8 artisti che hanno seguito la via dei Summoning | Aristocrazia Webzine

8 artisti che hanno seguito la via dei Summoning

Dopo aver esplorato i suoi sentieri oscuri e impervi con lo speciale dedicato ai venticinque anni di Lugburz e Minas Morgul, abbiamo deciso di fare i conti con le moderne ramificazioni e continuatrici della via dei Summoning. Trame di tastiere fittissime, batterie disumane e gelo nell’anima sono state le caratteristiche della proposta dei pionieri austriaci, tratti ripresi con maggiore o minor fedeltà da una lunga schiera di band, negli ultimi decenni, con l’obiettivo di dar forma a una musica epica e toccante, adatta a essere il sottofondo tanto di una sessione di Dungeons & Dragons quanto della lettura dei libri di Steven Erikson.

Un articolo di questo tipo poteva certamente partire con i due nomi chiave del revival del genere, ovvero Caladan Brood ed Emyn Muil, ma è stata fatta una scelta diversa. Considerata la convergenza che ha visto i due progetti debuttare nello stesso anno, rispettivamente con quelle perle di Echoes Of Battle (Northern Silence Productions, 2013) e Túrin Turambar Dagnir Glaurunga (Nartum Art, 2013), i nomi e i titoli analizzati di seguito saranno esclusivamente successivi. La realizzazione della compilation del 2016 In Mordor Where The Shadows Are, curata da Wolfspell Records, è sicuramente uno dei punti di partenza per approfondire l’evoluzione di questo tipo di black metal dal piglio ambient e dai toni epicheggianti; non a caso, un paio di progetti trattati di seguito figurano nella scaletta del cultissimo omaggio ai Summoning.

Come per tutte le nostre playlist, vale anche qui lo stesso discorso: questo articolo non ha la pretesa di essere esaustivo. I dischi presi in considerazione in questa sede non sono gli unici usciti nell’arco di questi otto anni, né automaticamente i migliori perché sì: goditi la raccolta e facci sapere se manca qualcosa di clamoroso.


Mirkwood – Mirkwood

(Werewolf Promotion, 2015)

Mirkwood, in italiano Bosco Atro, è un nome che chiunque abbia letto le opere di Tolkien non ha difficoltà a riconoscere. Il progetto americano di A.K., accompagnato nei suoi primi tre anni di vita da N.B., rappresenta la realtà maggiormente di culto all’interno di questa lista. Con i suoi sedici anni di attività, una discografia priva di album e la cover di “The Rotting Horse On The Deadly Ground” inserita all’interno dell’omaggio ai Summoning citato nell’introduzione, i Mirkwood rappresentano il punto di partenza perfetto per l’inizio di questo viaggio nel black metal di stampo epico-ambient. Visto il gran numero di uscite medio-piccole, il modo migliore per approcciarsi alla riscoperta di questa creatura è tramite il recupero della raccolta omonima.

Uscita per Werewolf Promotion nel 2015, Mirkwood raccoglie il contenuto delle tre demo pubblicate tra il 2006 e il 2013 da A.K. assieme alle tre tracce facenti parte dello split con Cynestole del 2007. Non c’è una batteria che sia una a suonare quasi umana, non c’è un segmento dei suoi oltre ottanta minuti che passi anche solo lontanamente come ben prodotto, ma Mirkwood ha anche dei difetti: finisce. Le urla gutturali, le tastiere enormi, la batteria fintissima e le chitarre zanzarose relegano l’operato di Mirkwood all’underground, ma allo stesso tempo lo rendono imperdibile per chiunque si incammini alla scoperta dell’eredità summoningiana.


Elffor – Dra Sad

(Autoprodotto, 2017)

Nati nel 1995, gli Elffor del solo Eöl sono approdati nel reame epico-atmosferico dei Summoning quasi in contemporanea con il debutto del duo Silenius-Protector. Il progetto basco non ha esattamente centellinato le pubblicazioni e nell’arco di questo quarto di secolo ha doppiato il numero di album rilasciati dagli austriaci, con risultati talvolta non proprio memorabili. Tuttavia Dra Sad, uscito nel 2017, ha dato uno scossone alla discografia della creatura di Eöl. Tre quarti d’ora di pure atmosfere epiche che si sposano perfettamente con il gioco di ruolo, la lettura e il mettere in scena sacrifici rituali rivolti a entità ultraterrene.

A Dra Sad, poi, hanno fatto seguito Dra Sad II nel 2018 e Dra Sad III (Beneath The Uplands Of Doom) nel 2019, ognuno con i suoi 40-50 minuti di dungeon synth ispiratissimo. Recuperare l’attività di un progetto come Elffor non è esattamente semplicissimo, vuoi per la cifra esorbitante di uscite sparse in questi due decenni e mezzo, vuoi perché non sempre la vita ti dà abbastanza tempo per goderti a dovere lavori di questo tipo, ma partire da Dra Sad — per poi continuare coi due summenzionati sequel — è un ottimo piano.


Cân Bardd – The Last Rain

(Northern Silence Productions, 2019)

Quando l’ho recuperato, The Last Rain mi è rimasto in testa per diversi giorni di fila. Sarà che Northern Silence ci ha abituati a un certo standard qualitativo, sarà che il duo di Ginevra diluisce la ricetta originale dei Summoning con elementi propri dell’atmospheric black, sarà che la produzione curata da Vladimir Cochet rende la loro musica moderna ma non plasticosa, tuttavia i Cân Bardd funzionano a meraviglia in un listone di questo tipo qui. Legati in senso lato più che in maniera diretta alle sonorità che caratterizzano i nomi di questa raccolta, i musicisti svizzeri non sono in giro da tantissimo.

Il loro secondo album, The Last Rain, ha visto la luce come il suo predecessore per la stessa etichetta dei Caladan Brood e coniuga nei suoi cinquanta minuti tutte le migliori intuizioni del duo Civelli-Watson; “Celestial Horizon”, per esempio, contiene idee di estrazione squisitamente summoninghiana, ma l’intero pezzo non si scambia nemmeno per un secondo per l’ennesima copia carbone della formazione austriaca. Originalità, vigore, passione e freschezza abbondano nei Cân Bardd: nell’attesa che aggiungano un nuovo tassello alla loro discografia, The Last Rain è un recupero consigliatissimo.


Dwarrowdelf – Evenstar

(Northern Silence Productions, 2020)

L’ombra del Professore si staglia poderosa sulla produzione di Dwarrowdelf, progetto solista di Tom O’Dell, polistrumentista britannico attivo in diversi progetti più o meno tolkeniani tra cui un duo dal nome Gimli, Son Of Glóin. Evenstar è il quarto album dell’artista di Southampton e, probabilmente, il suo migliore, a oggi. In tre quarti d’ora, O’Dell concentra le più classiche idee epic-ambient installandole su un impianto atmospheric black che talvolta tocca lidi quasi death metal — nella vena dei Wintersun, per capirci. Le tematiche, invece, restano saldamente avviluppate sul più classico dei riferimenti letterari di genere.

Nomen omen, Evenstar si concentra su due figure del Signore Degli Anelli: Arwen e Aragorn, la Stella del Vespro e l’Erede di Isildur. Anche grazie alla partecipazione di Joe Bollettiero dei Beorn’s Hall alla batteria e di Mike dei Sojourner come artefice del mastering dell’album (oltre che come responsabile delle tastiere in “For The Kingdom I Shall Claim” e “Return”), Evenstar risulta la migliore prova della one man band britannica; una piccola chicca per nerd sfegatati.


Forlorn Citadel – Ashen Dirge Of Kingslain

(Northern Silence Productions, 2020)

Come si può leggere dalla descrizione del disco sulla relativa pagina Bandcamp, «the solo-project Forlorn Citadel plays Epic Black Metal in the vein of Summoning», e di qui non si scappa. Ashen Dirge Of Kingslain, prima album dell’ennesimo progetto di Matthew Bell (ex Folkearth, ex Folkodia e, tra le altre cose, compare di scorribande di Tim Yatras negli Autumn’s Dawn), suona esattamente come un album di Silenius e Protector, pur conservando abbastanza elementi da potersi garantire una sua originalità.

È per questo che, pur visto il suo sound discretamente moderno e rifinito, non abbastanza grezzo da sfociare nel peggior lo-fi degli ultimi tempi, né tanto curato e iper-prodotto da far incazzare l’ascoltatore più oltranzista, il debutto sulla lunga distanza della creatura di Bell è forse il più vicino alla produzione originale dei Summoning di tutti gli altri. Ashen Dirge Of Kingslain ha tutti i crismi e tutte le carte in regola per essere apprezzato e goduto appieno dai fan del genere, ma anche per condurre nuovi accoliti sulla via dell’epic black metal.


Moon And Azure Shadow – Age Of Darkness And Frost

(Repose Records, 2020)

Non ne faccio mistero: di tutte le band e i progetti citati in questo listone, quello di Moon And Azure Shadow è l’unico che ho scoperto durante le ricerche. Non avevo idea di chi fosse Sean Yoshioka e in parte — ma solo in parte — mi sento parzialmente giustificato. La creatura del solo artista americano ha debuttato nel 2012 con un album omonimo completamente autoprodotto, per poi bissare solo sette anni più tardi con il qui presente Age Of Darkness And Frost. Quest’ultimo, dopo essere stato disponibile solo in digitale, è stato prodotto in cassetta da White Wolf Productions nel febbraio dell’anno scorso e, successivamente, rimasterizzato e pubblicato in vinile e CD da Repose Records; e cosa non è questa versione remastered.

Dal primo all’ultimo secondo, il buon tuttofare statunitense è riuscito a creare atmosfere degne di essere utilizzate come colonne sonore per film fantasy (non dovrai sforzarti troppo per sentire l’eco delle composizioni di Howard Shore nei cinquanta minuti di Age Of Darkness And Frost), mentre nelle aperture non strumentali lo spirito di Silenius e Protector si impossessa di Moon And Azure Shadow e porta il buon Yoshioka a tirar fuori ottime idee dal suo calderone. Benissimo su tutti i fronti, non c’è dubbio.


Keys Of Orthanc – Of The Lineage Of Kings

(Naturmacht Productions, 2021)

A partire dall’apripista dedicata alla rinascita della spada di Elendil con i versi in elfico fino all’ottima cover di “Book Of The Fallen” dei Caladan Brood, Of The Lineage Of Kings dei Keys Of Orthanc è un disco da pelle d’oca. L’ho detto e lo ripeto, da pelle d’oca. La comparsata di Sarah Kitteringham in “Her Mighty Heart”, in cui la cantante degli Smoulder dà voce a Éowyn durante la lotta contro il re degli stregoni di Angmar, è solo la punta dell’iceberg di questa montagna di gelida bellezza. Con il suo quarto album, il duo Dorgul-Harslingoth è stato capace di raccogliere l’eredità dei Summoning e di donarle nuova vita.

La produzione di Of The Lineage Of Kings è ineccepibile, così come le soluzioni adottate negli arrangiamenti, appannaggio esclusivo di Dorgul. Dal canto suo, la performance vocale di Harslingoth, capace di spaziare senza problemi da approcci quasi recitativi a scream di altissima levatura, non è assolutamente da meno, ma forse è anche merito della partecipazione di Dominic Nucciarone (Intonate) come batterista se l’ultima fatica dei protettori delle chiavi di Orthanc è tanto vera e fiera. C’è veramente pochissimo da aggiungere: quarto disco in quattro anni di attività, zero riserve. Of The Lineage Of Kings è l’album per nerd della prima metà del 2021 e — probabilmente — dell’intera annata.


Sojourner – Perennial

(Napalm Records, 2021)

Dei Sojourner abbiamo tessuto le lodi fin dai tempi del loro debutto con Empires Of Ash (Avantgarde Music, 2016) e un EP come Perennial, atteso per i primi di giugno su Napalm Records, non finisce in chiusura di questa raccolta completamente a caso. Nati nel 2015 come progetto internazionale diviso solamente tra Svezia, Regno Unito e Nuova Zelanda, oggi i Sojourner sono ancora più dislocati, specialmente dopo l’aggiunta tra le loro fila di Tom dei Dwarrowdelf come secondo chitarrista, di Scotty Lodge dei Light Field Reverie al basso e della comasca Lucia Amelia Emmanueli (Monochrome, The City) in sostituzione della defezionaria Chloe Bray. Di Perennial per ora è stata resa pubblica solamente la traccia omonima, e le premesse per questo mini successore di Premonitions (Napalm Records, 2020) sono ottime.

L’ultimo disco del progetto non aveva fatto particolarmente colpo, in redazione, ma il cambio di formazione — specialmente l’aggiunta della Emmanueli — sembra aver rinnovato nel profondo l’animo dei Sojourner; non a caso il brano si chiude con le frasi «The ashes of empires and shadowed roads now gone / Premonitions once futile gave way to a new dawn» dal tono leggermente profetico. Del secondo pezzo previsto, “Relics Of The Natural Realm”, non si sa ancora nulla, ma è palese la connessione con la primissima composizione dalla band, “Heritage Of The Natural Realm”, così come il riferimento grafico che riprende la copertina del loro primo Empires Of Ash (entrambe realizzate da Jordan Grimmer).

Al netto di quanto può essere una scommessa inserire un EP ascoltato solo a metà all’interno di un approfondimento di questo tipo, tuttavia la parabola evolutiva della band supporta l’azzardo e lo rende, a modo suo, la conclusione perfetta per questa carrellata di pianole, drum machine e fantasy: un titolo con un piede nel passato e l’altro puntato con decisione verso il futuro.