I LISTONI DEL DECENNIO #1 – Prima gli Italiani
Sembra ieri che si chiudeva il primo decennio di questo nuovo, scalcagnato millennio. E invece sono passati altri dieci anni, e da buona webzine siamo già qui a tirare le somme di cosa gli anni Dieci ci abbiano dato e cosa ci abbiano tolto in ambito musicale. Anzi, siccome da queste parti ci diamo delle arie, abbiamo deciso che tiriamo le somme solo di cosa ci porteremo dietro di questo decennio, e ce ne infischiamo delle cose brutte e di quelle che ci sono state portate via, tipo i Motörhead, perché ci farebbe troppo male.
Questo articolo è quindi parte di una serie di listoni da dieci dischi ciascuno che vogliono essere un vademecum di questi anni, pensati per quando saremo estinti e gli alieni finalmente atterreranno sulla Terra e dovranno cercare di capire chi eravamo. O più semplicemente, per chiunque volesse prendersi la briga di sapere quali sono stati secondo noi gli album migliori e al tempo stesso più importanti usciti tra il 2010 e il 2019. Quella che segue è la musica più bella in cui ci siamo imbattuti nell’arco di dieci anni, senza alcun criterio preciso al di là del nostro gusto personale. Il che significa che mancherà sicuramente il tuo album preferito, e puoi farcelo notare, ma con delicatezza, perché questi elenchi non hanno alcuna pretesa di essere esaustivi né di insegnare qualcosa a qualcuno. Sono solo la musica del demonio che ci piace di più.
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PRIMA GLI ITALIANI
Siccome Satana nello stivale storicamente ha sempre fatto fatica ad attecchire, abbiamo deciso di cominciare da una rassegna di gruppi estremi tutti nostrani. Nessun genere in particolare, in questo elenco abbiamo riunito dieci band e progetti molto eterogenei, spesso privi di alcun punto di contatto tra loro al di fuori dell’essere tutti italiani. E via via che mettevamo insieme il tutto ci stupivamo sempre di più perché, con buona pace di pizza e mandolino, abbiamo tanto da dire anche quando si tratta di urla, chitarroni e disagio.
UFOMAMMUT
Eve
(Supernatural Cat, 2010)
Gli Ufomammut rappresentano certamente un unicum nella scena stoner-doom internazionale, figuriamoci quando si restringe il campo a quella italiana. Il trio piemontese si presenta all’alba del 2010 con quattro album alle spalle, tra cui il superlativo Snailking e Idolum, che ha registrato una decisa virata verso suoni più opprimenti e strutture più ostiche. Con Eve, gli Ufomammut portano quanto fatto su Idolum su un piano più maturo e strutturato, codificando quello che sarà in definitiva il loro stile per gli anni a venire: costituito da una singola suite omonima ispirata alla figura di Eva e divisa in cinque movimenti, che danno ancora più la sensazione di confinamento vista la durata dei pezzi in apertura e chiusura, l’album si snoda tra atmosfere psichedeliche, voci sciamaniche e improvvise esplosioni sonore. Le due anime degli Ufomammut sono qui perfettamente equilibrate, cosa che fa di Eve un viaggio senza soluzione di continuità che inizia e finisce in momenti di relativa calma, sfoderando al suo interno pezzi come “Eve III”, il più breve del lotto, in cui la potenza primordiale è magistralmente affiancata da sintetizzatori provenienti da altre galassie. Quanto partorito successivamente dal pachiderma di Tortona è sicuramente di qualità eccelsa, tuttavia Eve ha il merito di aver stabilito con fermezza un canone estremamente personale, oltre a essere uno dei punti più alti della discografia del gruppo. Il fatto che occupi una posizione di riguardo nelle personali classifiche della band, poi, non può essere che la ciliegina sulla torta.
THE SECRET
Agnus Dei
(Southern Lord, 2012)
Agnus Dei, a distanza di sette anni dall’uscita, ci rovina tuttora le orecchie. I The Secret dell’epoca stavano spingendo al limite la furia che imperversava dentro il precedente Solve Et Coagula, la conseguenza di questo è approccio si ritrova in quel concentrato di livore sonoro chiamato Agnus Dei, un album che risulta più esasperato, più tagliente, più dritto al punto. Il suono dei The Secret è tutto un programma: ci si muove tra metal estremo e l’hardcore contemporaneo più annichilente (la produzione è di niente meno che Kurt Ballou), la sintesi di questi generi mira a eliminare le frivolezze, mantenendo intatta la parte più brutale. L’andamento è serrato, interrotto solo da brevi parentesi doom, ma inequivocabile nelle sue intenzioni assassine, che per inciso non vengono mai disattese. Ciò che lascia interdetti di Agnus Dei è la sua abilità nell’azzannare l’ascoltatore, incapace di rimanere impassibile davanti a tale assalto sonoro e che, vedendosi le vie di fuga sbarrate, non può far altro che sopportare di essere sbranato ancora e ancora, traccia dopo traccia, fino alla fine dell’opera. Purtroppo dopo questo album i The Secret si sono presi una lunga pausa, interrotta solo l’anno scorso dalla pubblicazione del tanto incazzato e altrettanto tristemente breve EP Lux Tenebris e dalla promessa di un nuovo disco di prossima uscita. Speriamo solo che l’attesa sia valsa la pena.
PROGENIE TERRESTRE PURA
U.M.A.
(Avantgarde Music, 2013)
All’epoca del mio primo approccio al black metal e alle sue gelide atmosfere norrene mai avrei immaginato che, pochi anni dopo, un disco avrebbe avuto la forza di catapultarmi in un luogo ancora più freddo e inesplorato. Il viaggio intrapreso dai Progenie Terrestre Pura è stato un’illuminazione, ha significato alzare lo sguardo al cielo ed essere assorbiti in un universo concreto, ma avvolto da un’aura di irrealtà. U.M.A. è un’opera letteralmente pionieristica, grazie alla sua struttura ibrida e ai suoi contenuti dal sentore profetico, il cui merito è stato quello di dare la spinta decisiva verso la fusione coerente di stilemi musicali eterogenei. Questo disco è il prodotto finale di un processo di ibridazione inevitabile che ha portato il black metal a mettere da parte le sue tradizioni originarie, proiettandolo, senza deturparlo, verso atmosfere aliene permeate da drum machine, sintetizzatori ed eteree sonorità post-metal. I blast-beat e i riff glaciali sopravvivono al viaggio verso l’Ignoto e si innestano in un esoscheletro di metallo e carne dando la luce a una forma d’arte superiore, al di là delle obsolete distinzioni di genere. Il vento del Progresso non può essere arrestato, solo abbracciato e interiorizzato; U.M.A. ce lo ha mostrato alla perfezione dispiegando le vele e discostando il velo del tempo, verso lo spaccato di un futuro che, fortunatamente, si confonde sempre più con il presente.
AD NAUSEAM
Nihil Quam Vacuitas Ordinatum Est
(Lavadome Productions, 2015)
Verso la metà del decennio, sulla scia del successo degli Ulcerate, il buco lasciato per anni dal silenzio dei Deathspell Omega e il ritorno sulle scene dei Gorguts, le partiture complesse e dissonanti avevano conquistato il metal estremo. Gli Ad Nauseam sono stati molto più che i semplici paladini italiani del genere. Nihil Quam Vacuitas Ordinatum Est ha riscosso sin da subito un certo successo tra gli appassionati, e non è difficile capire il perché. A un primo impatto la musica degli Ad Nauseam lascia agghiacciati a causa dell’impenetrabilità delle composizioni, poi facendoci strada ecco che veniamo a contatto con il cuore schizofrenico dell’album, ed è in quell’attimo che prendiamo coscienza che per noi è troppo tardi. Riascoltandolo oggi, mi colpisce come l’eccesso di caos, che altre band non potrebbero proporre senza risultare cacofoniche, in questo caso lasci intendere un discorso musicale coerente, che non annoia e che anzi desideriamo portare fino al compimento, in un tripudio di death metal, violini e e trovate che bordeggiano il noise. I brani risultano articolati a non finire, sempre pronti a stupire con un passaggio che normalmente bolleresti come inascoltabile. Eppure resti lì, paralizzato come davanti a una catastrofe incombente. Arrivare all’ultimo secondo della gigantesca e conclusiva “Superimposing Mere Will And Sheer Need” è un’impresa che chiede pegno alla propria sanità mentale. Detto questo, non c’è nessun dubbio a riguardo: ne vale la pena.
SEDNA
Eterno
(Drown Within Records, 2016)
Certe volte ci si dimentica delle potenzialità espressive del black metal. Troppo spesso vediamo trattare questo genere con una certa superficialità, come se le sensazioni che i musicisti sono in grado di rievocare fossero limitate a crudezza, oscurità, violenza e poco altro. Questo discorso non dovrebbe certo suonare inedito a un lettore di Aristocrazia, ma ciò non toglie che Eterno, il secondo disco dei Sedna, sia un esempio lampante dell’argomento. I Sedna sono una band black-doom che ha incorporato sin dal debutto ingenti dosi di post-metal fino a sbilanciarsi in questa direzione. Eterno, il loro migliore lavoro, è un’opera meditativa, la più tragica della loro discografia, capace di farti sentire perduto mentre rifletti sul paradosso dell’assoluto. Le quattro tracce che compongono l’album, di cui solo le prime tre propriamente metal, sono un viaggio attraverso l’infinito, lo spazio che ci appare così vuoto e al tempo stesso pieno di oggetti inafferrabili per la limitatezza della mente umana. E davanti a tutto ciò possiamo solo provare disperazione per l’incompletezza insita nella nostra condizione. Eterno è uno di quei pochi lavori del post-black in grado di lasciare davvero il segno.
SCUORN
Parthenope
(Dusktone, 2017)
La scena black italiana è sempre stata estremamente frastagliata e frammentata: brevi finestre di unione create dalla Invitta Armata al Nord, la produzione di Agghiastru e soci al Sud e poco altro. Il merito di Scuorn, in questo senso, è stato proprio quello di creare un polo di aggregazione in Campania, una regione che è sempre stata moderatamente attiva per quanto riguarda gli estremismi. La pubblicazione di Parthenope, infatti, ha dato nuova linfa alla musica locale, come abbiamo avuto modo di toccare con mano grazie alle formazioni e agli eventi che hanno iniziato a prendere slancio nella zona. L’album in sé, come se non bastasse, non ha avuto eguali tra le pubblicazioni italiane di genere degli anni ’10, se non anche dell’ultimo ventennio. L’idea di unire il black metal alle atmosfere legate al folclore locale non è una novità, tanto nel Bel Paese quanto all’estero, ma un tentativo di accostamento alla tradizione popolare napoletana non c’era mai stato prima, in questi termini, e lo stesso si può dire per certo della stessa decisione di cantare della storia di Napoli; nel caso specifico di quest’album, dei miti legati ai primi secoli di vita della città di Partenope, come la sua origine e quella del culto dei morti, la venerazione di Virgilio mago e il martirio del santo protettore della città. A oltre due anni e mezzo dalla sua uscita, Parthenope si è guadagnato svariati apprezzamenti da siti e testate specializzate nel settore e, per quanto mi riguarda, è ritornato sempre di prepotenza tra i miei ascolti a intervalli più o meno regolari. Anche per questo, nell’attesa che Giulian aggiunga una seconda pubblicazione alla discografia della sua creatura, il primo atto di Scuorn si aggiudica un posto in questa lista del malæ.
IN TORMENTATA QUIETE
Finestatico
(My Kingdom Music, 2017)
L’estro creativo dei bolognesi In Tormentata Quiete è talmente vivace e indomabile da non poter essere confinato ai miseri spazi del pianeta Terra. Finestatico, quarto album del gruppo, è l’occasione per rivolgere lo sguardo e il pensiero alla volta celeste ed estendere le pulsioni emozionali, progressive e teatrali oltre la comune percezione. La complessità musicale degli In Tormenta Quiete resta sempre accattivante, nella potenza della salda anima metal così come nella delicatezza folk-jazz-acustica e nei commoventi intrecci vocali del trio di cantanti (Irene Petitto, Marco Vitale e Simone Lanzoni). E nel mentre, già rapiti dalle note, ci interroghiamo insieme ai ragazzi emiliani sul significato della vita, sull’Uomo e l’Universo. Finestatico è creazione artistica pura, priva di barriere, che ci abbraccia e tiene per mano. Eccellenza italiana dal 1998.
VOID OF SILENCE
The Sky Over
(Avantgarde Music, 2018)
Ogni nuovo capitolo targato Void Of Silence rappresenta ormai un evento imperdibile per la scena italiana e non solo. E il trio romano non si è smentito nemmeno lo scorso anno, quando The Sky Over ci ha trasportato fra i gelidi e monolitici ghiacci polari, al seguito delle più ardite, folli e tragiche esplorazioni umane. La coppia Conforti-Zara, supportata dal nuovo cantante Luca Soi (già negli Arcana Coelestia), alle prese con l’eredità scomoda di personaggi di spessore quali Malfeitor Fabban (Aborym), Nemtheanga (Primordial) e Brooke Johnson (Axis Of Perdition), ha costruito un altro vero e proprio monumento musicale, imponente, tragico, etereo e umano, nella grandezza come nella miseria evocate. La formula apocalittica a base di doom metal funereo, ambient e drone conquista e irretisce ascolto dopo ascolto, mettendo alla prova il tessuto emotivo di ciascuno di noi, illuso e stremato, sollecitato senza sosta in questa traversata della durata di un’ora al fianco degli storici pionieri Void Of Silence.
MESSA
Feast For Water
(Aural Music, 2018)
Con lo stoner-doom ho sempre avuto un rapporto discontinuo, lo ammetto apertamente, perché mi è sempre sembrato tutto molto — se non anche troppo — derivativo rispetto alla produzione dei grandi maestri del genere. Purtroppo ma anche un po’ per fortuna, però, a farmi cambiare idea sono arrivati i Messa. L’Italia, in passato, aveva già ampiamente detto la sua all’interno di queste coordinate, eppure il quartetto ha subito dimostrato di possedere un grande carattere, emergendo dal sottobosco con decisione e pubblicando prima Belfry (Aural Music, 2016) e poi Feast For Water, con cui ha consolidato la propria posizione all’interno del panorama locale e al di fuori, portandoli fin sul palco del Roadburn. Del sound più canonico del primo disco, i Nostri hanno mantenuto i canovacci del genere, resi qui molto più psichedelici, molto più sperimentali, molto più totalizzanti e, più di ogni altra cosa, molto più incisivi. Si viaggia sott’acqua, dal primo all’ultimo momento, protetti da una bolla d’aria invisibile e dai contorni perlacei, che per tutta la durata del trip assume sfumature cangianti sempre diverse: momenti prog e drone, dettagli jazz e black metal, sfumature punk e blues; Feast For Water non si fa mancare letteralmente nulla, tra sax, blast beat e Fender Rhodes. Se pensate che l’ultima prova dei Messa, a oggi, non si sia meritata un posto in questa lista, provate a farne a meno… se ci riuscite.
MARNERO
Quando Vedrai Le Navi In Fiamme Sarà Giunta L’Ora
(Dischi Bervisti, 2018)
Ascoltare Quando Vedrai Le Navi In Fiamme Sarà Giunta L’Ora è difficile, quasi quanto è difficile scriverne, provando a esprimere con le parole la moltitudine di tumulti marittimi, ideologici, psichici e sociali che i Marnero hanno compresso in questi quaranta minuti di deflagrante e caleidoscopico post-qualunquecosasia. In un vortice di sensazioni acide e brutali, riecheggia una poetica sapiente e incisiva che, utilizzando come metafora il contesto nautico, ci mette di fronte a una verità tanto semplice da risultare disorientante: abbiamo fallito, su ogni livello, e quel fallimento ce lo portiamo dentro, perché ne siamo noi i responsabili. Eppure, in lontananza, tra i cavalloni sollevati dall’uragano che si abbatte sulle nostre vite insopportabilmente corte e insopportabilmente lunghe, c’è ancora un flebile bagliore, un fuoco che, a dispetto della pioggia torrenziale che lo investe, non ne vuole sapere di spegnersi. E, mentre il nubifragio riempie i polmoni di un’acqua nera, maledetta e contaminata, una volta raggiunto l’occhio del ciclone, i Marnero consegnano a ognuno di noi un pezzetto di brace, chiedendoci di non lasciare che quel fuoco si spenga, per noi, per loro, per tutti. Per queste ragioni Quando Vedrai Le Navi In Fiamme Sarà Giunta L’Ora non è uno tra i dischi più importanti di questo decennio che sta per finire, bensì è un disco fondamentale per ogni decennio e per ogni secolo: la ciurma del disastro siamo noi, tutti noi, da sempre. E, in quanto membri di tale ciurma, abbiamo un obbligo: restare fermi, mantenere accesa quella fiamma e portarla sotto la pioggia, provando a dare fuoco alle navi. Malgrado tutto, i Marnero ci invitano a resistere, a dimostrare che, come Damocle, non abbiamo mai ballato meglio che con quella spada sulla testa, fino al giorno in cui avremo un riparo che ci protegga dalla tormenta che infuria sul mondo.