MONSTERS OF ROCK 2016 – HELSINKI | Aristocrazia Webzine

MONSTERS OF ROCK 2016 – HELSINKI

Evento: Monsters Of Rock 2016
Data: 07/07/2016
Luogo: Kaisaniemenpuisto, Helsinki, Finlandia
   
Gruppi:

 

Il clima dell'ultimo giorno del Tuska, non esattamente adatto a una scampagnata all'aperto, purtroppo continua anche nei giorni seguenti con un improvviso e repentino abbassamento delle temperature. La speranza in un miglioramento non mi abbandona mai del tutto, ma quando arriva l'alba del 7 luglio realizzo che non c'è niente da fare: sto per andare al Monsters Of Rock ed è il caso di indossare abiti pesanti e portarsi di nuovo la mantella che già mi aveva riparato qualche giorno prima, durante l'esibizione dei Ghost.


AMORPHIS + RIVAL SONS

BRUTAL ASSAULT 2013 - Parte II

Quando io e Tuomas (il mio ragazzo, ormai qui siamo tutti amici e posso dirvi il suo nome) ci avviamo da casa fa freddo, circa 13 gradi, ma fortunatamente non piove. La line-up della serata consta di quattro band; purtroppo non riuscirò, con mio grande dispiacere perché non ho mai avuto la possibilità di sentirli dal vivo, ad arrivare in tempo per vedere gli Amorphis; in effetti arrivo a Kaisaniemenpuisto quando la band finnica ha appena finito. All'ingresso del parco, mentre il mio zainetto e le mie tasche vengono controllati dagli addetti alla sicurezza, mi sembra di vedere una gran folla di persone, vengo però smentita una volta entrata nell'area concerto. C'è gente, sì, ma non quanto mi aspettassi. Scoprirò più in là che, come avrete sicuramente già intuito, il fiume di persone si riverserà sotto il palco solo all'apparire dei Black Sabbath, gli eroi della serata.

Incrociamo un paio di facce conosciute, ai quali non piacciono gli Amorphis e che infatti ci comunicano che gli Amorphis hanno fatto schifo. Sono le 18:00 e gli americani Rival Sons inizieranno solo tra mezz'ora, quindi ne approfitto per fare un salto al merchandise: al Tuska avevo visto un tipo con indosso la maglia dei tour finale dei Black Sabbath, sul cui retro si leggeva «Ultimo concerto in assoluto dei Black Sabbath in Belgio», con tanto di data e bandiera belga. Trovo, come previsto, la stessa maglia, con data e bandiera diverse, però mi accorgo anche di non avere 35 euro da spenderci e quindi me ne torno mestamente alla mia postazione precedente.

Dalle casse risuona forte e chiaro il tema de "Il Buono, Il Brutto E Il Cattivo" di Ennio Morricone e poco dopo arrivano i Rival Sons col loro blues-rock, il quale si rivela piacevole e dinamico pur non raccontando niente di particolarmente nuovo; pochi minuti dopo inizia anche a piovere. Non avevo mai ascoltato nessun brano della band, a cui riconosco il merito di aver fatto ballare diverse persone nonostante la pioggia. Un'ora davvero gradevole, dopo la quale i cinque giovani di Long Beach lasciano il palco, dicendosi felicissimi di aver suonato a Helsinki e orgogliosi ed emozionati di aver avuto la possibilità di suonare in tour con dei colossi come i Sabbath.


OPETH

Fortunatamente ha smesso di piovere e non ricomincerà più fino alla fine della serata, il gruppo successivo — gli Opeth — suonerà solo tra venti minuti, la maggior parte del pubblico si allontana dal palco e quindi riesco ad avanzare di qualche fila. Sì, il nome principale del Monsters Of Rock sono indubbiamente i Black Sabbath, ma è sempre molto bello rivedere Mikael e compagnia dal vivo e infatti sono molto emozionata all'idea.

Gli Svedesi appaiono sul palco senza nessuna intro ad annunciarli, felici e sorridenti, e senza troppe presentazioni attaccano di fila "Cusp Of Eternity" e "The Devil's Orchard", tratte rispettivamente da "Pale Communion" e "Heritage", gli ultimi, dibattutissimi due dischi orientati sul prog. Il volume del microfono è inizialmente un po' basso, ma per fortuna il fonico se ne accorge e rimedia in tempo. Mikael, come in tutti le occasioni in cui ho visto gli Opeth dal vivo, presenta la band, stavolta però con una piccola variazione: «We are Opeth from Stockholm, the capital of Scandinavia», invece del consueto «Stockholm, Sweden». Il pubblico ride, alcuni si sentono presi in giro e protestano, altri non dicono niente perché tecnicamente la Finlandia non appartiene alla Scandinavia, e poco dopo, con mia somma gioia perché "Watershed" è uno dei dischi a cui sono più legata, parte "Heir Apparent". Da lì è tutto un throw back Opeth, perché i nostri snoccioleranno solo brani tratti dai vecchi lavori («People want to hear the old shit): in ordine arrivano anche "Demon Of The Fall" e "The Grand Conjuration".

Tra un cambio di chitarra e l'altro, Mikael commenta che abbassare di tonalità l'accordatura della chitarra sia il primo passo per fare sì che qualsiasi accordo suoni più pesante e malvagio, e poi annuncia che i Black Sabbath non suonano "Hand Of Doom" ormai da un po' e che sarebbe molto tentato di suonarla lui, cosa che poi purtroppo non fa. Ci comunica anche che il nuovo album è in arrivo, che si chiamerà "Sorceress" e che lui e la band non possono farci ascoltare nulla in anteprima perché ancora non hanno studiato le canzoni (risate); aggiunge, inoltre, che gli Opeth si esibiranno entro l'anno a Helsinki. Prima di iniziare l'ultimo brano — "Deliverance" — ci ringrazia per aver assistito alla loro esibizione («Not that you had another choice») e io me lo immagino tra qualche anno in giro per il mondo a fare il cabarettista in seguito al ritiro degli Opeth dalle scene.


BLACK SABBATH

Sono quasi le 21:00 e inizio ad avere fame, ma allontanarmi significherebbe non riuscire più a trovare il mio gruppo e la mia sufficientemente buona posizione, quindi desisto. Mi accorgo che a terra ci sono delle notevoli pozzanghere e capisco il perché della mia impressione che ci fossero grossi buchi di asfalto non occupati da nessuno. Mi volto e vedo un fiume impressionante di gente che cerca di passare avanti sgomitando, fregandosene del fango e delle pozzanghere, perché oh, stanno per suonare i Black Sabbath e non passeranno mai più da queste parti: o meglio, da nessuna parte. Le mie aspettative sono un po' basse per via di alcuni commenti relativi al concerto a Verona, secondo i quali Ozzy aveva avuto bisogno spesso di allontanarsi dal palco e non aveva cantato benissimo; tutto ciò in ogni caso non mi sorprende, vista l'età e i trascorsi del frontman.

Ore 21:10, il maxischermo alle spalle del palco si accende e ci mostra un filmato con protagonista un demone nato dalle fiamme, sostituito poco dopo da una luminosissima scritta «BLACK SABBATH». L'emozione è palpabile, e quando la leggendaria band a cui praticamente si deve la nascita del doom compare sul palco non si capisce più niente: bastano le prime note di "Black Sabbath" a far avanzare — a fatica — le masse, tutte bramose di avvicinarsi il più possibile. Tony Iommi ha al collo l'immancabile crocifisso, il Principe dell'Oscurità tiene fede al suo nome, Geezer Butler dimostra almeno dieci anni in meno e il giovane batterista Tommy Clufetos, impegnato con la band anche durante il precedente tour, si dimostra più che all'altezza del suo ruolo. Effettivamente è vero, Ozzy è un po' calante anche nella successiva "Fairies Wear Boots", ma piano piano inizia a riprendersi e ci offre una prestazione più che soddisfacente. Sul maxischermo alle spalle dei musicisti si alternano immagini del pubblico e della stessa band, abbellita da sgargianti colori che si muovono in maniera ipnoticamente psichedelica. La scaletta continua con "After Forever", "Into The Void" e "Snowblind"; con ammirazione guardo Geezer e Tony suonare i loro strumenti con sicurezza e senza sbavature né errori: si vede che si stanno divertendo. Ozzy più di una volta inizia a dialogare col pubblico, presentando i musicisti o anche solo chiacchierando con entusiasmo; fa un po' fatica ad articolare correttamente le parole e la cosa ci fa sorridere tutti di tenerezza. Durante i successivi brani ci chiederà di cantare con lui, di alzare le mani oppure di batterle a tempo. A un certo punto inizierà a fare "cucù" nel microfono, giocando come un bambino e asserendo che «It's great to be crazy! ».

Tutti quanti impazziamo quando parte "War Pigs", uno dei pezzi più amati della band, seguito da "Behind The Wall Of Sleep" e dall'inconfondibile solo di basso che introdurrà "N.I.B.". Probabilmente grazie alle parole di Mikael, o semplicemente perché quella sera gli andava così, "Hand Of Doom" viene proposta, e mentre i musicisti ne stanno ancora suonando l'outro Ozzy annuncia nel microfono di aver bisogno di una pausa e si allontana, dando la possibilità a Tommy, il quale rimarrà progressivamente solo sul palco, di lanciarsi in un notevole solo di batteria che contornerà "Rat Salad". Le ultime cartucce di alta qualità sparate dai Black Sabbath una volta tornati sul palco saranno "Iron Man", "Dirty Women" («This song is about Tony Iommi», il quale riderà molto) e "Children Of The Grave". I quattro ci ringraziano e vanno via, lasciandoci un po' delusi: troppe canzoni sono state tralasciate, non può essere finita… E infatti, appena trenta secondi dopo si sente la voce fuori campo di Ozzy incitarci a gridare «We want more!», cosa che effettivamente nessuno aveva ancora fatto, probabilmente immaginando la stanchezza della band. Invece no, saranno anche avanti con l'età ma sicuramente più in forma e arzilli di me, e rieccoli in scena a cantarci/suonarci "Paranoid", l'ultimo brano della scaletta — stavolta per davvero.


Sono molto felice di aver constatato che le mie non altissime aspettative si sono rivelate errate e ne parlo con Tuomas mentre ci incamminiamo verso l'uscita, percorso che — anche se non lo sappiamo ancora — durerà circa venti minuti per via della folla. Arrivati a casa abbiamo solo quattro ore di sonno prima di metterci in viaggio verso l'aereo che ci porterà in Italia per qualche settimana, ma lo considero un dettaglio di poca importanza. Mi sono divertita con i Rival Sons, ho riso di nuovo — e tanto — con gli Opeth e soprattutto ho visto i Black Sabbath, una band che ha dato tanto alla musica e che sta per ritirarsi dopo la pubblicazione di un bel disco come "13", mettendo un punto più che dignitoso alla propria carriera. Penso che ogni band dovrebbe andarsene in questo modo; d'altra parte, tuttavia, l'idea di aver ascoltato la leggenda britannica per la prima e ultima volta nella mia esistenza non può che essere dolceamara. Peccato non aver visto anche Bill Ward.