10 album Black Metal per combattere l'estate

10 album Black Metal per combattere l’estate

A noi metallari l’estate piace poco. Con tutto quel caldo, ogni volta che si levano gli anfibi i piedi sembrano usciti dalle Paludi Morte della Terra di Mezzo, i capelli lunghi cacciano un’afa pazzesca e sotto il chiodo ci grondano le ascelle. Considerando che l’acqua corrente è un bene di lusso e la doccia una pratica cristiana da cui ci teniamo alla larga, l’unica possibilità è quella di combattere il caldo alla radice, abbassare la temperatura a monte, vivere con l’inverno nel cervello e il freddo nell’anima.

Per questo abbiamo messo insieme dieci dischi che con le basse temperature hanno molto a che spartire, che senza la neve e i riflessi dei ghiacci non sarebbero mai esistiti. Sono tutti black metal nelle intenzioni e nella matrice, ma arrivano da luoghi e momenti diversi, e declinano il genere ciascuno a modo proprio. Molti li conoscerete già, qualcuno magari no, ma a prescindere da tutto, in questo momento dell’anno così avverso vale sempre la pena di riascoltarli, siate sotto l’ombrellone a mangiare una granita o il condizionatore dell’ufficio a sgobbare come somari.

Questo è il nostro tentativo di arginare il riscaldamento globale e di combattere il cambiamento climatico. E se dovessimo fallire, beh, ci rivedremo tutti a Blashyrkh.


IMMORTAL – AT THE HEART OF WINTER (1999)
Cominciare con chi l’inverno lo ha praticamente brevettato, tra una corsetta fra i boschi e una sessione fotografica sulle nevi perenni, è pressoché obbligatorio. Fregatevene di chi vi suggerisce un passaggio dal caldo al freddo più graduale, per dare al corpo un minimo di margine d’ambientamento, non c’è niente di meglio di una “Solarfall”, soprattutto dopo che abbiamo superato la controra estiva con “Withstand The Fall Of Time”. Gli Immortal di At The Heart Of Winter ritrovano la quadratura di un cerchio appena abbozzato sull’interlocutorio Blizzard Beasts; con Horgh saldamente ai comandi di una sezione ritmica schiacciasassi e rompighiaccio, il trio norvegese ci trascina nella notte perenne dell’inverno artico di Blashyrkh (il regno di fantasia in cui gli Immortal ambienteranno la loro freddissima mitologia da Battles In The North in poi), tra arpeggi che si stampano nella memoria, cavalcate impetuose e marce forzate. Ci si può bruciare anche nel cuore dell’inverno, e non c’è crema protettiva che tenga.


BATHORY – NORDLAND I (2002)
Non che ci sia davvero bisogno di dirlo, ma tra le mille e una cose che i Bathory ci hanno lasciato in eredità c’è anche un ottimo rimedio contro il solleone. Nella Terra del Nord, tra foreste senza fine, anche quando gli dei accettano i blót e la primavera inizia a sciogliere i ghiacci, l’unico tepore è quello del respiro dei draghi. Archiviato il revival thrash anni ‘90, appena prima che Odino lo chiamasse prematuramente a sé, Quorthon era definitivamente tornato al viking metal che lui stesso aveva creato per realizzare il suo lavoro più ambizioso, un doppio concept album sulla Scandinavia di cui Nordland I è il primo atto (il secondo, Nordland II, sarebbe uscito meno di sei mesi più tardi). Quasi vent’anni dopo, Nordland è ancora una pietra di paragone e un passaggio fondamentale per chiunque voglia entrare in contatto con il mondo vichingo, i suoi usi e le sue tradizioni. Con copertina del sempiterno Necrolord, il testamento ultimo di un uomo che troppo presto a Midgard ha preferito il Valhalla.


PAYSAGE D’HIVER – WINTERKÄLTE (2001)
Grezzo e crudo se consideriamo la produzione, ma anche sofisticato per gusto melodico e struttura, il gelo invernale è il settimo demo di Paysage D’Hiver: l’incarnazione solitaria e terrestre di Wintherr, voce e chitarra nei cosmic black metallers Darkspace. Pubblicato originariamente su audiocassetta e solo più tardi ristampato in digibook formato A5, Winterkälte è la colonna sonora per un’ideale camminata sotto la neve – che copiosa scende dal cielo – con sferzate di black metal gelido e velocissimo (la drum-machine produce un blast beat sintetico implacabile); i cali d’intensità coincidono con delle meravigliose aperture ora ambient ora folk, tanto lo-fi quanto evocative. La conferma che il freddo, in Svizzera, sembrano conoscerlo molto bene.


SETHERIAL – NORD (1996)
Lungi dall’essere la band più influente o innovativa del panorama svedese, i Setherial sono sempre stati piagati da un’enorme instabilità interna, con continui cambi di formazione da un album all’altro che ne hanno minato la continuità sul lungo periodo. La band di Håkan “Mysteriis” Sjödin tuttavia godrà sempre del credito di aver dato alle stampe un debutto che niente ha da invidiare ai suoi diretti e più blasonati concorrenti. Figlio dei primi Marduk e uscito a un mese di distanza dal debutto dei Dark Funeral, Nord è un compendio di black metal svedese; violento, asciutto e freddissimo, è un lavoro al cardiopalma vario e ispirato, organico e dalle ottime melodie. Forse penalizzato da un cantato quasi esclusivamente in svedese (all’epoca, gli unici a farlo furono i Mörk Gryning), il primo album dei Setherial passa troppo spesso ingiustamente sotto silenzio, e l’estate è un ottimo momento per recuperarlo. È una cura perfetta per la calura.


VINTERRIKET – DER LETZTE WINTER – DER EWIGKEIT ENTGEGEN (2005)
Fra le vette più alte della discografia francamente surdimensionata di Christoph “Vinterriket” Ziegler, Der Letzte Winter (l’ultimo inverno anche se, spoiler: non sarà l’ultimo) è un’opera massiccia e ispirata. Dimenticatevi i colori della primavera, cancellate dalla vostra mente l’asfalto che si scioglie sotto i raggi del sole, perché il viaggio verso l’eternità (come dice il sottotitolo) comincia dalle tempeste autunnali, attraversa mari di conifere e finisce – perlomeno secondo un’accezione terrena – diventando un tutt’uno con il freddo. Le tappe non sono scandite in modo netto, e nonostante la durata cospicua quest’immersione tra la bruma e le foglie risulta più fluida e gradevole che mai, merito dell’uso sapiente della melodia da parte di Ziegler e di un essenziale ma efficace repertorio di suoni ambientali. Una settimana bianca (a Ferragosto) dalla quale non si fa ritorno.


BLUT AUS NORD – MEMORIA VETUSTA I: FATHERS OF THE ICY AGE (1996)
Che i Blut Aus Nord non sarebbero stati una band come le altre era chiaro fin dall’inizio: il precoce e insondabile Vindsval, da sempre autore di tutte le musiche e di tutti i testi e molto probabilmente all’epoca unico reale membro del progetto, ai tempi del debutto, Ultima Thulée, non aveva ancora compiuto sedici anni. Nemmeno un anno dopo, già pubblicava un secondo album sotto tutti gli aspetti migliore del suo predecessore, più completo, strutturato e sfaccettato. Forte di campionature, drum-machine e cori, Fathers Of The Icy Age è uno dei primi, forse addirittura il primo vero e proprio album atmosferico della complicata storia del black metal, e si sviluppa lungo un ambizioso concept che gli stessi Blut Aus Nord già annunciavano sarebbe stato diviso in tre atti (i due successivi hanno visto la luce solo molti anni più tardi). Il racconto di Vindsval è iniziato ormai tanti anni fa, con una sanguinosa battaglia in una tempestosa notte invernale, ed è molto meglio di tanti romanzetti da ombrellone.


VINTERSORG – TILL FJÄLLS (1998)
Le prime fatiche discografiche firmate Vintersorg (all’anagrafe svedese Andreas Hedlund) si rivelano un rimedio altrettanto valido contro le frequenti ondate di caldo che colpiscono il nostro Paese. L’ottimo Till Fjälls, che fa da seguito al buonissimo EP Hedniskhjärtad, ci porta giustappunto sulle montagne, per riempirci i polmoni di aria fresca e gli occhi di panorami sconfinati. La voce baritonale e un po’ sgraziata di Hedlund, intervallata da uno scream graffiante e aggressivo il giusto, è la protagonista di questi quaranta minuti di viking metal con echi folk più o meno marcati. La natura selvaggia del grande Nord, coi suoi ghiacciai, i suoi boschi fitti, le sue pianure erbose, è invece il terreno su cui germoglia la poetica del Nostro: bucolica, fatta di contemplazione ma anche di timore reverenziale nei confronti degli elementi. Da riscoprire non solo per abbassare la temperatura corporea, ma anche per apprezzare l’evoluzione tematica e quindi stilistica che ha caratterizzato la prolifica carriera dell’istrionico svedese.


SHINING – IV – THE EERIE COLD (2005)
È un freddo tutto particolare, quello che porta con sé la band di Niklas Kvarforth. Non è il gelo dei boschi innevati e dell’inverno, ma il freddo delle anime sole, della disperazione e del distacco da tutto ciò che è bello. Gli stessi concetti di caldo e accogliente non esistono, nel mondo degli Shining. A ritmo sempre compassato e mai furioso, gli svedesi sono tra i pochissimi che hanno davvero rielaborato il concetto di black metal depressivo e si sono affrancati da suoni di burzumiana memoria, incorporando nella propria musica spunti freschi e inaspettati, come la tipica quinta traccia strumentale e acustica, campionamenti, cambi di tempo e in generale un’estrema varietà tra le singole canzoni. The Eerie Cold è stato proprio il primo lavoro maturo degli Shining, che presenta tutti gli elementi che da lì in poi hanno definito il sound voluto dal controverso Kvarforth. Tra un cappio e una lametta, la temperatura cala vertiginosamente.


FORTERESSE – LES HIVERS DE NOTRE ÉPOQUE (2008)
La storia del métal noir Québécois è molto più lunga e articolata di quanto possiate immaginare, affonda le sue radici musicali negli anni ‘90 e ha origini ideologiche che risalgono fino al primo novecento. Tra i nomi cardine di questo movimento dalla fortissima identità culturale spicca quello dei Forteresse, che dal 2006 predicano l’indipendenza del Québec dall’anglofono resto del Canada, e che nel loro secondo album raccontano gli inverni della nostra epoca. Lunghi, interminabili, e nella particolarissima accezione della band di Québec, città che dà il nome alla regione, non solo dal punto di vista climatico e stagionale. L’inverno dei Forteresse è quello dell’oppressione, della libertà negata di un popolo, che la band tratteggia con l’utilizzo di poesie di Albert Lozeau ed Émile Nelligan, poeti della prima metà del Novecento. Un album che non può lasciare indifferenti, che fin dalla copertina porta con sé neve e risentimento.


ENSLAVED – FROST (1994)
Uscito a pochi mesi di distanza dall’enciclopedico Vikingligr Veldi, il secondo album degli Enslaved è una delle pietre angolari del metallo norvegese. Accompagnato da un artwork iconico e da foto ai limiti del bondage in salsa medievale, questo diamante di ghiaccio, grazie a una gestione più oculata del minutaggio, risulta di più facile assimilazione rispetto al suo predecessore. Il black metal muscolare dell’allora trio composto da Grutle Kjellson, Ivar Bjørnson e Trym, venato da melodie epiche e da occasionali accenni ottantiani, ci racconta della natura selveggia di Hordaland e del Telemark con più di un excursus nella mitologia e nel folclore norreni. La conclusiva “Isöders Dronning” (regina dei ghiacci) è la storia perfetta per conciliare il sonno di tutti i bimbi accaldati, e così non c’è neppure bisogno di ricorrere ai condizionatori.