9+1 motivi per non odiare i Sonata Arctica
«Cinque poveri disgraziati con carenze di affetto erano soliti trovarsi nel bar più famoso di Kemi (Finlandia). Erano […] a bere per dimenticare e si raccontavano che Dana se ne era andata, che la loro fidanzata li aveva traditi o che avevano mangiato la loro ragazza in una notte di luna piena; decisero allora di mettere in musica le loro sciagure, condendole con freddo finlandese e strazianti motivi di basso: nacquero così i Sonata Arctica.».
Citazioni dalla relativa pagina sulla rispettabilissima Nonciclopedia a parte, c’è da chiarire una cosa: qualsiasi metallaro più tosto degli altri odia il power metal tutto cavalcate e urlettini, mentre quelli che non lo odiano sono fermi alla pubblicazione di Keeper Of The Seven Key Part II, di Angels Cry o, alla peggio, del più recente Infinite degli Stratovarius… Ma se c’è una cosa che accomuna tutti i fan della musica di Dio è questa: tutti odiano i Sonata Arctica. Persino qui, all’interno di una redazione di ampissime vedute come la nostra, ad apprezzare la band siamo in pochissimi. Da fan sfegatato del quintetto finlandese, non potevo esimermi dal tentare di prendere le difese della band di Tony Kakko e soci, provando a darvi delle buone ragioni per non odiare a prescindere questa formazione.
Detto ciò, se dopo la lettura di questo articolo continuerete a provare ribrezzo davanti a quell’accrocco di consonanti all’interno del loro nome, a non trattenere le risate davanti ai piripiri delle loro pianole e a evitare accuratamente di ascoltarli perché non riuscite a prenderli sul serio, fate pure. Nel caso in cui io dovessi perdere il posto in redazione per aver pubblicato un articolo del genere, ci vedremo in quel bar di Kemi per una triste pinta di birra sulle note di “Shamandalie”!
Sanno arrivare dritto al cuore degli sfigati
Parliamoci francamente: l’ascoltatore medio dei Sonata Arctica è sfigato. Disagi in amore e con la famiglia, con se stesso e col mondo intero, e chi più ne ha più ne metta, sono all’ordine del giorno per certe persone; i Nostri sembrano avere una chiara idea di cosa si provi a vivere una vita del genere. E pare anche che sappiano come sfruttare ciò a proprio vantaggio.
Fare un elenco di tutte le volte in cui il protagonista di una delle loro canzoni è piantato in asso da una donna sarebbe riduttivo, ma capirete bene che far ascoltare “Letter To Dana” (Ecliptica), “The Ruins Of My Life” (Winterheart’s Guild) o “My Selene” (Reckoning Night) a uno che nella vita è solo come un vegano alla sagra della porchetta di Ariccia non potrà sortire altro effetto che farlo piangere a dirotto, perché quella roba parla di lui. Se si sommano poi quei momenti della propria esistenza in cui ci si sente una pecora nera, fuori posto all’interno di qualsivoglia contesto e quelli in cui si vorrebbe solo scappare via da quella gabbia che è la vita, praticamente ci si ritrova a fare i conti con un loro album!
Poesia romantica e Shakespeare levateve proprio!
A Tony Kakko si possono imputare tante colpe, ma sicuramente non gli si potrà mai dire che scrive dei brutti testi. Magari all’interno di Ecliptica o di Silence si potranno facilmente riscontrare un paio di errorini di grammatica, eppure le tematiche trattate negli anni, le immagini e le trame che è riuscito a tirare fuori controbilanciano il tutto.
Portarci a seguire le tristi, intricate e surreali vicende di un guardiano di un faro che è causa della morte della sua amata (con “White Pearl, Black Oceans”, da Reckoning Night) oppure a pattinare con foche, tarantole e mosche in quella visione delirante che è “My Dream’s But A Drop Of Fuel For A Nightmare” (Unia) non è affatto da tutti. L’indovinello che costituisce “…Of Silence” e il fatto di essere riuscito a riscrivere una scena cult di “Romeo & Giulietta” con poche parole («This is the end. / Why? / You’re closing my eyes…» all’interno di “Juliet”, in The Days Of Grays) sono indubbiamente altri due grossi motivi per cui bisognerebbe provare a non odiare a prescindere i Sonata Arctica. Ma se proprio ci tenete ad avercela con loro pure da questo punto di vista, allora indirizzate la vostra rabbia su “Life” (The Ninth Hour), ad esempio, o sulla freschissima “A Little Less Understanding” (Talviyö).
Parlavano del cambiamento climatico da prima che fosse mainstream…
Oggigiorno, se vi dicessi di pensare a un discorso sulla fine del mondo, la mente di tutti si ricollegherebbe più o meno immediatamente alle parole di Greta Thunberg. E se vi dicessi che i Sonata cantavano dei problemi causati alla Natura da parte dell’uomo prima della nota adolescente svedese? Perché quel «I don’t want you to hope […] I want you to act» mi ricorda molto il «Pray no, you should not pray now / Must believe in yourself / All the choices you make / Will define you in the end / Truly, we’re a lost cause / A tiny rhymless word / In the poem of time» dei Nostri; senza contare che nei ’90 ci avevano già pensato gli Stratovarius di Tolkki e Kotipelto a segnalare questa problematica con parole non molto dissimili da queste. Diamo alla Fillandia ciò che spetta alla Fillandia, c’erano arrivati prima loro!
Con “Wreaking The Sphere”, traccia bonus sulla versione giapponese di Reckoning Night, Tony Kakko e soci dicevano la loro sull’argomento già quindici anni fa. Senza contare che di case in fiamme i Sonata Arctica avevano parlato ancora prima, quando pensavano alle teorie sul controllo di massa tramite internet e allo Y2K, e cantavano dell’apocalisse atomica, scongiurandoci di aver cura di questo pianeta: «Respect the wilderness, respect the life / Save the nature for your unborn child» (da “Respect The Wilderness”, traccia bonus di Silence). Insomma, loro si preoccupano per noi dal 1999 e noi li odiamo a priori?
…E sono anche amanti degli animali!
C’è poco da dire, qui. Chi conosce il quintetto sa già di cosa parlo, chi non lo conosce dovrà prepararsi a una caterva di stereotipi. A Tony Kakko e soci, infatti, stanno molto a cuore i lupi; così tanto che sono finiti sulla copertina di un loro disco ben sette volte (otto, se si conta anche il neo annunciato Talviyö, in uscita il prossimo settembre): sugli album Reckoning Night, Pariah’s Child e The Ninth Hour; sugli EP Takatalvi e The Wolves Die Young; sul live album e DVD For The Sake Of Revenge e sulla loro ultima raccolta The Harvests. All’interno di una loro canzone, invece, sono nominati quasi altrettante volte: in “Wolf & Raven”, “The Cage”, “Ain’t Your Fairytale”, “The Last Amazing Grays”, “The Wolves Die Young” e “Blood”, senza considerare la più vecchia “Fullmoon” che, ovviamente, non potrà non parlare di lupi mannari.
La passione per gli animali dei Sonata Arctica, però, non si esaurisce nella venerazione del succitato canide, ma si estende anche ad altri animali, come il cigno (protagonista del testo di “Fly With The Black Swan”, inserito in Unia), simbolo della mitologia finnica presente in più di una occasione all’interno del poema epico nazionale Kalevala. Il rispetto per l’ambiente, per la natura e per gli esseri viventi in generale fa di questa band una vera e propria realtà unica nel suo genere, soprattutto viste le sonorità.
Hanno sempre avuto degli ottimi musicisti
Lo so che vi costerà molto ammetterlo, ma fate uno sforzo e ripetete con me: non si può dire che musicalmente i Sonata Arctica non abbiano sempre avuto tutte le carte in regola per comporre della buona musica.
Partendo dai chitarristi, Jani Liimatainen prima ed Elias Viljanen poi, nessuno potrà mai negare la preparazione del gruppo. Il signor Elias “E.Vil” Viljanen ha avuto una carriera solistica da shredder ben prima di entrare tra le fila del quintetto arctico, mentre il rosso nazionale ha collaborato negli anni con altri progetti finlandesi (come gli Insomnium, tra gli altri) ed è sempre stato molto apprezzato in lungo e in largo; specialmente nel Paese del Sol Levante, guadagnandosi anche alcune menzioni all’interno della nota rivista Young Guitar Magazine.
Di tutto rispetto è anche il settore tastieristico della formazione di Kemi: nei primissimi anni di attività è lo stesso Tony Kakko a occuparsene, mentre in Silence si nota l’apporto neoclassico di Mikko Härkin; a partire da Reckoning Night, poi, il testimone è finito nelle mani dell’attuale membro Henrik Klingenberg, con risultati molto convincenti, ma non prima di una breve incursione del famigerato Jens Johansson (Stratovarius), il quale ha firmato gli assoli di “The Cage”, “Silver Tongue”, “Victoria’s Secret” e “Champagne Bath” (tutti in Winterheart’s Guild).
Anche loro erano meglio quando c’era Lui
Un po’ come i Dream Theater con Mike Portnoy, si può dire anche dei Sonata Arctica che fossero meglio quando c’era Lui, intendendo ovviamente l’ex chitarrista Jani Liimatainen. Proprio come la formazione prog americana, la dipartita del membro fondatore ha segnato profondamente la carriera del quintetto: un cambiamento evidente della proposta musicale, sia a livello puramente stilistico che tematico, ha infatti coinciso con l’allontanamento di Liimatainen.
Il rosso chitarrista aveva contribuito alla scrittura e agli arrangiamenti del progetto sin dalla primissima ora, quando la band si chiamava ancora Tricky Beans (e poi Tricky Means), e un esempio notevole è dato da “BlackOut”: il brano, inserito all’interno della demo Friends Till The End del ’96 degli allora Fagioli Triviali, è stato ripreso e reinserito dai Sonata nel 2009 all’interno di The Days Of Grays col nuovo titolo di “Flag In The Ground” e, seppur registrato in studio dal cattivissimo “E.Vil”, il pezzo suona veementemente come la prima parte della produzione dei finnici. Inoltre, Lui non se n’è stato solo con le mani sulla chitarra negli anni di militanza arctica: Liimatainen è stato l’unico membro, oltre Kakko, a scrivere alcuni testi per la band e, probabilmente, la sua “My Selene” resta ancora oggi tra le canzoni a cui moltissimi tra i fan tengono maggiormente (le motivazioni sono nel punto 1).
Conoscono il significato del verbo cannare
Perché l’hanno fatto, in più di una occasione. “Life” e “A Little Less Understanding” sono già state tirate in ballo come canzoni esempio del livello di bassa qualità raggiunto dai Nostri nel corso della propria carriera; ma non preoccupatevi, c’è anche di peggio! Sia chiaro, questi (e i successivi) sono definibili come esempi negativi della produzione del quintetto di Kemi nella misura in cui sono così distanti da tutto ciò che i Sonata Arctica hanno sempre dimostrato e professato di essere da sembrare quasi brani di un’altra band.
Non c’è poesia nei due sequel non richiesti di “Wildfire”, inseriti in Stones Grow Her Name, né tanto meno nella “White Pearl, Black Oceans (Part II: By The Grace Of The Ocean)” di The Ninth Hour. E mentre pezzi come “Shitload Of Money” tradiscono le aspettative dei fan pugnalandoli alle spalle, le sperimentazioni sulla lunga distanza di “Larger Than Life” sembrano messe lì più come esercizio di stile che per passione. Persino le classiche ballate che hanno fatto la fortuna di Tony e soci negli anni sono andate peggiorando nel tempo, come provato dall’esempio scadente e banale di “Love” (Pariah’s Child).
Che dire per commentare momenti così bui, se non che non c’è più La Miseria di una volta!
Non erano affatto meglio ai tempi della prima demo
Nonostante quanto detto poco fa, è però innegabile il processo evolutivo intrapreso nel corso di questo ventennio e più di attività, il quale ha portato la band a pubblicare dischi notevoli e lodevoli sotto molti punti di vista. L’iniziale fissa esagerata nei confronti del più classico e canonico power metal ha regalato al pubblico mondiale album del calibro di Ecliptica e Silence nel giro di pochissimi anni, segnando indiscutibilmente l’ottimo inizio di carriera dei Sonata Arctica. A partire dal successivo Winterheart’s Guild, tuttavia, è cominciata quella fase di crescita e sperimentazione che ha portato il quintetto a ripensare e rimodellare le proprie sonorità, fino a giungere alla creazione di quel sound che ci è ormai noto, esemplificato magistralmente da “Blood” (Pariah’s Child). E non si può certo ignorare l’influenza che questo stile oggigiorno esercita sulle formazioni più o meno giovani legate al mondo del metallo del potere melodico-sinfonico.
Inoltre, come già detto precedentemente, anche all’atto pratico ci sono stati netti miglioramenti, come nell’inglese dei testi (che, proprio ai tempi dei primi dischi, non era esattamente correttissimo), nella tecnica esecutiva dimostrata in sede live o, in ultimo ma non per importanza, nel buon gusto che Tony ha nello scegliere gli abiti scenici… forse.
Sanno affrontare anche le situazioni peggiori
Preambolo: nell’ormai lontano 2014, i Sonata Arctica avevano minacciato i loro fan di star tornando alla grande, in stile Martin Garrix – 130. L’album responsabile di ciò sarebbe stato Pariah’s Child, più vicino alle sonorità dei loro esordi, più power metal e con in copertina il loro animale totem, ormai abbandonato da qualche anno, il lupo. Fin qui tutto normale, se non fosse che in esso Tony aveva previsto un grave incidente.
Il testo di “Cloud Factory”, quarta traccia del disco, recita infatti: «There is a factory clouds are made in / They make ‘em big and blue / The factory eats you, / It swallows you whole / It fills you with conceit / And never lets you leave». Ora, se si prova ad accostare il nome della Nuclear Blast alla descrizione della factory di cui sopra (che ti riempie di arroganza senza lasciarti mai libero di andar via), si nota subito qualche somiglianza. Ecco dunque svelata l’entità della premonizione: qualche settimana fa Tony Kakko è rimasto bloccato nel cesso degli uffici dell’etichetta tedesca.
Per fortuna, grazie al tempestivo intervento dei vigili del fuoco, il buon Kakko è stato tirato fuori da quella spiacevole situazione. Per sfortuna, invece, non è scontato che ora i Nostri riescano anche ad abbandonare il circolo vizioso di album molto-bellocci-e-poco-belli nel quale sono entrati lavorando braccio a braccio con la cloud factory del metal. Non ci resta che aspettare l’uscita di Talviyö, in questo momento, e sperare.
Non sono gli Avantasia
Andiamo, c’è davvero bisogno di aggiungere altro?