiva, non essendo in grado di prevedere cosa farà. E infatti Kris salta giù dal palco, raggiunge gli spettatori più in fondo cercando di coinvolgerli, sale le scale e canta in faccia a un ragazzo a caso; poi si volta, si arrampica sulla transenna e rimane lì a piegarsi all'indietro, si appende all'asta del microfono simulando una spaccata. Ancora, ruba la macchina fotografica a uno dei fotografi e scatta fotografie in giro, infilandosi a un certo punto l'obiettivo nei pantaloni e poi mostrandoci le sue grazie poco dopo. A quel punto mi discosto un po' anche io dal palco, senza però staccare gli occhi né dall'esibizione, perché è assolutamente ipnotica, né da Kris, perché è come guardare un ibrido tra Iggy Pop, Elvis e Celentano. La loro musica ci prende tutti, l'esibizione è scenicamente d'effetto, gli applausi sono forti e decisi, e non si può non notare che dopo ogni canzone i membri della band (devo a questo punto specificare che non intendo letteralmente) si abbracciano prima di attaccare la successiva. Che cosa tenera.
Dopo altri momenti altissimi, tra cui l'ormai famoso Kris che prima urla in un microfono infilato nella cerniera del bassista e poi scende tra noi e ci stringe la testa tra le mani dicendo che andrà tutto bene, chiunque ancora campasse sullo stereotipo dell'uomo nordico freddo e insensibile si ritrova con una certezza in meno nella vita. La performance dei The Dogs finisce dopo una mezz'oretta circa, quando ormai davanti al palco si è radunato qualche cristiano in più, e tutti i musicisti, una volta mollati i propri strumenti, scendono giù e ci abbracciano uno per uno. Non mi sarei mai aspettata tante coccole; la cosa più importante, comunque, è che i ragazzi sono pazzi, stanno totalmente fuori di capa, hanno già diverso materiale alle spalle (tra cui un disco pubblicato quest'anno, "Swamp Gospel Promises", le cui "You Never Loved Me At All" e "Are You With Him Now" hanno aperto il live) e ci piacciono. Da morire.
TEKSTI-TV 666
Siamo ancora tutti un po' confusi ed esaltati dai The Dogs, senza sapere bene quale momento della loro esibizione innalzare a migliore di tutti, quando poco dopo il palco si fa nuovamente affollato. Stavolta i musicisti sono sette, cinque dei quali chitarristi, mentre i microfoni sono quattro e ognuno è vestito un po' come vuole: camicie a motivi psichedelici, scarpe di cuoio e cappelli, ma anche scarpe da ginnastica, shorts di jeans, calzettoni di spugna e t-shirt, per non parlare delle giacche di pelle e degli occhiali da sole.
Visivamente non ci si capisce una mazza e musicalmente succede più o meno la stessa cosa: questi sono i finlandesi TEKSTI-TV 666. Si definiscono shoegaze-kraut-punk, e se non avete la più pallida idea di come possa suonare una cosa del genere vi consiglio di andarveli ad ascoltare. Inizialmente sono perplessa, non comprendo bene l'utilità di così tante chitarre; poi noto che più o meno tutti si cimentano in assoli più o meno lunghi — ciò vuol dire che neanche i brani sono poi così brevi — e che, cosa che mi fa sempre tanto piacere notare, le parti vocali — non poi così frequenti — sono quasi tutte armonizzate a più voci, e bene. Si guadagnano immediatamente la mia simpatia e anche l'attenzione del pubblico, visibilmente aumentato e finalmente appropinquatosi degnamente al palco. Tutti scapocciano, saltano, ballano; insomma, ci stiamo dentro, siamo presi. Anche stavolta la performance dura una trentina di minuti, la band ci saluta, ringrazia e sul palco compaiono tecnici d'ogni sorta, tutti intenti a preparare il palco per i Kvelertak.
Kvelertak
Sullo sfondo appare una gigantografia del disco "Nattesferd", l'ultimo arrivato per i Kvelertak, mentre qua e là sugli amplificatori si possono notare un paio di gufi, animali simbolo della band e presenti su magliette, copertine dei dischi, perfino in forma di maschera sulla faccia del cantante Erlend, che la indossa per tutta la durata del primo brano di ogni sacrosanto live. E infatti è così anche stavolta: alle 21:35 arrivano i sei giovani norvegesi, accolti da urla da stadio, e la maschera-gufo a tema "Nattesferd" — la stessa indossata anche al Tuska — ha le orbite oculari illuminate. Si comincia con due brani tratti proprio da questo album, cioè "Dendrofil For Yggdrasil" e "1985". Erlend a un certo punto solleva quella che sembra una bottiglietta di sciroppo per la tosse ed esclama «Skål», per poi buttarne giù un bel sorso abbondante. Prima di attaccare con la successiva "Mjød", ci spiega, con la voce abbastanza roca, di essersi beccato una brutta tonsillite e si scusa perché non sarà in grado di cantare «as beautifully as I usually do», chiedendoci di aiutarlo nell'impresa cantando insieme a lui.
Detto fatto. Siamo tutti scatenatissimi, si agitano capelli ovunque, qualcuno salta, altri ondeggiano; i brani del nuovo disco sono accolti con entusiasmo, ma le grida più forti sono tutte per i pezzi più vecchi. Con "Evig Vandrar" e "Blodtørst" si battono mani e si agitano pugni in aria, non si riesce proprio a star fermi. Per l'occasione ho lasciato libera la mia capigliatura e sto morendo di caldo, mentre dietro di me il mosh pit non accenna a fermarsi. Erlend non è in formissima, qualche volta è costretto ad allontanarsi e non si lancia nel solito stage diving, ma non per questo il concerto è di basso livello. La scaletta continua con "Ondskapen Galakse", "Nekroskop" e "Svartmesse", brano tra l'altro corredato da un video fighissimo che vi consiglio di andarvi a cercare e guardare. Si suda, ci si diverte, i Kvelertak si divertono: è l'atmosfera ideale, quella che si dovrebbe sempre respirare a un concerto.
Le vecchie glorie di "Offernatt", "Bruane Brenn" e "Kvelertak" vengono lasciate per ultime, dopodiché tutti abbandonano il palco. Dalla mia postazione intravedo la scaletta, per cui so per certo che ci aspettano ancora almeno due encore: "Nattesferd" e "Utrydd Dei Svake". Ahimé, Erlend probabilmente ha la voce davvero troppo a pezzi per cantare altre due canzoni, quindi niente "Nattesferd" per stavolta. La tonsillite è una cosa orribile per un cantante e da una parte, razionalmente, so che la scelta più saggia sarebbe stata probabilmente annullare il concerto; dall'altra, egoisticamente, ammetto che in tal caso avrei rosicato tanto.
Durante le ultime battute di "Utrydd Dei Svake" alcuni ragazzi del pubblico iniziano a scavalcare le transenne e a salire sul palco, la sicurezza prova a intervenire ma poi, notando che fondamentalmente tutti stanno solo saltando e ballando e che il concerto è finito, decide di desistere e lasciare che si godano il momento. Fan e musicisti si abbracciano, tutta la band ci ringrazia e, come di consueto, volano i soliti plettri e le solite bacchette. Questo è stato il mio terzo live dei Kvelertak in poco meno di tre anni e sono riuscita anche stavolta a godermelo dalla prima fila; cosa ancora più sconvolgente, ho acchiappato un altro plettro. Mi avvio verso il guardaroba sorridente ed euforica.
Una bella sorpresa i Teksti-TV 666, meravigliosamente malati i The Dogs, che ho adorato, e sempre fantastici e capaci di fomentarmi come pochi i miei amati Kvelertak. Sogno già il loro prossimo live; nel frattempo, posso affermare con convinzione di non aver mai assistito a una tale quantità di abbracci scambiati tra sconosciuti nella stessa serata. Evviva l'ammooooooooore.
Ho per caso scoperto che Kris dei The Dogs è anche, tra le altre cose, cabarettista e personaggio televisivo (personaggio era già sufficiente). Ora tutto è un po' più chiaro.