Dai Ghost Bath ai Mulla: storie di provenienze dubbie
Il metal, in particolare il black metal, nel corso della sua storia è stato spesso foriero di miti e leggende. Oltre ad essere finito direttamente nei casi di cronaca, o avervi fatto solo da tragico sfondo, a volte ha fornito anche gli spunti per creare dei culti di per sé inesistenti. Clamoroso il caso dei Caligulae Crucis, nati per gioco sui forum italiani nel corso degli anni ’00 con tanto di recensioni fasulle costruite ad arte, nonché autori di materiale mai esistito. Per non parlare di Campo Nero SS, fantomatica e parodistica one man band NSBM creata per prendere in giro la retorica nazionalsocialista, proveniente nientemeno che da… Città del Vaticano. Di tale progetto, però, si trovano poche tracce (ad esempio qui).
Proprio a quest’ultimo aspetto vale la pena allacciarsi per via di una tendenza che sta prendendo piede negli ultimi tempi. Vale a dire, affermare che la band provenga da un certo Paese “esotico” o comunque inusuale, presumibilmente per avere più attenzione mediatica, vendere più dischi e cose del genere. Questo articolo vuole proprio scavare intorno a questo fenomeno, mettendo in secondo piano l’aspetto musicale, riportando invece le incongruenze e i dubbi su certi progetti. Ovviamente, questa è solo una ricostruzione di questo panorama singolare e per alcuni versi surreale, dove il metal estremo (e in particolare il black metal) va di pari passo con una certa fascinazione per l’esotico. Là dove non ci sono prove che la provenienza geografica sia “contraffatta”, chiaramente non si vuole puntare il dito né accusare nessuno.
“Falsi” d’autore: da Giza Uchawi ai Ghost Bath
Il nostro viaggio comincia all’origine del nuovo millennio. Risale (o meglio, risalirebbe…) al 2002 la pubblicazione dell’unica demo di Giza Uchawi, una one man band proveniente dalla Tanzania. Inizialmente caricato sul noto sito enciclopedico Metal-Archives, in realtà di Giza Uchawi su internet si trovano solo poche tracce e zero musica, tanto da far presto dubitare dell’effettiva esistenza di Kizuu, nome della demo del progetto.
Pur venendo ben presto rimosso da Metal-Archives, tutt’ora la presenza su internet di Giza Uchawi resta visibile, pur se i brani restano introvabili. Qualcuno, un paio di anni fa, ha persino deciso di caricare la titletrack della presunta demo su YouTube. Attendibilità: poca. Se non altro, chi ha voluto creare questa identità ha cercato anche di dare un nome e un volto al progetto tanzaniano. La “foto dell’artista” che si trova su internet ritraente Benjamin Mka (unico componente) sembra più una foto modificata di Geezer Butler dei Black Sabbath ai tempi d’oro. Magari l’assonanza tra Giza e Geezer non era un caso…
Ma se la storia di Giza Uchawi si perde nei meandri della bufala classica e sostanzialmente fine a se stessa, quella dei Ghost Bath è decisamente molto più rumorosa e clamorosa, oltre che maggiormente documentata anche grazie alle ammissioni della band stessa. Originariamente, i Ghost Bath affermavano infatti di provenire da Chongqing, Cina. Il loro debutto in studio, risalente al 2014, fu pubblicato da un’etichetta cinese (Pest Productions): tutto ciò, unito all’uso di ideogrammi, aveva suscitato un forte interesse, lasciando pensare che il loro post-black metal potesse essere una sorta di risposta “orientale” ai Deafheaven.
Sennonché, dopo la pubblicazione di Moonlover (2015, con la tedesca Northern Silence Productions) e un’attenzione dei media sempre crescente unita ai dubbi che si facevano largo circa la provenienza reale della band, la maschera iniziò a cadere. Fu proprio un famoso articolo della nota giornalista Kim Kelly scritto per Noisey nel 2015, corredato da una singolare intervista al cantante Dennis Mikula, a svelare la reale provenienza dei Ghost Bath (ovvero il North Dakota). La potremmo riassumere, a posteriori, come un’intervista dai toni piccati, dove Mikula difende il proprio diritto alla privacy e minimizza la questione, cosa che non convince fino in fondo. Comunque sia, al di là di quanto accaduto, la carriera della band statunitense è poi proseguita in modo piuttosto positivo, pur senza raggiungere i picchi qualitativi (e il successo commerciale) di Moonlover: proprio l’anno scorso hanno pubblicato il loro quarto full length, Self Loather.
Janaza e i suoi fratelli: la scena black metal araba anti-islamica
Qualche anno prima dell’emersione dei Ghost Bath come nuovo “fenomeno” della scena post-black metal mondiale, aveva cominciato a farsi largo una micro-scena irachena (o comunque araba) a carattere marcatamente anti-islamico. A differenza però dei più noti sauditi Al-Namrood (sulla cui provenienza, pure, qualcuno ha avanzato qualche dubbio), il black metal anti-islamico dell’Iraq e dintorni è sicuramente pieno di misteri e stranezze.
Gran parte della scena ruoterebbe intorno ad Anahita, unica mente del progetto Janaza, che debuttò nel 2010 con la demo Burning Quran Ceremony. Cosa? Una donna irachena che fa black metal anti-islamico ultrablasfemo e che presumibilmente rischia la vita? Notevole, non c’è che dire. Ma non è la sola, perché la stessa Anahita sarebbe parte di una sorta di “supergruppo” black metal anti-islamico chiamato Seeds Of Iblis, che includerebbe musicisti di altri fantomatici progetti black metal (citiamo Tadnees, False Allah e Mosque Of Satan) provenienti da Paesi arabi limitrofi come Arabia Saudita o Bahrain.
Tutto molto affascinante, sulla carta. Nel giro di un annetto dall’uscita di Burning Quran Ceremony, tuttavia, i primi dubbi cominciarono ad affiorare. La tematica fu affrontata all’epoca dalla stampa specializzata, in particolare dal sito Metalluminati.com che, in un vecchio articolo risalente al 2012 ha debunkato le incongruenze relative a Janaza, Seeds Of Iblis e progetti correlati. Ad esempio, le band coinvolte hanno celato le proprie identità usando foto di altri progetti (tra cui una band NSBM tedesca, ah, l’ironia…); sono state inoltre messe in luce alcune incoerenze della stessa Anahita nelle interviste, nonché la sua reticenza a parlare al telefono con i giornalisti, prediligendo la messaggistica social. Quantomeno sospetto. Va detto che il discorso relativo al plagio delle foto non prova nulla di per sé, con le stesse band che hanno ammesso il fatto, come si vede sul Bandcamp dei Seeds Of Iblis nelle note in basso, giustificandolo con la necessità di salvaguardare la propria identità. Legittimo, ma i dubbi comunque restano e sono tanti.
Casi recenti: dai Mulla ai Frummyrkrið
Casi di un certo rilievo simili a Ghost Bath o a Janaza e Seeds Of Iblis non se ne sono più avuti per qualche anno. La questione è tornata ad avere una certa eco proprio nell’ultimo biennio, nel quale i Mulla hanno rappresentato il caso più controverso ed emblematico. Questo progetto raw black metal (proveniente originariamente dall’Iraq) è apparso a inizio 2020 con un album digitale pubblicato su Bandcamp, con titoli e testi in arabo e una donna armata di kalashnikov in copertina. Il disco ha subito colpito l’opinione pubblica underground, ottenendo diverse stampe e ristampe a qualche centinaio di copie in pochi mesi in tutti i formati. I Mulla hanno deciso di sfruttare in pieno l’occasione dimostrandosi molto prolifici, per poi annunciare un po’ a sorpresa lo scioglimento a dicembre 2021.
Il caso sembra ricalcare quello di Janaza e Seeds Of Iblis (anche qui si parla di foto plagiate), ma con ulteriori punti oscuri. In primo luogo, le stesse informazioni fornite da un membro della band si sono dimostrate incoerenti e contrastanti: come provenienza sono stati forniti prima l’Iraq, poi la Francia, poi si è puntualizzato come il batterista fosse del Kazakhstan. Secondo punto, decisamente più sospetto, il pessimo uso dell’arabo fatto dalla band per titoli e testi, come rilevato da molti commentatori dei Paesi arabi che si sono imbattuti nei Mulla sui social network.
Ci sono poi altri due casi recentissimi da segnalare, dalle coordinate geografiche molto diverse: quello dei Frummyrkrið, per esempio, è stato un vero e proprio fuoco di paglia, spentosi nel giro di poche settimane. La band aveva pubblicato all’improvviso nel marzo 2021 un album in formato digitale su Bandcamp, chiamato Dauðans Myrkri (peraltro musicalmente valido). Dalle informazioni diffuse dalla band, si sarebbe trattato di un trio proveniente da Akureyri (cittadina islandese di meno di 20mila abitanti) composta da tre fratelli. Peccato che il sound engineer fosse argentino, e già questa cosa stonava un po’, visto che le produzioni estreme islandesi sono spesso affidate alle stesse persone (come D.G. dei Misþyrming o Stephen Lockhart, che peraltro è stato ospite di Aristocrazia tempo fa). Non appena il disco dei Frummyrkrið ebbe ottenuto un minimo di diffusione, diversi commentatori islandesi (tra cui Gummi, ex batterista dei Sólstafir e attualmente nei Katla) si mobilitarono per far notare come non esistessero tre fratelli ad Akureyri che suonavano black metal e come la pronuncia dei testi non suonasse affatto islandese. A causa di questo piccolo vespaio, la band decise di chiudere il proprio account Bandcamp e sparire nel nulla, il che non può che suonare come un’ammissione di colpevolezza. Attualmente, su Metal-Archives la band è segnalata come proveniente dal Brasile, pur non essendoci molte conferme in tal senso.
L’altro caso è quello dei Siddhattha Gotama, progetto indiano autore di un lavoro nel 2021 a chiare tinte buddhiste e sonorità black metal grezze e melodiche. Tutto molto bello e interessante, con titoli e testi in hindi. Sennonché, come era già accaduto ai Mulla, sono state fatte notare una serie di stranezze riguardanti titoli e testi da parte di fan indiani. Secondo questi ultimi, le frasi risulterebbero costruite in modo grammaticalmente diverso rispetto all’hindi, come se i testi fossero scritti in inglese e poi tradotti con un tool tipo Google Translator. I sospetti permangono, sebbene il progetto stia godendo tuttora di un certo interesse a livello underground, pur non essendo giunto (ancora) alla stessa diffusione dei Mulla.
Al fianco di questi esempi, se ne possono portare altri circa band dalla provenienza quantomeno eccentrica che possono far sollevare più di un dubbio, sebbene questi progetti non abbiano avuto grande risonanza. Si va dai Villa Noche dello Zambia ai Nishaiar dell’Etiopia, passando per The Exile Of Napoleon nientemeno che dell’isola di Sant’Elena. Possiamo poi citare il goregrind dei Micronesia Gore del remoto arcipelago di Kiribati, così come gli Almach dell’Afghanistan e gli Avolition di Saint-Pierre et Miquelon. Allargandoci a sonorità extra metal, possiamo menzionare anche il duo drone-ambient Nanocyborg Uberholocaust, che sarebbe composto da due scienziati di base in Antartide. La tematica resta certamente interessante e controversa, ma l’impressione è che probabilmente in futuro ci si imbatterà ancora in situazioni del genere. Del resto, tra realtà e finzione, alla fine il (black) metal è anche questo.