(Altri) 8 artisti che hanno seguito la via dei Summoning
A poco più di un anno dalla pubblicazione di un primo articolo che riunisce una serie di nomi e titoli pronti a raccogliere l’eredità musicale e spirituale dei Summoning, la necessità di continuare a scavare con la stessa avidità dei nani nelle miniere di Moria è cresciuta a dismisura, tanto da ritrovarci qui, oggi, con altri nomi e altri titoli sulla stessa lunghezza d’onda. I prerequisiti? Trame di tastiere fittissime, batterie disumane e gelo nell’anima tendenzialmente bastano, ma epicità à gogo, collezione di dadi e miniature e una propensione all’isolamento che nemmeno Gollum quando rivede per la prima volta la luce dopo secoli sono degli ottimi plus.
Tornando seri, anche questo speciale va affrontato con le dovute premesse ben chiare in mente. Un articolo di questo tipo poteva certamente partire con i due nomi chiave del revival del genere, ovvero Caladan Brood ed Emyn Muil, ma è stata fatta una scelta diversa. Considerata la convergenza che ha visto i due progetti debuttare nello stesso anno, rispettivamente con quelle perle di Echoes Of Battle (Northern Silence Productions, 2013) e Túrin Turambar Dagnir Glaurunga (Nartum Art, 2013), i nomi e i titoli analizzati di seguito saranno esclusivamente successivi. La realizzazione della compilation del 2016 In Mordor Where The Shadows Are, curata da Wolfspell Records, è sicuramente uno dei punti di partenza per approfondire l’evoluzione di questo tipo di black metal dal piglio ambient e dai toni epicheggianti; ed è proprio dal 2016 era vulgaris che partirà questo secondo appuntamento aristocratico dedicato alla commistione tra dungeon synth, metallo nero ed epicità, anno di uscita di due titoli tutt’altro che trascurabili in questo sotto-sottogenere.
Come per tutte le nostre playlist, ricordiamo sempre che non hanno la pretesa di essere assolutamente esaustive. I dischi presi in considerazione in questa sede non sono gli unici usciti nell’arco di tempo preso in analisi, né certamente i migliori perché l’abbiamo detto noi. Fai la scelta giusta, riempi la tua pipa di vecchio Tobia, stappati una bottiglia di Vecchi Vigneti e goditi la raccolta. Poi chiaramente facci sapere se manca qualcosa di clamoroso.
Druadan Forest – The Loremasters Time
(GS Productions, 2016)
Druadan Forest è un nome che, volenti o nolenti, ci si trova davanti a ogni riflessione sul mondo atmospheric black e dungeon synth scandinavo. Il progetto, figlio del solo Ville “V-Khaoz” Pallonen (lo stesso attivo in Olio Tähtien Takana, Vargrav, Old Serpent’s Lore ed ex Marras, per fare alcuni nomi), è anche uno dei più longevi ancora in circolazione. Mossi i suoi primi passi sul finire del secolo scorso, il nostro finno-cultista ha appeso la bacchetta magica al chiodo per dedicarsi ai suoi duemila altri impegni musicali, per poi riabbracciare Druadan Forest proprio nel 2016, anno in cui ha raccolto le sue prime demo nella compilation Paths Of The Dead e ha pubblicato prima l’EP The End Of Colours e poi il qui presente The Loremasters Time.
Dai primi secondi dell’incipit “Approaching The Netherkeep”, passando per la vera apripista “The Whispering Moon” e giù fino alla conclusiva “A Blazing Crimson In The Horizon”, non si hanno dubbi sull’appartenenza della creatura di V-Khaoz a questo listone. Gli arrangiamenti orchestrali hanno quella narratività tipica delle colonne sonore, le chitarre sono affilate come lame di Morgul e lo scream virulento e gorgogliante di Pallonen dipinge scenari tetri proprio come gli stilemi del genere comandano. Un’opera da riscoprire e tenersi stretti, The Loremasters Time è perfetta non solo per apprezzare Druadan Forest come progetto all’interno di un filone musicale chiaro e definito, ma anche come punto di partenza per approfondirne la discografia, arricchitasi all’inizio di quest’anno di Portals, pubblicato su Werewolf Records sul finire di gennaio.
Eldamar – The Force Of The Ancient Land
(Northern Silence Productions, 2016)
A pochi mesi dall’uscita del primo album di Druadan Forest, faceva il suo debutto anche un altro progetto chiave del mondo dell’epic black. Dai connotati più atmosferici, Eldamar è un’altra one man band, il cui mastermind, Mathias Hemmingby, all’epoca di The Force Of The Ancient Land aveva appena vent’anni. Contrariamente all’evoluzione della creatura di Pallonen, il progetto di Hemmingby è ormai in silenzio da anni; il suo ultimo cenno di vita, il caricamento su Bandcamp della demo originale di “Spirit Of The North”, l’articolatissimo apripista di The Force Of The Ancient Land.
Pur non avendo avuto (ancora) uno sviluppo degno della sua breve quanto promettente carriera, Eldamar è un’altra creatura da scoprire e riscoprire, quando ci si avventura nel mondo del black metal più epico e atmosfericamente ricco, e quale modo migliore di farlo se non tramite l’ascolto del suo primo lavoro. Pubblicato da quella che sarà una delle etichette cardine dell’atmospheric e dell’epic black dei giorni nostri, ovvero Northern Silence, The Force Of The Ancient Land si apre con l’antesignano dell’intera produzione firmata da Eldamar. Nei suoi quasi quindici minuti, “Spirit Of The North” concentra tastiere tonde e super-riverberate, synth semplici ma d’effetto, riff concentrici e ripetitivi scanditi dalle variazioni ritmiche della batteria e voci che, più che fare da lead, sono strumenti al pari degli altri, aggiungendo e togliendo epicità al tutto col contagocce. Laddove i rari scream sono dello stesso Mathias, va invece sottolineato come la voce femminile che si sente, un po’ un marchio di fabbrica di casa Eldamar, sia invece sintetizzata, retaggio dell’amore del musicista per la musica celtica. Otto tracce per quasi un’ora e un quarto di epicità tanto grossa (“From Life To Spirit”) quanto sognante (“The Border Of Eldamar “), corredata da una dichiarazione di intenti chiarissima: «Eldamar is heavily inspired by the North lands nature Power. Look at it as a journey, and drift away in your own dreams».
Seer’s Fire – Whispers In The Fire
(Autoprodotto, 2017)
Prima tornata di grezzume e ignoranza della playlist, prima svolta in un anfratto buio e isolato. Seer’s Fire è un progetto gravemente misconosciuto, dietro le cui trame si cela nient’altri che il neerlandese Robbert van Rumund di Faceless Entity, Melancholie e Wandelaars, tra i tanti. Per quanto mai effettivamente interrotta, la carriera di RvR nel mondo dell’epica oscura ha incontrato una severa battuta di arresto subito dopo l’uscita di Snow-Veiled Plains, l’unico breve seguito dato a Whispers In The Fire, il debutto sulla lunga distanza della one man band.
Ruvido e lontano anni luce dall’essere un disco di facile ascolto, il primo e unico album di casa Seer’s Fire incarna tutte quelle che sono le prerogative dell’epic black e le incapsula in otto tracce tanto coerenti quanto abrasive. Cinque brani che oscillano tra i sei e i quattordici minuti, tre strumentali minimali e tutt’altro che arzigogolate eppure profondamente evocative, come l’affascinante “Aspect Of The Eagle, Mark Of The Bear” che dietro il suo nome cela riferimenti al folklore di mezzo mondo: una formula vincente, quella adottata da van Rumund in Seer’s Fire. Forse un filo di rumore in meno avrebbe consentito di apprezzare meglio quanto celato nei riff di “Beyond The Mountains, The Land Is Burning” o “Mighty Walls Against Forlorn Fields”, ma rientra ugualmente tutto a pennello nel disegno anticipato dal nome del progetto. Quella messa in musica è la visione che si nasconde nelle fiamme che solo il veggente può scorgere: dove per il mortale ci sono caos e confusione, chi ha la vista affinata vede con chiarezza tutt’altro.
Moongates Guardian – Leave The Northern Mountains
(Autoprodotto, 2018)
Torniamo a guardare verso oriente e superiamo i confini dell’Europa per fiondarci, con Leave The Northern Mountains, alla scoperta di un duo di quelli über-prolifici. Dietro quel monicker a metà tra il metal defender e l’oltranzista a tuttotondo che è Moongates Guardian si celano Alexey e Skilar, due che dall’oblast’ di Kaliningrad diffondono il verbo tolkieniano da poco meno di un decennio. Una rapida scorsa della pagina dedicata al loro progetto su metal-archives chiarisce subito l’entità del danno: nove EP, tre split e undici album (l’ultimo, The Wind Over Dale, uscito a inizio anno) ci fanno capire istantaneamente che o siamo davanti a un genio incompreso capace di partorire idee sempre nuove a un ritmo serratissimo o che, più probabilmente, il tempo passato a rimuginare su quanto si sta per cacciare sia tendenzialmente poco.
In medio stat virtus anche in questo caso, perché pescando nella vasta produzione dei russi si trova un po’ di tutto e, nonostante ci sia moltissima coerenza anche tra i vari titoli, è possibile delineare un percorso evolutivo. Leave The Northern Mountains si pone esattamente al centro della cosiddetta discografia principale dei Moongates Guardian e, includendo una cover dei Running Wild (“Mordor”) e un omaggio ai numi tutelari dell’epic black (“Nightshade Forests”), Alexey e Skilar ci servono a freddo un’ora tonda tonda di atmosfere da dungeon crawling agonistico e attraversamento delle piane di Gorgoroth in largo. Gli arrangiamenti e le formule strumentali di Skilar, per quanto fedeli fino al midollo agli stilemi del genere, hanno la loro dose di personalità, specialmente in certe tornate melodiche, ma è il cantato di Alexey a fornire ai Moongates Guardian il quid di cui hanno bisogno. Se cercavi un’aggiunta alla tua collezione prodotta meglio di Seer’s Fire ma ugualmente inusuale, parti da Leave The Northern Mountains e lanciati alla scoperta dei Moongates Guardian, non te ne pentirai.
Almach – Battle Of Tours
(Haarbn Productions, 2020)
Che la musica non abbia confini è fuori discussione; qualche dubbio può sorgere, invece, sul fatto che ci sia o meno un progetto in Afghanistan che abbia deciso di scrivere un concept sulla battaglia di Poitiers in chiave epic black. Che rientrino o meno nella categoria di chi si spaccia per abitante del Chongqing e invece viene dal North Dakota, gli Almach (al plurale per comodità, visto che non si sa chi o quante persone ci siano effettivamente di mezzo) hanno fatto il loro debutto nel giugno 2020 e, in questo biennio pandemico, ci hanno consegnato altre due intrigantissime prove, Dream Elegy e Realm, oltre all’EP Shades Of War del 2021.
Qui e ora, però, parliamo del loro primo lavoro, quello con cui hanno scelto di affacciarsi sul mondo della musica estrema: Battle Of Tours. Una prova spicciola, diretta, che in poco più di mezz’ora ci consente un viaggio di andata e ritorno in Medio Oriente: non solo per l’uso delle armonie tipiche locali, ma anche per le sparute comparsate di voce pulita che canta in lingua che nostalgici di Prince Of Persia preparate il pacco di fazzoletti. Una produzione leggermente migliore probabilmente avrebbe dato una marcia in più a Battle Of Tours anche a livello di mercato, ma dubito che un disco con le idee così chiare sia destinato a passare inosservato per sempre. Atmosfere complesse, orchestrazioni magniloquenti, distorsioni a servizio delle tastiere e scream in secondo piano anche rispetto alla drum machine sono la formula magica degli Almach, ricetta che potenzialmente potrebbe portargli una discreta dose di successo, negli anni a venire.
Firienholt – By The Waters Of Awakening
(Naturmacht Productions, 2021)
E rieccoci finalmente a parlare di una band che ha radici più concrete nel mondo reale, ma non per questo è meno lontana dai lidi epici del fantasy e dell’epic black. I Firienholt sono un trio di Leeds e hanno debuttato un paio di anni fa, pubblicando nel giro di una manciata di mesi una trilogia di EP che ha fatto girare discretamente il loro nome. A The Crownless, Beside The Roaring Sea e The Lady Of Light ha fatto poi seguito un album, il primo del terzetto britannico, By The Waters Of Awakening, che catapulta Caradhras, Silvertine e Fanuidhol direttamente sotto l’ala protettrice di mamma Naturmacht.
Cinque tracce e poco meno di un’ora di musica che non prova neppure per un secondo a nascondere la sua derivatività. By The Waters Of Awakening strizza l’occhio in maniera chiara e netta a Echoes Of Battle e, pur non essendo nemmeno lontanamente paragonabile al capolavoro dei Caladan Brood in potenza o in epicità, l’esordio sulla lunga distanza dei Firienholt non è una becera copia carbone priva di valore. Dalle trame di synth e tastiere ben bilanciate all’alternanza di voci gracchianti e cori magniloquenti, la scaletta scorre che è una meraviglia: impresa non da poco, considerato che nessuna traccia scende sotto i nove minuti di durata. Echi di quanto fatto dai Sojourner tornano alla mente qua e là lungo l’ascolto, a riprova che il trio non meglio identificato del West Yorkshire ha fatto tutti i compitini del caso prima di mettere mano agli strumenti. In attesa che tirino fuori una nuova opera e che si decidano a fare quel passo in avanti per brillare di luce propria, i Firienholt restano un nome da tenere a mente e avvicinarsi a loro attraverso By The Waters Of Awakening è caldamente consigliato a chi ci tiene a non perdersi un’uscita di questo sottogenere.
Urdôl Ur – Seven Portals To The Arcane Realms
(Autoprodotto, 2021)
Uscito prima indipendentemente nel novembre dell’anno scorso per poi beccarsi un’edizione in cassetta firmata Dungeons Deep Records e una in cd con tanto di formato A5 in tiratura limitata dalla sempre attenta Northern Silence, Seven Portals To The Arcane Realms costituisce il debutto ufficiale di Urdôl Ur, formazione a due di questo sottogenere tanto oltranzista quanto perennemente in evoluzione. Siamo di nuovo in Norvegia, stavolta di fronte all’ennesimo duo che si nasconde completamente dietro pseudonimi. Proprio come i fantasmi responsabili di Almach e Firienholt, anche Ahaz-Tharkaêl e Qroleûs sembrano sapere molto bene il fatto loro e, pur avendo optato per una drum machine e una produzione molto scarna e casareccia, i nostri due presunti scandinavi si sono lanciati in un assalto frontale ben strutturato e articolato.
C’è un certo grado di ricercatezza dietro Seven Portals To The Arcane Realms, finezza che non dipende solo dalla coincidenza di titolo e scaletta (sette tracce annunciate, sette presenti; citazioni e riferimenti fatti con piena padronanza del linguaggio epico e con inventiva), ma anche nel bilanciamento tra brani veri e propri e strumentali palate cleanser che forniscono il giusto distacco tra una narrazione e l’altra. Siamo davanti a una prova che non raggiunge i quaranta minuti di durata, eppure ci presenta una proposta musicale coerente e accattivante, capace di prendere alla sprovvista con riferimenti alle soluzioni più tradizionali del black (“Munloire”) pur tendenzialmente preferendo arrangiamenti di più ampio respiro, legati al versante atmospheric del genere (“The Darkened Pass (In The Shadows Of Thozzt Dogor)”). Pur non sentendone parlare molto da queste parti, gli Urdôl Ur di Ahaz-Tharkaêl e Qroleûs sembrerebbero star riscuotendo un certo successo in giro, tanto che solamente una manciata di copie in cd di Seven Portals To The Arcane Realms sono ancora disponibili presso Northern Silence: direi che meglio di così non si poteva debuttare.
Line Of Durin – Ever Homeward
(Autoprodotto, 2022)
Chiudiamo questa raccolta con un po’ di sano metallo nanico: non quello cafardo e ignorante che va per la maggiore, quanto piuttosto portando alla luce dalle profondità della Montagna Solitaria una gemma da poco scovata. Ever Homeward è il primissimo lavoro sulla lunga distanza di una formazione epic black di casa dall’altro lato dell’Atlantico, i Line Of Durin. Un nome e mille aspettative, per questo trio composto da musicisti che, per una volta, suonano davvero sia le trombette che la batteria. Sarcasmo a parte, Eöl, Zirak e Telchar non fanno mistero neppure per un secondo della loro passione per la produzione letteraria del Professore e, infatti, basano per intero la band sulla dinastia nanica di Durin.
Dopo aver esordito nel 2019 con l’eponimo Line Of Durin, composto da appena tre tracce (“Khazad-Dûm”, “The Exodus Of Thráin” ed “Erebor”: tutti titoli scelti a caso, no?), il terzetto originario della California e rilocato in Oregon ha impegnato l’ultimo paio d’anni a perfezionare la sua formula fatta di flautini e cori epici, distorsioni e mid tempo muscolari, distorsioni e arrangiamenti da utilizzare per annunciare l’entrata del party nella tana del boss finale. Ever Homeward, come tutto il progetto, si integra appieno nel concept tolkeniano e affonda le sue radici con riverenza e passione nei fatti e nelle vicende che hanno segnato la storia della Terra di Mezzo. Dal mito silmarillioniano della nascita dei nani per volontà di Aulë (“Durin The Deathless”) a una dedica agli Ered Luin, i Monti Azzurri, passando per i dovuti omaggi a Thorin (“Oakenshield”) e a Balin (con la combo “Balin’s Fated March” e “Ghostly Halls Of Stone/Balin’s Tomb”); il tutto perfettamente anticipato già dalla copertina, il cui artwork è stato realizzato dall’italiana Silvana Massa.
I Line Of Durin non si sono risparmiati neppure per sbaglio, nella produzione del loro primo album, tant’è che l’hanno anche impreziosito della collaborazione di diversi ospiti, tra i quali è impossibile non citare Tom O’Dell, il capoccia dei Dwarrowdelf entrato anche nei Sojourner come chitarrista e corista. Un lavoro di gran pregio, in pieno rispetto della tradizione nanica di lavorazione di gemme e metalli. Che la stirpe di Durin continui a godere di lunga vita e di buona salute: c’è ancora bisogno di dischi come Ever Homeward.