ABORYM – Monografia
INTRODUZIONE
Innalzati come divinità tricolori del panorama estremo più perverso od odiati per la mancata purezza della propria musica, a cadenza ormai regolare gli Aborym diventano oggetto di feroci discussioni tra fan sfegatati e critici inflessibili. Sei album e quattordici anni dal primo disco in studio non hanno fatto altro che polarizzare le opposte fazioni, impedendo una qualunque forma di dialogo. Non per nulla una delle loro provocatorie frasi d’inizio carriera recitava:
Adore us or hate us…
But don’t try to imitate us
‘cause we don’t really belong to the same planet
Il mio compito oggi sarà quello di condurvi all’interno di Aborym senza alcuna pretesa di realizzare uno scritto onnicomprensivo su una realtà con vent’anni di storia alle spalle e tantissime personalità forti e discusse che hanno gravitato intorno al deus ex machina Malfeitor Fabbam; né di essere oggettivo o puramente descrittivo nell’analisi, poiché lo confesso: sono un grandissimo fan del gruppo. Prendete questo speciale come un mio personale tributo alla loro grandezza.
LE ORIGINI
Come raccontato nella biografia del sito Internet ufficiale, Aborym nasce nel 1992 a Taranto per volere di Fabban, attivo già da alcuni anni come bassista dei Funeral Oration e tastierista dei M.E.M.O.R.Y. Lab (acronimo per The Modern Expressing Machines Of Revolutionary Youth Laboratory), progetto dell’ingegnere del suono, produttore e compositore Marc Urselli. Dopo i classici inizi coverizzando Sepultura, Rotting Christ e Sodom, nel 1993 viene registrato il demo Worshipping Damned Souls, col contributo del chitarrista Alex Noia e del batterista Mental Siege. Ma le cose paiono non funzionare, data la mancanza di prospettive di sviluppo e di un comune sentire che permettesse la creazione di energia spirituale, così il gruppo si scioglie e Fabban può buttarsi nella realizzazione del primo album dei Funeral Oration intitolato Sursum Luna.
Servono alcuni anni e lo spostamento a Roma per ricostituire Aborym e ripartire verso il secondo demo, Antichristian Nuclear Sabbath, inciso nel 1997. L’incontro del bassista tarantino col chitarrista Davide Totaro Sethlans è fondamentale per ritrovare stimoli e potenza, coadiuvati anche da Yorga SM alla voce. A questo trio si va ad aggiungere come secondo chitarrista Nysrok Infernalien Sathanas (dei Satanikk Terrorists), mentre il leggendario Attila Csihar (Mayhem, Tormentor e Plasma Pool, tra i tanti) presta la propria voce (e i testi) su due brani dell’album di esordio, divenendo il primo di una lunga serie di prestigiose personalità che collaboreranno in maniera più o meno continuativa con Fabban e soci.
1999: DECADENZA E RINASCITA DAL CAOS
Giunto al Kali Yuga dopo pochi ardenti e gloriosi anni — con The True Mayhem e Satyricon alle prese con sperimentazioni controverse, gli Immortal avviati all’esplorazione del loro lato epico e Varg Vikernes in galera — il black metal deve tornare a essere disturbante, fuori dagli schemi e caotico per ristabilire il proprio dominio esauritosi in maniera repentina e ripartire dalle rovine lasciate dai Padri Fondatori, ora smarriti lungo percorsi privi di una meta precisa.
Alcuni tentativi sono stati importanti, ma privi di continuità, è il caso dei seminali Mysticum e delle loro contaminazioni industriali. Chi invece continuerà a resistere nel tempo, pur cambiando pesantemente pelle, sono proprio gli Aborym, il cui esordio Kali Yuga Bizarre (su Scarlet Records) non si limita a offrire nuova linfa al black metal, anzi lo trascende, se ne appropria e talvolta lo calpesta. Il libretto è esemplare nel mostrare visivamente le molteplici sfaccettature — talvolta quasi in contrasto fra loro, eppure coerenti nella loro assenza di limiti — che travolgeranno l’ascoltatore. Fra le foto in questione potrete osservare Herr Kremator Sethlans D.T.A. pittato come un blackster d’ordinanza, il Venerabile Yorga in una sorta di harem futuristico, Malfeitor Fabban con una maschera da scheletro e la maglietta dei Necrodeath… può bastare?
Sul fronte musicale invece si viene sbalzati all’improvviso dalla magniloquente e gloriosa Roma Imperiale dell’epica “Roma Divina Urbs” alle ritmiche convulse contaminate con l’EBM di “Tantra Bizarre”, dalle bordate thrash sintetiche di “Metal Striken Terror Action” al vaneggiante proclama politico fanatico, scandito da un celestiale coro sulle note di un organo, in “Come Thou Long Expected Jesus” (opera dell’ospite Volgar, dei Deviate Damaen, già Deviate Ladies).
Ordine dal caos? Siamo giunti alla fine dei tempi o siamo pronti per un nuovo inizio?
FUOCO PURIFICATORE SUPERSONICO
Dopo la felice collaborazione sul disco precedente, Attila viene promosso a cantante e membro ufficiale, rimpiazzando Yorga, col quale i rapporti erano degenerati. Al contrario del predecessore, Fire Walk With Us! (ancora su Scarlet) è compatto, omogeneo e coeso, il frutto di un vero e proprio gruppo che ha lavorato insieme e vissuto esperienze allucinogene, come riportato nel libretto allegato al cd.
Si tratta di un viaggio supersonico in un universo sintetico (parallelo?), fra deliri paranoidi e violenza marziale, scandito da una drum-machine convulsa, lanciata a velocità quasi sempre folli, sulla quale lo sciamano cibernetico Attila declama le proprie sentenze di morte e di superiorità dello spirito attraverso distorsioni fortissime. Il ricco campionario di suoni ed effetti contribuisce alla creazione di un disco parecchio distante dal primo capitolo, esageratamente estremo e inviso a tanti, ma non piatto; difatti accanto a vere e proprie esplosioni caustiche come “Fire Walk With Us!” (arricchita da un ottimo assolo) e bombardamenti techno-EBM che Nysrok amplierà poi nel progetto Alien Vampires (“Here Is No God S.T.A.”) troviamo anche momenti meno tirati e spaziali (“White Space”) o addirittura quasi epici e marziali come “Sol Sigillum”, totalmente appannaggio dei sintetizzatori. Infine la chiusura — prima dell’esperimento meditativo e inquietante di “Theta Paranoia” — è affidata allo straordinario rifacimento di “Det Som En Gang Var” (cantata da Fabban per il rifiuto di Attila, una forma di rispetto verso Euronymous), dove il concetto di cover viene sublimato, trasportando l’originale brano del Conte nell’universo schizzato di Aborym, donando maestosità e modernità a un pezzo di storia del black metal.
Fire Walk With Us! è un album scioccante, nel quale la band ha esasperato una delle tante strade che parevano aprirsi dopo il caleidoscopico Kali Yuga Bizarre, disgustando molti e attirando fra le proprie spire tanti altri. La piaga che aveva infettato il black metal è stata debellata dal fuoco purificatore, ora non resta che cenere.
Aborym experments alien extreme black industrial exclusively.
IL TRIONFO DELLE MACCHINE
Le macchine infine ebbero la meglio ed imposero il proprio dominio sulla Terra. La guerra era iniziata nel 1999 ma pochi se ne accorsero, “Kali Yuga Bizarre” il nome della prima epica battaglia in cui era ancora l’uomo ad imporre la propria legge, poi fu la volta di “Fire Walk With Us!” e tutti si illusero che il viaggio nel cyberspazio elettronico non avrebbe avuto conseguenze… “With No Human Intervention” segna il passaggio ad un livello superiore nello scontro, la violenza si è fatta cinica, inumana, fredda e precisa, industrial black metal? Alien-black-hard/industrial? Le macchine hanno prevalso e per l’uomo non c’è stata via di scampo…
[estratto dalla recensione a “With No Human Intervention”]
Proseguendo la metafora precedente, si può dire che all’interno di With No Human Intervention (stavolta su Code666 Records) le Macchine sono divenute intelligenti, in grado di sopraffare l’Uomo non soltanto con la brutalità nichilista di una drum-machine lanciata a folle velocità (come in “With No Human Intervention”), chitarre chirurgiche o con lo screaming acido e sintetico di Attila, bensì anche con quelle stesse armi peculiari che distinguono la razza umana dagli altri animali: l’inganno e la dissimulazione. Lo circuiscono e lo ammorbano nelle spire delle strutture complesse di “Faustian Spirit Of The Earth”, nella melodia inattesa e imprevista di “Digital Goat Masque” o nel pathos glorioso di “The Triumph”. In altri frangenti invece le Intelligenze Artificiali rivelano la propria natura in-umana, totalmente aliena e meccanica come nei numerosi campionamenti, nelle ritmiche EBM malate di “Chernobyl Generation” o nell’industrial-noise di “Does Not Compute”. La manipolazione del suono si è fatta insomma totale, nulla può sfuggirvi, nemmeno un pezzo datato del repertorio come “Metal Striken Terror Action”, che si trasforma in “Me(n)tal Striken Terror Action 2” per effetto di una infezione elettronica.
A conferma del credito internazionale guadagnato dagli Aborym nel tempo, in questo album compaiono varie prestigiose collaborazioni, a cominciare da Bård “Faust” Eithun, passando per Nattefrost (Carpathian Forest), Irrumator (Anaal Nathrakh) e Sasrof (Diabolicum; in forma nascosta) per citarne alcuni. Ancora una volta il libretto è un ricettacolo di morbosità e avanguardia: Fabban non ha mai avuto paura di osare, nemmeno a livello grafico.
La nuova frontiera dell’industrial black ha debellato il virus dell’Umanità, grazie a un lavoro di ricerca, composizione e arrangiamento sopraffino. With No Human Intervention è stato la terapia.
Desidero condividere con te [Morpheus] una geniale intuizione che ho avuto, durante la mia missione qui. Mi è capitato mentre cercavo di classificare la vostra specie. Improvvisamente ho capito che voi non siete dei veri mammiferi: tutti i mammiferi di questo pianeta d’istinto sviluppano un naturale equilibrio con l’ambiente circostante, cosa che voi umani non fate. Vi insediate in una zona e vi moltiplicate, vi moltiplicate finché ogni risorsa naturale non si esaurisce. E l’unico modo in cui sapete sopravvivere è quello di spostarvi in un’altra zona ricca. C’è un altro organismo su questo pianeta che adotta lo stesso comportamento, e sai qual è? Il virus. Gli esseri umani sono un’infezione estesa, un cancro per questo pianeta: siete una piaga. E noi [le macchine] siamo la cura.
(Agente Smith, “The Matrix”)
GENERATORI DI ODIO
Passati tre anni dal rilascio di With No Human Intervention, gli Aborym si ripresentano con nuova musica, dopo aver subito numerosi cambiamenti interni, motivo di interesse e apprensione, specie per gli stravolgimenti della formazione: Attila decide di tornare nei Mayhem coi quali rilascerà il controverso Ordo Ad Chao, mentre Seth Teitan si accasa presso i Dissection di Reinkaos prima (esperienza durata appena due anni e terminata col suicidio di Jon Nödtveidt), e gli Watain poi (in sede live). Come se ciò non bastasse, Faust diviene il primo batterista in carne e ossa del gruppo, oltre che membro fisso. A prendere le redini vocali del gruppo c’è Prime Evil, quello stesso Prime Evil che idealmente aveva aperto la strada artistica agli Aborym diversi anni prima coi Mysticum. Ciliegina sulla torta: l’approdo su Season Of Mist.
Per l’ennesima volta lo stacco col passato è netto, Generator rappresenta il disco più cerebrale, equilibrato e raffinato composto fino a quel momento; aprendo invece la prospettiva all’intera carriera di Aborym, è probabilmente un caposaldo per forma e contenuto. Niente più bordate supersoniche, impulsi cyber o deliri avantgarde, malignità è la parole d’ordine, palpabile in ogni singola nota, a partire dai celebri campionamenti di Charles Manson, utilizzati da numerosi gruppi metal, tuttavia qui davvero incisivi e adeguati al contesto. Lo sfruttamento di un batterista umano dona dinamismo ai pezzi, Generator infatti non investe con un’onda d’urto gigantesca (solo) il nostro corpo, quanto il nostro spirito.
Parossismo ed esasperazione sonora vengono messi di lato, preferendo instillare in ogni singolo brano segmenti di DNA distintivi del passato, ma elaborati in forma raffinata, compiendo una sintesi superiore che trascende i vecchi Aborym. Le singole componenti utilizzate da Fabban nel corso degli anni sono tutte presenti: abbiamo la malvagità nel riffing black metal; l’elettronica perversa e tamarra, ad esempio nello stacco electro di “Between The Devil And The Deep Blue Sea” ritroviamo tutto l’amore del gruppo per EBM e affini; il suono dark ambient di “Man Bites God” che non può che riportarci alle origini di “Hellraiser”; l’industrial. Tutti questi elementi generano un tutto che è superiore alla mera somma delle sue parti, come dimostrano “A Dog-Eat-Dog World” con la sua aura solenne e la superba “Disgust And Rage (Sic Transit Gloria Mundi)”.
Omnia est, malis est.
PSICOPATOLOGIA INDUSTRIALE
Dopo diciotto mesi dallo strepitoso Generator, altre novità attendono il gruppo nel luglio del 2007, quando Nysrok Infernalien Sathanas abbandona i compagni a causa di divergenti vedute (musicali e non), dedicandosi totalmente alle sonorità electro dei tamarrissimi Alien Vampires, intanto Fabban assume anche il ruolo di cantante, dato l’addio di Prime Evil. Il turnover nell’organico termina nel 2010, con l’ufficializzazione della nuova formazione a tre che comprende, oltre al factotum, Faust alla batteria e Paolo Pieri (noto come Hell:IO:Kabbalus, già con Fabban nei Malfeitor) come chitarrista. I primi annunci circa il futuro materiale parlano di un album composto da una sola traccia, nuovamente ricco di ospiti e che narra la storia di un ospedale psichiatrico, utilizzato come metafora sociale: il suo titolo è Psychogrotesque.
L’opera è davvero coraggiosa e nasce da un racconto scritto da Fabban, che tratta il culto dei falsi miti che guidano la nostra società (bellezza, potere, denaro, lussuria, edonismo, egocentrismo) e irretiscono chi non è abbastanza forte da opporsi e preferisce indossare una comoda maschera per adattarsi. Questo sistema lavora per eliminare sistematicamente gli individui pensanti, al fine di sostituirli con figure obbedienti, incapaci di esprimere proprie opinioni e continuamente alla ricerca di approvazione dall’altro, tanto da vivere come in una farsa teatrale recitando ruoli non propri. Nel momento in cui ci si accorge di questa mistificazione può essere troppo tardi e così la follia prende il sopravvento, incapaci di relazionarsi autenticamente con gli altri e al contempo consci di non conoscere realmente se stessi. Di lì a poco la strada è segnata da un martirio di sofferenza e mostruosità in totale solitudine.
Il disco è parecchio ambizioso, ricco di innesti elettronici — spesso frutto delle personalità che hanno collaborato (vedi “IX”), talvolta danzerecci come in “VIII” — e tortuoso: è un flusso sonoro quasi continuo, sfaccettato e sintetico (specie per i suoni delle tastiere), dotato di un’atmosfera soffocante e disturbata, dalla quale talvolta paiono emergere barlumi di lucidità e calore sotto forma di preziosismi, come i ricercati inserimenti di sassofono a opera di Marcello Balena o la calda voce presente nella prima parte di “V”. Si tratta comunque di rari attimi di normalità, che non fanno altro che rendere ancora più incomprensibile a occhi sani la schizofrenia della camaleontica “III”, che muta faccia più volte, o l’estratto surreale da I Canti Di Maldoror di Isidore Ducasse, conte di Lautréamont, racchiuso in “IV” .
Devo confessare che questa complessità concettuale mi ha messo parecchio in difficoltà, specie sulle prime, e ancora oggi a distanza di anni continuo a mutare la mia opinione sul disco e a raffinare le mie chiavi di lettura, che inizialmente erano ancorate soltanto ad alcuni picchi emotivi e creativi che ai miei occhi risultavano sommersi da una certa destrutturazione, che manteneva i capitoli di questa storia sospesi fra più mondi. Nella discografia di Aborym Psychogrotesque è sicuramente il disco più cerebrale, quindi va studiato, sezionato, analizzato a lungo e in maniera approfondita; scordatevi un approccio viscerale immediato.
In fondo una mente deviata non può essere compresa del tutto da chi non vive la Malattia…
ACIDO DISGUSTO RAZIONALE
Dirty viene pubblicato da Agonia Records nel 2013 e rappresenta il secondo disco della terza incarnazione degli Aborym, che vede Bård G. “Faust” Eithun e Paolo Pieri (noto anche come Hell:I0:Kabbalus) affiancare il leader Malfeitor Fabban, giunto invece al sesto album. Personalmente ho accolto con parecchia tensione queste nuove tracce, dopo che avevo fallito nel trovare la chiave di lettura per entrare totalmente in sintonia con Psychogrotesque; a mio avviso progetto ambizioso, dotato di soluzioni interessanti, ma troppo diluite in relazione agli elevatissimi standard del gruppo.
A uno sguardo, o meglio ascolto, distratto e superficiale i dieci brani in questione possono apparire semplice industrial black metal ricco di elettronica, però scavando in profondità emergono tutto lo spessore e la capacità compositiva e di arrangiamento che gli Aborym hanno sviluppato nel corso del tempo. La band ha optato per un approccio meno estremo: rispetto al precedente album concettuale, che si presentava come un unico flusso malato, comunque suddiviso in parti, ha preferito rifinire ogni singolo pezzo nella maniera più accurata possibile, rendendolo autosufficiente e in grado di reggersi anche al di fuori del contesto generale. Si percepisce infatti come ciascuna canzone possieda una forte personalità che la distingue dalle altre, pur costituendo un’opera coesa, e in ciò noto una certa affinità col superbo Generator.
Lo screaming aspro e severo di Fabban, le bordate chitarristiche di Paolo Pieri (poderose in “Irreversible Crisis”) e la batteria sempre precisa di Faust, in grado di risultare sia inumana e cinica che terrena all’occorrenza, formano la spina dorsale di “Dirty”, sulla quale si innesta tutto il lavoro di campionamenti, effettistica e tastiere, opera dei due citati, che cesella e dona sensazioni multiformi. In “Across The Universe” ad esempio emerge un senso di sospensione cosmica ed eterea, come in un viaggio spaziale allucinato; mentre “Raped By Daddy”, in linea col riferimento al film di David Lynch Fuoco Cammina Con Me (Fire Walk With Me), prequel della serie di culto I Segreti Di Twin Peaks, è permeata da un’atmosfera orrifica morbosa e misteriosa, in un continuum di tensione smorzato soltanto dalla tragicità dei sintetizzatori. Se le ritmiche EBM che talvolta compaiono e la violenza cibernetica non sono di certo una novità, così come i pregevolissimi assoli, anche di tastiera, che si accodano a quelli chitarristici realizzati in passato (ricordate quello splendido di “The Triumph”?), lo stesso non può dirsi per l’uso sorprendente della voce pulita in “I Don’t Know” e “Face The Reptile”, modulata su tonalità che nella mia testa rimandano a Steve Sylvester e ai Death SS!
Un aspetto che ritengo rilevante per apprezzare appieno Dirty è la possibilità di goderne come opera completa, comprensiva della copertina e del libretto coi testi. Aspetto lirico e visuale sono profondamente legati, poiché l’immagine frontale dalle tonalità giallo acido rappresenta la tristemente famosa fabbrica dell’Ilva di Taranto, raccontata come “The Factory Of Death” che da anni fa respirare ai cittadini diossina e bugie per il profitto economico di pochi. Nel complesso affiora ancora una volta una visione del mondo cinica, amara (vedi la triste chiusura di “The Day The Sun Stopped Shining”), dove la speranza è assente e il decadimento del corpo e dello spirito in fase decisamente avanzata.
Per ritrovare gli Aborym che osano, irritano e sconvolgono le consuetudini, bisogna inserire nel lettore cd il secondo disco della versione digipak, che contiene quasi altri quaranta minuti di musica. L’incipit è noto: si tratta proprio di “Fire Walk With Us!”. Il celebre cavallo di battaglia è riproposto in una nuova veste dai suoni rifiniti e con alcuni passaggi vocali che non mi convincono quando si allontanano troppo dall’originale; da quanto ho potuto vedere dai video presenti su Youtube, relativi al concerto tenuto al Brutal Assault, questa variante verrà proposta nelle future date dal vivo. Anche la trionfale “Roma Divina Urbs” ha subito un rimodernamento, che soffre degli stessi problemi citati, in quanto perde una parte dell’aura magica in favore di suoni più precisi e troppo sintetici. Personalmente aborro questo genere di operazioni, va da sé però che serve comunque una buona dose di coraggio per mettere mano a canzoni che per i fan di lungo corso come il sottoscritto sono dei veri e propri inni intoccabili. Specularmente a questa accoppiata, sul finire della scaletta, si trova un brano nuovo di zecca, una sorta di Aborym & friends: “Need For Limited Loss” difatti è stata scritta da Alberto Penzin (ex) dei seminali Schizo, ma si avvale del contributo di ben tredici musicisti-fan per scatenare la furia di un industrial black metal ricco di elementi e dalla struttura cangiante. Per concludere la disamina mancano soltanto le tre cover: “Comfortably Numb” è offerta in una chiave eterea e sognante, in linea con l’originale dei Pink Floyd, con un ruolo centrale per i sintetizzatori e la voce; anche “Hurt” dei Nine Inch Nails non subisce stravolgimenti esagerati. Il vero e proprio carico da novanta arriva con “Hallowed Be Thy Name”: gli Iron Maiden sono presi, rigirati, ammorbati, contaminati in un vortice elettronico scioccante che sfocia nella techno e che disgusterà la gran parte di voi lettori, specie ai primi ascolti! Io sinceramente dopo un attimo di spiazzamento ora la apprezzo molto…
Alla resa dei conti Dirty può essere considerato una sorta di disco di maniera (utilizzando un’accezione neutra del termine), gli Aborym hanno preferito osare poco, per puntare piuttosto sulla centralità della forma canzone; ciò non toglie tuttavia che la qualità dell’album sia oggettivamente più che buona e che il lavoro di cesellatura e congiunzione di tutti gli elementi (musicali e non, ospiti compresi) sia ancora una volta eccezionale. Il gusto individuale infine determinerà il grado di apprezzamento, nel mio caso è in risalita dopo l’enigmatico Psychogrotesque.
[mia recensione del 19 agosto 2013]
IL PRESENTE
Dalla pubblicazione di Dirty a oggi gli Aborym non sono di certo rimasti fermi, lavorando duro a tutto tondo: dapprima hanno firmato un nuovo contratto con l’agenzia di booking TMR Music Promotions per intensificare la propria attività live, per poi selezionare Giulio Moschini (chitarrista degli Hour Of Penance) e Lorenzo Zanone (ex bassista dei From Depths e ora negli Stamina) come membri aggiuntivi per i concerti. In seguito hanno annunciato un concorso tra i fan per remixare tre brani dell’ultimo album, i cui vincitori compariranno in una uscita speciale. Infine il 31 ottobre hanno rilasciato Live In Groningen, il primo disco dal vivo della band che comprende sette tracce registrate nel maggio del 2004. A ora, novembre 2013, il gruppo è in pieno stato di forma, coeso, sereno e con le idee ben chiare circa il proprio sviluppo.
Che apprezziate o meno la musica di Aborym o le singole opere, è innegabile che esse rivelino una straordinaria coerenza nel rifiutare la stasi in terroritori sonori già esplorati o il rifugio presso strutture sdoganate e vincenti, in favore di un approccio autentico all’Arte che permette al Genio di svilupparsi in totale libertà. Talvolta questa evoluzione può rimanere parzialmente celata agli occhi, come mi è capitato con Dirty, perciò vi invito a leggere l’interessante intervista rilasciatami da Fabban, che fra le altre cose illustra con chiarezza cosa sia e dove risieda oggi il carattere sperimentale di Aborym.
Per approfondire la conoscenza di Aborym:
- intervista a Fabban
- recensione “With No Human Intervention”
Le mie fonti:
- biografia dei M.E.M.O.R.Y. Lab
- intervista rilasciata a Domina On Line death-balck-grind-crust-fist-fuck’zine (1999)
- intervista rilasciata a Lord Glacial per Italian Black Metal Division (2002)
- intervista rilasciata a Daniele “Tormentor” Amato per Hardsounds (2006)
- intervista rilasciata a Metal.it (2010)
- intervista rilasciata ad Andrea “BurdeN” Benedetti per Metal.it (2010)
- intervista rilasciata ad Alice Landi “Persephone” per Metallized (2011): parte 1 – parte 2
- sito ufficiale
È stata una lettura davvero interessante, devo dire che è un progetto che conosco relativamente poco, ma dal vivo sono stati molto divertenti.