Dieci anni di Venezia Hardcore

Dieci anni di Venezia Hardcore. Sì, lo so che voi sapete. Sapete benissimo cosa sto per dire. Ma io lo dico lo stesso. Cose tipo «è il festival del momento», «c’è la community dei regaz», «la birra non costa tanto», «sembra di stare all’estero», «ci sono le band giuste». Se volete posso anche fermarmi qui e far finta di niente, ma nel 2023 è difficile parlare di un evento di questo tipo senza dire ovvietà. Mi ricompongo, per quanto possibile: il VEHC in questo momento rappresenta, insieme al Frantic e a un paio di solidi piccoli festival come la Rottura Del Silenzio a Modena e il Molto Male Fest a Bergamo, l’alternativa al concerto all’italiana fatto di grandi headliner, ai bill nazional-popolari tenuti insieme con lo sputo, alle location se va bene appena adeguate, ai prezzi folli e alle polemiche arrembanti e continue. Invece, come è stato definito dagli stessi organizzatori, l’evento ospitato dal CSA Rivolta di Marghera è soprattutto una situazione, più che un concerto, dove la gente può ritrovarsi per socializzare, divertirsi, bere in compagnia e anche ascoltare musica dal vivo. Stiamo parlando della regola fondante dei piccoli e medi festival all’estero, dove quasi sempre non contano i nomi singoli, ma le line-up complessive e, udite udite, il benessere del pubblico pagante. Azzardare nomi come Brutal Assault o Roadburn come paragone è ovviamente in questo caso fuori luogo, ma l’idea di fondo rimane la stessa: in una situazione come il VEHC le persone non rimangono assiepate sotto al palco per ore e ore. Vedono invece qualche band, si riposano, mangiano, bevono, vedono qualche altra band, socializzano, bevono di nuovo, fanno un giro al merch. E ripetono la sequenza una copiosa quantità di volte. Inoltre, particolare abbastanza unico, al CSA Rivolta il pubblico può anche utilizzare la rampa da skate o farsi qualche mezzoretta di retrogaming, novità che ho notato quest’anno.
Il sottoscritto si è goduto il suo quarto VEHC esattamente con questo spirito ed è stata l’ennesima esperienza da ricordare. La due giorni di Marghera ha sempre riunito punk, hardcore, rock’n’roll e metal, anche se quest’anno a farla da padrone alla fine è stato lo screamo con le esibizioni di Raein e Ojne, tra le più attese e sentite. Per chi di voi non fosse mai stato a Marghera, due parole vanno spese per la location. Il Centro Sociale Rivolta con i suoi due palchi, il suo bar-pizzeria interno, i cortili, il capannone che ospita il merch e la rampa da skate e i vari chioschi è perfetto per far defluire la gente in punti differenti senza creare una ressa soffocante e invivibile. Anche con un numero di presenze molto elevato, come è stato per questa fortunata edizione del decennale, non è mai particolarmente difficile spostarsi da un palco all’altro o cercare qualcosa da mangiare o bere.

La prima giornata si apre verso ora di cena con già una buona affluenza. L’atmosfera è giustamente di festa anche se ben presto, per chi è attento, risuonano gli echi di quanto sta succedendo a livello nazionale: la prima band in cartellone, gli emiliani Güerra, sono stati costretti a dare forfait per questioni legate all’alluvione. Sono quindi i padovani Greaseball ad aprire la kermesse con il loro hardcore metallizzato, cadenzato e pesante. La band è di recente formazione, ha solo un demo all’attivo ma trova sicuramente un ambiente favorevole. Dopo di loro, sull’altro palco, è il turno del rock’n’roll dei The Diplomatics, di cui apprezziamo il tiro, ma la necessità di birra si fa primaria in quel momento. Altra caratteristica ormai classica del VEHC sono le setlist corte, quasi degli showcase che il sottoscritto ha sempre apprezzato: al Rivolta spesso si prendono appunti sonori e si scoprono gruppi da recuperare con calma in futuro. Sarà così con i Rough Touch, gruppo thrashcore che vede in formazione due Game Over. La band ferrarese tira fuori una esibizione devastante ed è bello vedere Luca Zironi, chitarrista nei Game Over, dominare il pubblico con un prova vocale grintosa. Le coordinate stilistiche dei Rough Touch rimandano a certi Nuclear Assault, Foreseen, Power Trip (o i recenti Enforced) ma il tiro dell’esecuzione è enorme e tutta l’audience ne gode.
Giusto il tempo di afferrare un’altra birra e cambiare palco per assistere a una delle esibizioni più attese, quella dei The End Of Six Thousand Years, una band che davo ormai per dispersa. In passato la miscela del quintetto mi è sempre stata un po’ ostica, lo ammetto, in quanto l’ho sempre considerata troppo poco amalgamata fra gli estremi del death metal e quelli del blackened hardcore. La prova live a cui ho assistito, invece, mi ha realmente fatto tornare la voglia di approfondire la loro proposta: a primo impatto, ho sentito poco death metal e molto più post-core venato di doom e di atmosfera. I brani di Perpetuum che ho riconosciuto sono invecchiati meglio di quanto mi aspettassi e finalmente i nuovi singoli mi sono parsi una continuazione coerente di quanto fatto in passato. Da rivedere al più presto, per quanto mi riguarda. Quando giungo nell’altro edificio i Caged hanno già iniziato a martellare la folla con il loro hardcore assolutamente fine anni ’90-2000 e mi si riempie il cuore quasi subito rivedendomi giovane, entusiasta e pieno di dischi di Earth Crisis, Born From Pain, All Out War, primi Hatebreed o Death Before Dishonour. La band padovana, fieramente vegan-straight-edge, ha già un suo seguito e il numero elevatissimo di felpe e maglie con il suo logo in giro per il fest lo dimostra. L’esibizione è meravigliosa, violenta ma controllata, con la prova vocale del cantante Ivan realmente da ricordare.
Gli uno-due del VEHC, causa due palchi, potrebbero rivelarsi letali e infatti decido di non rigettarmi nella bolgia del Nite Park dove i tedeschi Implore fanno quello che gli riesce meglio: trasformare da anni un discreto grindcore su disco in una bomba atomica dal vivo. L’operazione riesce come sempre e il caos vicino allo stage è riconoscibile anche dal lato più lontano dell’edificio. Mancano solamente pochi gruppi per concludere la serata, il sottoscritto è stanco ma tiene duro per godersi i romani Plakkaggio, formazione metalpunk che mescola oi!, hardcore, citazioni metal e testi in italiano in una miscela godibilissima: è sempre bello vedere sul palco musicisti che si divertono e in questo i Plakkaggio sono stati i migliori della due giorni. Il Venezia Hardcore è un evento dove i generi si incontrano e dove il pubblico più aperto mentalmente trova stimoli adeguati, siano essi diretti come nei Plakkaggio o destabilizzanti come il set elettronico di Hide, minimale e gelido. Il duo americano si esibisce in una performance teatrale, straniante e cupa e nonostante la stanchezza del pubblico e la proposta fuori contesto, c’è un numero sufficiente di persone a seguirlo. Siamo oltre la mezzanotte, sul palco Open Space chiudono gli spagnoli Arma X che osservo, stanco morto, per qualche canzone. A quanto sembra c’è un chitarrista alla batteria che si è imparato la scaletta in tempo record per sostituire il musicista assente. Prima di incamminarmi verso casa guardo ancora la folla e mi stupisco di come ci siano ancora decine di persone pronte a fare mosh, stage-diving e sing-along sull’ennesima band della giornata. Che meraviglia!

La seconda giornata del VEHC è quello che nella sintesi della lingua inglese si può definire more of the same. La decina di band del giorno precedente viene sostituita da quasi il doppio, tutte con esibizioni che vanno dai venti ai quarantacinque minuti. Decido quindi di optare per un approccio ancora più rilassato del giorno precedente, di guardare un po’ tutto ma di tentare di sopravvivere fino alla fine. Jorelia, Blair e If I Die Today mi colpiscono per il loro death-metalcore, i primi due per i breakdown letali e le urla gutturali, mentre gli ultimi per un groove nella costruzione dei pezzi che mi ha riportato indietro a Unearth, Killswitch Engage ed Evergreen Terrace. Mentre mi riposo un po’ vicino al bar, sorrido con l’oi! dei genovesi Stiglitz e mi sorprendo con l’emo-core degli Stegosauro. La prima esibizione che mi sono realmente goduto è però quella dei campani Da4th, parte del collettivo di band che gira attorno a Fulci e Face Your Enemy: siamo sempre in territorio metalcore venato di thrash come lo possono intendere Hatebreed o certi Biohazard, ma è il groove creato dal quartetto a fare la differenza. Proprio in relazione al paragone con la band di Hambel e Graziadei, notevolissima la prestazione del cantante che riesce a usare scream e rap alla maniera dei migliori Downset o Stuck Mojo. Ancora metalcore con i Regrowth, sempre in zona Killswitch Engage e As I Lay Dying, che mi godo però poco perché la stanchezza inizia a farsi sentire. Il VEHC è un martellamento continuo di ottimi gruppi e, non a caso, dall’altra parte arrivano gli Straight Opposition.
È a questo punto che mi rendo conto di come sia sempre più difficile trovare posto nei due capannoni coi palchi, perché l’affluenza è realmente elevata: ne sono felice, perché il festival se lo merita tutto. L’atmosfera in giro è anche oggi di festa e i volti felici e un po’ brilli dei partecipanti non passano inosservati. Decido di fermarmi per riposare le orecchie e riempire lo stomaco: a malincuore, passo completamente la mano per Speedway, 3nd7r e i romani Overcharge. Nonostante questo, nel capannone del merch mi ritrovo ad assistere a un divertentissimo secret show del duo acustico Menagramo. La parte più interessante della giornata arriva per me però da questo momento in poi, con un tris di band emo e screamo di alto livello. Si parte con i Quercia, i più romantici, per poi passare ai corali Ojne, band milanese che non pensavo fosse così celebre: sentire mezzo Nite Park cantarne i pezzi a memoria è stata realmente un’esperienza toccante. “Da Qualche Parte, Nel Momento Giusto” o “Nel Migliore Dei Mondi Possibili” sono canzoni meravigliose, in grado di utilizzare la lingua italiana nella maniera migliore. Chiudono i Raein, forse la band in assoluto più attesa, al punto che il pubblico canta così forte certi pezzi da coprire parte dei suoni. L’entusiasmo è alle stelle perché vengono eseguiti i brani da Il N’y A Pas D’Orchestre, disco che compie ormai vent’anni. La loro esibizione è molto buona, anche se la calca di gente presente all’Open Space e la partecipazione del pubblico ha reso il concerto una sorta di rito catartico collettivo, poco favorevole a un ascolto compassato. Ah, fra le esibizioni delle band screamo trovo anche il tempo di godermi un po’ di skatepunk con gli Ed, altra reunion a quanto sembra parecchio attesa.
Lo ammetto, la due giorni mi ha provato fisicamente e quindi osservo da lontano un nuovo, eterno ritorno dei The Secret che propongono il loro storico Solve Et Coagula: i suoni sono decisamente buoni e il muro di black-death metal ferale dei triestini è veramente un toccasana per variare il menù della giornata. Sono alla fine delle forze e quindi il post-punk degli High Vis, seppur apprezzabile, mi lascia meno del dovuto così come lo slugde-stoner-doom estremo e dilatato dei Bongzilla, di cui non sono mai riuscito a comprendere appieno l’acidissima voce in scream. Non è molto importante comunque, perché mi rendo conto, mentre esco, di aver assistito a una rassegna di musica di qualità altissima e ora, mentre vi scrivo, sto già recuperando i dischi che non sono riuscito a comprare in loco o che le band non avevano con loro. Il Venezia Hardcore è, ancora una volta, benzina per la musica underground. Speriamo duri il più a lungo possibile.
Testo di Denis Bonetti – sistavametal.it
Foto di Arianna Carotta – @ariannacarotta