LITTLE ALBERT + Krifi Wag (03/10/2020 @ Grind House Club, Padova)
Evento: | Little Albert + Krifi Wag |
Data: | 03/10/2020 |
Luogo: | Grindhouse, Padova |
Band:
|
|
Durante questi mesi di lockdown, non sono certo mancati gli eventi in live streaming, per cercare di lenire in qualche modo la dolorosa assenza di concerti cui la simpatica pandemia che sta vessando il globo terracqueo ci ha costretto, in quelli che ormai paiono secoli. Posso quindi affermare con assoluta certezza che quello che si è impadronito di me nel momento esatto in cui ho varcato l’ingresso del Grind House Club era uno stato d’animo del tutto simile alla goduria e al riconquistato senso di libertà che si provano quando dopo settimane di dieta ferrea ci avventiamo su un’enorme fetta di torta al cioccolato oppure su una teglia intera di lasagne, di quelle che trasudano formaggio e unto a ogni forchettata.
Posso assicurare che la smania di assistere a un’esibizione musicale dal vivo era così tanta che mi sarei sentita allo stesso modo anche se si fosse trattato di una serata improntata ai balli di gruppo (che reputo la mia nemesi assoluta in termini di intrattenimento); fortunatamente parliamo di una circostanza di altro genere, perché a calcare le assi del palco del locale padovano è stato Little Albert, nome d’arte di Alberto Piccolo, personaggio certamente noto agli amanti del doom nostrano perché legato ai Messa, di cui è chitarrista, oltre ad essere anche attivo all’interno del progetto progressive funk Glincolti.
Le restrizioni imposte dalle misure anti-Covid 19 (obbligo di indossare la mascherina, numero di posti contingentato al massimo, distanza di sicurezza) non hanno certo impedito ai pochi ma irriducibili presenti di dar vita a una serata magica, che sicuramente contribuirà ad alimentare l’adagio popolare il primo concerto post-lockdown non si scorda mai.
Ad aprire le danze (purtroppo solo in senso figurato, dal momento che, come da normativa, il pubblico è rimasto seduto) ci hanno pensato i Krifi Wag, terzetto composto da Simone Bastianello alla chitarra e alla voce, Rolando Moro al basso e Matteo Amadio alla batteria, che ha dimostrato di essere decisamente a proprio agio nel rompere il ghiaccio con la platea e nel saper tenere il palco.
Il risultato è stato uno show di una mezz’oretta circa, durante la quale il trio ha offerto pezzi apparentemente immediati e di facile fruizione, ma che a un ascolto attento si sono rivelati densi di elementi di pregio, come le parti con la chitarra del bravo Simone come protagonista, oppure le sezioni in cui basso e batteria dialogano efficacemente sia tra loro, sia con la parte melodica chitarristica e vocale. Dovendo fare dei paragoni, il nome che mi è venuto subito spontaneo è quello dei Muse, anche se i Krifi Wag sono decisamente più viscerali.
Dopo la loro esibizione, la mia considerazione di fondo è che — nonostante non manchino di originalità — questi ragazzi hanno ancora un po’ di strada da fare per giungere a una personalizzazione a tutto tondo del proprio sound; tuttavia sembrano aver imboccato decisamente la direzione giusta per riuscirci in modo esplosivo.
Dopo qualche minuto di pausa, ecco arrivare il momento di Little Albert. Il Nostro, reduce dalla recente pubblicazione del suo primo disco in ambito blues, dal titolo Swamp King (ne parla in modo approfondito in un’intervista pubblicata su Rockvlto Magazine), si è esibito accompagnato da Mattia Zambon alla batteria e Christian Guidolin al basso.
La scaletta della serata è stata inaugurata proprio dalla title track del disco, “Swamp King”, che con il suo andamento lento e quasi strascicato, in puro stile blues, ci ha catapultati istantaneamente nelle paludi del Mississippi, tra zanzare, alligatori che strisciano nel fango e tramonti sordidi. La versione che Little Albert ci ha regalato durante questa serata padovana ha lasciato uno spazio maggiore alle variazioni a livello strumentale rispetto a quella presente nell’album, rendendo questo brano ancor più vibrante e intenso.
A “Swamp King” è seguita “Mean Old Woman”, qua proposta in una maniera decisamente distorta se paragonata alla versione incisa sul disco, come se il Nostro volesse puntare a rafforzare la sensazione di sdegno e dolore che deriva da esperienze potenzialmente devastanti, come ad esempio una delusione amorosa. Dopodiché c’è stata la prima cover della serata: stiamo parlando di “Bridge Of Sighs” (brano di Robin Trower coverizzato, fra gli altri, anche dagli Opeth), la quale anche in questo caso è stata resa più avvolgente, risucchiando gli spettatori in un vortice di psichedelia a cui era piuttosto difficile restare immuni.
Dopo “Bridge Of Sighs”, ecco il momento di un’altra cover: “Blue And Lonesome”, un pezzo iconico in ambito blues, la cui paternità è attribuita a Little Walter (e di cui anche i Rolling Stones hanno dato un’interpretazione). A seguire, Little Albert e soci hanno proposto un altro brano tra i più vibranti di Swamp King: “Outside Woman Blues”. Anche in questo caso, la sensazione è stata che il pezzo fosse ancora più guizzante e psichedelico, con effetti che definirei di assuefazione profonda.
Se “Outside Woman Blues” aveva già fatto capire l’intento di avventurarsi nelle lande (assai poco terrene, in realtà) della psichedelia, un ulteriore passo avanti lungo questa direzione onirica è stato compiuto da “Blues Asteroid”, arricchita per questa occasione da una batteria più consistente e articolata. Proprio questo brano avrebbe dovuto concludere lo show, ma visto che nessuno tra il pubblico voleva darsi per vinto riguardo al termine della serata, come ciliegina finale su questa torta che naviga fra paludi immaginarie che collegano la Louisiana e il Veneto Little Albert e soci hanno riproposto una versione ancor più calda e blues (nel senso malinconico del termine) di “Swamp King”.
A mio avviso, si è trattato di una serata difficilmente dimenticabile per una serie di ragioni. In primo luogo, Swamp King è un disco che ho apprezzato sin dal primo ascolto e, come è consueto in questi casi, avere la possibilità di sentirlo suonare dal vivo è un’esperienza pressoché catartica, sia per i timpani che per l’anima. In secondo luogo, questo evento resterà in eterno nel mio personale almanacco dei live perché, appunto, si è trattato del primo concerto dopo mesi e mesi di astinenza. D’altronde, come recita l’adagio che spero rimarrà nella memoria dei posteri: Il primo concerto post-lockdown non si scorda mai.