MetalDays 2023 la nostra esperienza | Aristocrazia Webzine

MetalDays 2023, l’Arte dei festival ai tempi del clima impazzito

Non avevo intenzione di scrivere un report sul MetalDays 2023. Normalmente i report richiedono serietà, dedizione e una costante professionalità durante i concerti, mentre i concerti tirano fuori esattamente i miei lati opposti. Per non parlare del mio costume di scegliere a quali esibizioni assistere, senza considerare l’opportunità o meno di scriverne in seguito. Le circostanze che hanno condotto questo festival a essere tutt’altro che normale e che si sono verificate in altri festival in tutta Europa mi hanno chiamato a scriverne quasi come una forza maggiore.

Il MetalDays si differenzia dalla maggior parte dei festival estivi: mentre le altre kermesse puntano maggiormente sull’estensione del roster delle band proposte, si concentra invece su relativamente pochi nomi, offrendo però tante distrazioni e attività extra-musicali, fornendo così un’esperienza più simile a una vacanza per metallari che a un tour de force musicale.

In questa ottica la nuova location per il festival, la cittadina slovena di Velenje, è più che adatta allo scopo, nonostante le vicine attività di estrazione e raffinazione di carbone. Oltre a un lago balneabile — e alla statua di Tito più alta al mondo, per i nostalgici — la vallata del fiume Paka offre opportunità per il trekking, l’arrampicata, alcuni musei, una galleria d’arte e un generico clima turistico rilassato perfettamente in linea con le vibe del festival.

Fin dal pre-festival risulta chiaro come il pubblico del MetalDays sia ormai in perfetta parità tra uomini e donne, ed emerge sempre più diffusamente la predilezione per la musica dance degli ultimi tre decenni come sottofondo per il campeggio. Il suddetto campeggio tra l’altro resta diviso tra pubblico del festival e campeggiatori normali senza il minimo impatto in termini di spazzatura e schiamazzi, alla faccia dei metallari-sporchi-e-cattivi.

Vista dalla zona palchi

I concerti

L’inizio del festival sul palco principale è affidato ai nostrani Secret Sphere, veterani alfieri di un prog-power tipicamente italico che non mi ha mai entusiasmato, ma complici il sole e l’attesa per l’inizio delle danze lo spettacolo è gradevole e leggero. Emerge da subito l’attitudine del pubblico a improvvisare passi di danza al minimo accenno di ritmo ballabile, fenomeno che ci accompagnerà fino alla fine del festival.

Seguono a ritmo serrato una quantità di gruppi sparsi su tutto lo spettro del metal per genere e anzianità di servizio. Ne propongo una carrellata senza pretese di completezza, perché — come dicevo — per seguire il 100% di un festival del genere bisognerebbe sdoppiarsi.

Nervosa: prive della bassista causa incidente, non si lasciano frenare e propongono un thrash compatto e violento al punto giusto.

Venus 5: uno strano esperimento di unire cinque cantanti variando timbro vocale, costume e attitudine, per costruire la versione metal delle Spice Girls. Se vi sembra bizzaro è perché lo è, ma una volta superato l’impatto sono godibili e danzerecce. Vedremo che sviluppi avranno in futuro.

Temperance: altra band italica, stavolta dedita ad un symphonic metal particolarmente moderno ed a tinte power, un genere che non dovrebbe toccarmi molto, ma che si giova dell’atmosfera festaiola per divertire e divertirsi, forti anche della nuova cantante direttamente da New York.

Equilibrium: solidi e carichissimi, oscillano tra influenze folk e core in modo sempre molto convincente. Una gradita conferma.

Kreator: non credo serva introdurli, devastanti, non una virgola fuori posto.

Napalm Death: idem come sopra, ma dove Petrozza non disdegna passaggi melodici qui la violenza regna sovrana, accompagnata solo dalla verve istrionica di Mark, un monumento anche dal punto di vista politico.

Carcass: altro caso di nome poco bisognoso di spiegazioni, sempre una garanzia.

Marduk: alternano brani cadenzati come “Wolves” e “The Blonde Beast” (ora posso affermare di aver visto gente ballare su un brano dei Marduk) e sfuriate micidiali a velocità incredibile come “Of Hell’s Fire” o la nuovissima “Blood Of The Funeral”. In un festival che dosa col contagocce il black metal servono come il pane.

Helloween: trattandosi del mio primo gruppo metal di sempre, non riuscirò mai a essere obbiettivo verso di loro. La formula a tre cantanti è un carrozzone discutibile, la band è in forma ma non ai suoi massimi livelli, il cuore però c’è e si vede. La scaletta rinuncia a “Keeper Of The Seven Keys” ma comprende praticamente tutti i classici, il pubblico gradisce e uno scroscio di pioggia nasconde i miei lacrimoni.

Bullet For My Valentine: ero molto curioso di vederli in un contesto pienamente metal, e non sono rimasto deluso. Puntano la scaletta sui brani più duri, ottenendo un concerto thrash metal con pochi momenti di respiro melodico, tra cui spicca il classico “Tears Don’t Fall”. Tanta precisione e pulizia, forse addirittura troppa per certi palati, ma anche tante mazzate.

Brand Of Sacrifice: death-grind estremamente tecnico dal Canada. Mi avevano attirato grazie ai testi centrati sulla saga di Berserk, ma mi hanno conquistato con una tenuta impeccabile del palco e un perfetto bilanciamento tra virtuosismo e violenza. Segnateveli per il futuro.

Eleine: altro gruppo misconosciuto che aspettavo al varco, stavolta piazzandomi alla transenna in anticipo. Svedesi, rileggono il gothic degli anni ’00 attraverso l’influenza del death melodico imprescindibile nelle loro contrade. La cantante Madeleine Liljestam si rivela tutt’altro che pura decorazione e sfodera una grinta inusitata. Gli estimatori del genere li apprezzeranno, gli altri potrebbero trovarli comunque piacevoli.

Paradise Lost: autentici padri fondatori, spaziano dal puro gothic dei primi ’90 alle evoluzioni degli ultimi album in una scaletta piuttosto compressa, con Nick Holmes a padroneggiare tutta la carrellata di stili vocali coperta durante la lunga carriera. Un po’ penalizzati dal fatto di suonare in pieno giorno.

Kataklysm: terza volta al MetalDays in mia presenza, terza impeccabile dimostrazione di pura potenza a base di death metal americano, con la consueta risposta di massa del pubblico che ormai li ritiene di casa.

Heaven Shall Burn: sono forse il culmine del festival, con un light show elaborato e spettacolare. La band è in forma smagliante e capace di coniugare il metalcore degli albori al peculiare death melodico attuale. Eleganti e martellanti allo stesso tempo, sono una gioia per gli occhi e per le orecchie.

Destruction: ancora una volta un gruppo su cui è difficile aggiungere qualcosa che non sia già stato scritto. Perle come “Mad Butcher”, “Curse The Gods”, “Total Desaster” vengono eseguite con maggiore velocità e impeto, mentre Schmier migliora costantemente la propria voce. Dal vivo sono assolutamente imperdibili.

Keep Of Kalessin: penalizzati dalla pioggia che domina il quarto giorno, in un festival la loro extreme metal extravaganza non rende appieno, tuttavia si percepisce il fatto di non essere al cospetto di un normale gruppo black metal. Perla della serata: vedendo il pubblico con gli ombrelli, il cantante afferma «We are from Norway, that’s normal weather for us»… tre minuti prima di un colossale scroscio che allaga il palco, forzando una conclusione prematura del concerto.

Sólstafir: spostati nel palco al coperto, il loro avant-rock-metal è più adatto a un club o comunque un ambiente più intimo. Mi piacciono sempre, ma in questo caso risultano un po’ fuori posto.

Killswitch Engage: chiudono il quarto giorno e tra gli headliner sono quelli a me meno consoni, riconosco però una macchina da guerra ben oliata quando la vedo. Anche loro un po’ frenati dai costanti scrosci che limitano il calore del pubblico, peccato.


L’Apocalisse

Fino al quarto giorno le cose rimangono nella norma, tempo bello con occasionali temporali anche forti, un po’ di fango, nulla che un frequentatore di festival estivi non conosca e non sappia gestire. Nel mentre giungono notizie da fuori: la vecchia venue del MetalDays allagata pochi giorni prima della PunkRock Holiday con relativo divieto di ingresso per le auto in zona camping, un duro colpo per chi si organizza per un campeggio classico; difficoltà anche per il Tolminator di pochi giorni prima, poi il rincorrersi di voci da Wacken, travolto da piogge torrenziali con oltre 30000 persone costrette a rinunciare. «Poverini, che sfortuna» era la frase più gettonata, al punto di spingere l’organizzazione del MetalDays ad accogliere alcuni profughi da Wacken gratuitamente.

La notte tra il quarto e il quinto giorno Velenje viene investita da una tempesta che porta in poche ore la pioggia che normalmente cade in un mese. Ogni precauzione presa viene vanificata e l’area campeggio si tramuta in un pantano stretto tra un lago e un torrente in esondazione.

Organizzatori e comunità locale si mobilitano a tempo di record, le pagine social aggiornano in tempo reale, alcuni trattori fanno la spola a liberare le auto intrappolate nel fango; gratis, se qualche reduce del fatidico Sonisphere se lo stesse domandando. Alle 9 di mattina buona parte del pubblico a rischio è al sicuro, con l’eccezione di alcune macchine e tende irrecuperabili sotto un metro d’acqua. In due ore nette la macchina dei soccorsi ci prende in carico fornendo riparo, cibo, docce, elettricità e tutto il resto, mentre ci rendiamo conto che tutta la Slovenia condivide il nostro destino e altrove ci sono morti e feriti. L’ovvia cancellazione dell’ultima giornata viene così accolta con una scrollata di spalle: nonostante ci fossero i gruppi che più aspettavo, poteva andare molto peggio.

L’attesa per avere strade praticabili per il rientro dura circa ventiquattro ore, durante le quali approfittiamo dell’abnegazione di Protezione Civile, Croce Rossa e cittadinanza semplice che si fa in quattro per soddisfare addirittura con anticipo ogni nostro bisogno.

Il rientro lascia un sapore particolarmente amaro in bocca: un’esperienza bellissima e una venue pressoché perfetta, un MetalDays 2024 già agguerritissimo con Emperor e Blind Guardian ad aprire la bill. «Tanto l’anno prossimo non succederà nulla di simile», se non fosse che tutti i dati scientifici portano ad affermare che questa sia l’estate meno strana del resto della nostra vita, e che l’occasionale «che sfortuna, quest’anno è successo a me» sarà rapidamente rimpiazzato da «che fortuna, quest’anno è capitato solo agli altri». Per tenermi lontano da un’esperienza come il MetalDays di Velenje ci vorrà comunque ben altro. Se nel frattempo invece qualcuno avesse ancora bisogno di uno sprone per avvicinare il tema del cambiamento climatico, ecco un ottimo motivo.