SLAYER + Carcass + Behemoth (05/07/2016 @ Market Sound, Milano)
Evento: | Slayer + Carcass + Behemoth |
Data: | 04/07/2016 |
Luogo: | Market Sound, Milano |
Gruppi:
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L’album fotografico dell’evento
Non si vive di solo underground, lo dico sempre, e data quest’anno la mancanza di un festival estivo per noi aristocratici, lo slot del mio personale grande evento se lo aggiudicano zio Tom e compagni in quel del Market Sound di Milano. A un anno dalla sua inaugurazione, il locale all’aperto di via Lombroso sembra avere tutte le carte in regola per imporsi come riferimento nella vita concertistica milanese, non solo come valida alternativa al Carroponte e al sempreverde Magnolia, ma anche in grado di ospitare nomi di maggior caratura, grazie a un ottimo impianto suoni e luci, chioschi interni (dai prezzi non modici ma ancora onesti), spazio per ospitare bancarelle e addirittura dei borghesissimi sponsor con tanto di stand e hostess (Vodafone? Ford? Ma lo sanno che a breve da quel palco uscirà “Reek Of Putrefaction”?).
Behemoth
Giusto due chiacchiere con l’inossidabile Corrado di Punishment 18 e via sotto il palco per l’attacco dei miei polacchi preferiti: per quanto io sia uno dei pochi detrattori di The Satanist, vedere Nergal gestire senza problemi un’ora di palcoscenico sotto i trentun gradi e l’afa milanese mi ha scaldato il cuore. Non incrociavo i Behemoth ormai dall’Hellfest di due anni fa, e sono contento di dire che i Nostri qui a Milano si sono resi protagonisti della loro migliore esibizione cui abbia assistito da che Nergal è tornato a calcare le scene dopo la sua riabilitazione. Certo, i volumi del Market Sound sono sempre tenuti bassissimi per non si sa quale motivo, ma i tecnici hanno fatto un ottimo lavoro quanto a bilanciamento, e il pubblico si è ritrovato a cantare inni ideologici al superomismo senza nemmeno accorgersene. “Ov Fire And The Void”, “Slaves Shall Serve”, “At The Left Hand Ov God”, “Chant For Ezkaton” (versione truzza 2008) e le immancabili trombette dell’Arcangelo Gabriele hanno convinto appieno sotto tutti gli aspetti: Nergal oggi non canta più, declama, e dall’alto del palco raccoglie i suoi adepti.
Carcass
Cambio palco sotto il tramonto e tocca alla premiata ditta Steer & Walker, ormai saldamente accompagnata da Ben Ash e dal ben più giovane (mio coetaneo, che impressione) Dan Wilding. E insomma, c’è davvero qualcosa da dire che non sia già stata detta in qualsiasi data dei Carcass negli ultimi otto anni? Sì, giusto che il buon Jeff ha una panza alcolica decuplicata rispetto a qualche anno fa, e niente altro, perché la tenuta è inossidabile e insindacabile. E Steer, con quel suo piglio settantiano e quei sorrisoni da sciupafemmine d’antan, che si presenta sul palco armato di jeans a zampa e camicia beige che manco a San Francisco nel ’72, dove lo trova il coraggio di demolire qualsiasi cosa con “Corporal Jigsore Quandary”, “Buried Dreams” e “Heartwork”? Insomma, i Carcass si divertono, cazzo: jeans, maglietta e spaccano il mondo, ora come allora, e nessuno sta meglio di loro. Da vedere, rivedere, vedere ancora e poi ancora e ancora e ancora. Non mi stancherei mai.
Slayer
Diverso invece, purtroppo, il discorso per gli headliner. Zio Tom e Kerry King non ce la fanno più: rigido come un palo il primo, dopo l’operazione di qualche anno fa, grottesco il secondo con quel panzone che si porta appresso, gli Slayer lasciano al sempre magistrale Paul Bostaph il compito di seppellire le lacune sotto una batteria devastante. Il fatto è che alla fine gli Slayer sono gli Slayer, tu un’adolescenza l’hai avuta e non puoi fare a meno di urlare che Dio ci odia tutti e che giochiamo alla guerra, però fa malissimo sentire una scaletta incentrata sui mid-tempo e addirittura vedere un pogo contenuto che si muove nel pit, ma nessun vero degenero. E a scriverlo è uno che, al suo battesimo del fuoco una dozzina d’anni, fa rimase sconvolto al vedere gente uscire dalla polvere sanguinando. Oggi niente di tutto questo, o meglio, all’attacco di “Raining Blood” è stato come se fosse stato tolto il tappo al Market Sound: con gli ultimi due pezzi, i californiani hanno dato fondo a tutte le riserve e la gente si è finalmente scossa. Dove anni fa vigeva il delirio totale per tutta la durata del concerto, nel 2016 la catarsi arriva ormai alla fine, con il pubblico che infine si lascia andare a un pogo selvaggio e annichilente, sugli immancabili inni che proprio quest’anno ne compiono trenta. E allora commuove ancora di più il bandierone finale, scoperto durante “Angel Of Death”, dedicato a Jeff Hanneman, non solo per il chitarrista che fu, ma anche per il tempo che scorre impietoso.
Postilla: per la seconda volta in sette anni, Aristocrazia riesce a confezionare un live report con foto decenti, o quasi (l’altro caso furono i Kampfar ormai qualche anno fa). Questa volta, per Slayer e Behemoth, riusciamo ad avere un aiuto professionale, e il merito è della bella e brava Yamilé Barcelò, che ringraziamo tutti e speriamo voglia contribuire ancora in futuro!