5 album death metal da riscoprire in attesa dei Cannibal Corpse
Violence Unimagined, il nuovo album dei Cannibal Corpse, è stato annunciato in uscita per il 16 aprile 2021, ancora una volta per Metal Blade Records. Il quindicesimo disco della band floridiana sarà il primo con il produttore e musicista Erik Rutan a sostituire l’impossibilitato Pat O’Brien nel ruolo di chitarrista. A questo punto credo abbiate già ascoltato “Inhumane Harvest”, il singolo che ha accompagnato l’annuncio del successore di Red Before Black del 2017; il brano vede Alex Webster e soci in ottima forma, ed è riuscito a risvegliare in me, come in molti altri ascoltatori, una certa curiosità per il lavoro completo e la voglia di riscoprire questo tipo di sonorità.
Tuttavia questa fame va in qualche modo placata: per quanto ci si possa rivolgere al passato della band per soddisfare i propri appetiti, ho trovato fosse più interessante cercare al di fuori della produzione dei Cannibal Corpse; dopotutto la loro influenza si è fatta sentire in modo pesante sulla scena death, dando vita a tantissime realtà degne d’ascolto. Io mi sono permesso di stilare una breve lista di album pensata per appagare questo desiderio, una lista del tutto arbitraria e che per tale motivo non può essere esaustiva.
DISINCARNATE
Dreams Of The Carrion Kind
(Roadrunner Records, 1993)
Le formazioni che pubblicano un solo album per poi scomparire esercitano su di me un certo fascino, specie nel caso in cui riescano a lasciare una impronta profonda. L’inserimento dei Disincarnate in questa lista può apparire come una forzatura: difficile parlare di un’influenza diretta dei Cannibal Corpse sull’operato della leggendaria band di James Murphy (Death, Obituary, Testament, eccetera): detto ciò, sono convinto che Dreams Of The Carrion Kind sia un album in grado di soddisfare l’ascoltatore che cerca nel death metal americano un approccio violento interpretato in modo complesso e assolutamente devastante; un approccio che trovo prossimo ai momenti più tecnici e meno brutali della band di Tampa. Dreams Of The Carrion Kind è un lavoro molto, molto omogeneo, mentre la durata che supera i quarantacinque minuti può risultate un po’ eccessiva se lo si affronta nel momento sbagliato. Malgrado sia un lavoro facile da inquadrare sin dalle prime battute, offre un alto quantitativo di passaggi memorabili. Segnalo anche la copertina di Dave McKean, che gli appassionati di fumetti riconosceranno per il suo lavoro delirante su classici come Batman: Arkham Asylum di Grant Morrison e Black Orchid di Neil Gaiman.
BROKEN HOPE
Loathing
(Metal Blade Records, 1997)
Loathing è un album sfortunato. Arriva verso la fine degli anni ’90, in un contesto storico dove l’interesse generale per il death metal è scemato, portando il peso di una copertina francamente orrenda, ma soprattutto rimane l’apice della discografia di una band che non è mai riuscita a raggiungere di nuovo questi standard, né con i lavori precedenti né con quelli successivi. I Broken Hope dell’epoca forse stavano cercando di prendere le distanze dal suono brutal di Tomb Of The Mutilated, a cui erano più legati in precedenza, tentando quindi la strada di un maggior focus su riff orecchiabili e inedite divagazioni progressive. I brani di Loathing hanno il pregio di rimanerti in testa al primo ascolto, il pezzo di apertura “Siamese Screams” è molto chiaro su questo punto, e gran parte del resto della scaletta appare altrettanto trascinante. Si tratta insomma di un lavoro variegato, che desidera esplorare altre influenze, ma senza dimenticare i riff assassini. Il tempo ha voluto che il quarto album dei Broken Hope fosse riscoperto dai fan per la sua singolarità, perciò non è stato del tutto dimenticato.
SEVERE TORTURE
Misanthropic Carnage
(Hammerheart Records, 2002)
Se la fine degli anni ’90 è stato un periodo deprimente per il death metal, il genere è rifiorito negli anni 2000, specie nelle sue accezioni più brutali. Di questo periodo non si contano le pubblicazioni e l’influenza avuta dal suono floridiano è arrivata anche in Europa. Questo è il contesto in cui vengono pubblicati i primi due album degli olandesi Severe Torture, due grandi contributi al processo di estremizzazione del suono che stava avvenendo in quell’epoca. La band non possiede lo stesso approccio ritmato dei Cannibal Corpse, anzi ne sintetizza i lati più diretti e sgraziati, sparandoli addosso all’ascoltatore senza fermarsi tanto a pensare alle conseguenze. L’eccesso di blast beat spinge Misanthropic Carnage a costeggiare per alcuni tratti i territori del grind, mentre la voce di Dennis Schreurs ci ricorda il perché gli ascoltatori amavano i primi lavori con Chris Barnes. Diciamocelo: il gruppo olandese non è un esempio di finezza, la sua musica punta solo a fare danni attraverso una ricetta ferale che ha un effetto stordente. I Severe Torture non hanno mai suonato in modo particolarmente originale, quindi posso comprendere chi li ritiene generici, ma il loro approccio focalizzato sulla velocità suona tuttora ispirato e sincero.
CANNABIS CORPSE
Tube Of the Resinated
(Forcefield Records, 2008)
Sono convinto di non essere la prima persona a raccontarvi che i Cannabis Corpse non si limitano a essere una parodia dei Cannibal Corpse, quindi vorrei evitare di spendere parole sui continui richiami alle droghe leggere e parlare della musica. Nati come progetto di Land Phil, chitarrista dei Municipal Waste e degli Iron Reagan, i Cannabis Corpse sono un tributo al death degli anni ’90, al quale viene incorporato un certo livello di precisione tecnica. I brani di Tube Of The Resinated, il loro secondo album, fanno della scrittura scorrevole il proprio punto di forza, certe volte recuperando anche un sentore thrash che ci riporta alla mente a tratti una versione più veloce di Eaten Back To Life. Qui dentro c’è molto da apprezzare, a partire dalla varietà dei pattern della sezione ritmica, fino ad arrivare al growl di Weedgrinder, che al contrario di quanto il nome farebbe pensare ha una voce che ricorda quella di Chris Barnes. Tube Of The Resinated è un lavoro che non si prende sul serio, titoli come “Mummified In Bong Water” e “Gallery Of Stupid High” ne sono una prova, ma per quanto riguarda la musica non scherza affatto.
CORPSEFUCKING ART
Splatterphobia
(Comatose Music, 2018)
Un brutto ceffo con un machete e una maglietta dei Mortician si appresta ad affettare la sua ultima preda, attorno a lui possiamo vedere cadaveri e corpi smembrati. Una delle persone appese però sembra essere ancora viva e nei suoi occhi non c’è volontà di ribellarsi; sono vuoti, spenti davanti all’orrore. La copertina di Splatterphobia dei Corpsefucking Art lascia una scia di indizi troppo chiara riguardo la musica che contiene: dura, brutale e sanguinosa, la proposta dei laziali intende solo mietere vittime. Se la formula dei Corpsefucking Art è tutto sommato avara di variazioni, è la follia pura dei brani che la fa da padrona. “Tomator”, “Robocorpse II” e “Devoured By The Sauce”, oltre a essere titoli molto cretini (in senso buono), sono il risultato di un modo scanzonato di vedere l’immaginario da film splatter tipico di queste sonorità. In una mezz’ora dove il death selvaggio domina, la band trova anche spazio per tributare i Cannibal Corpse proponendo una propria versione di “Staring Through The Eyes Of The Dead”, uno dei pezzi migliori di The Bleeding. Frutto di un’esperienza di più di venticinque anni, l’ultimo lavoro dei Corpsefucking Art è una testimonianza del fatto che questo suono non è stato dimenticato, e che anzi fa ancora male.