EMPEROR – Lo spirito della notte (pt. II)
Musica e cronaca nera, quel mix di cui avevamo appena accennato nel primo episodio di questo speciale sugli Emperor, assume connotati inquietanti proprio nel 1993, l’anno di pubblicazione dell’EP omonimo del gruppo. La notte del 10 agosto, l’omicidio di Øystein Aarseth (per amici e soprattutto nemici semplicemente Euronymous) per mano di Varg Vikernes e il successivo arresto di quest’ultimo scoperchiano il maleodorante vaso di Pandora che è la scena norvegese. Un mese prima gli Emperor — che nel frattempo hanno assoldato Terje Vik Schei (Tchort) al posto di Mortiis — sono negli studi della Grieghallen di Bergen a registrare un disco che cambierà il black metal per sempre, insieme a quel Pytten (all’anagrafe Eirik Hundvin) già responsabile della registrazione e della produzione di De Mysteriis Dom Sathanas, dei primi quattro album di Burzum e degli esordi discografici degli Immortal — un signore che il male lo sapeva maneggiare, insomma.
IO SONO I MAGHI NERI
In The Nightside Eclipse viene pubblicato il 21 febbraio del 1994 e, come la luna nella splendida copertina del disco firmata dal grandissimo Jan Kristian Wåhlin (Necrolord), illuminerà un intero genere ammantandolo di una coltre bluastra e maligna. I suoni sono freddi ma nel contempo sanguigni — Tchort riferirà che durante le sessioni di registrazione sputava sangue — e catapultano in un mondo etereo, spiritico, riflesso della potenza naturale dei più che concreti paesaggi norvegesi, citati da Samoth come un’influenza primaria per la scrittura e quindi l’evocazione di certe atmosfere. Perché In The Nightside Eclipse è soprattutto questo: un mastodonte di ispirazione e di furia immaginifica; un viaggio fra montagne imponenti e boschi spettrali avvolti da una nebbia quasi palpabile. Ihsahn, Samoth e compagni assimilano e re-interpretano più o meno tutti i temi della corrente Romantica che ha attraversato la fine del Settecento e la prima metà dell’Ottocento: il sogno e la follia sono la base di partenza, c’è l’individualismo, così come ci sono l’esotismo naturalista e un ovvio repertorio di magia e pratiche occulte.
Una summa di quasi tutti questi temi la rintracciamo in “Cosmic Keys To My Creations And Times”, e nella ancora più iconica “I Am The Black Wizards”: canzoni presenti entrambe su Emperor che qui trovano una veste di maggiore impatto; lo stesso discorso vale per la furiosa “Beyond The Great Vast Forest”, versione riveduta e corretta della già citata “My Empire’s Doom”, in cui le dimensioni onirica e naturale si sublimano ed esplodono nella successiva “Towards The Pantheon” (uno dei pezzi più belli mai usciti dalla penna dell’Imperatore, per chi scrive) e nel suo testo, che sintetizza un’epoca: «May the wolves start to howl again / May the age of darkness arise». Gli Emperor chiudono il discorso con il loro manifesto, “Inno A Satana”, che diventa in un amen (ridere non è obbligatorio) anche un manifesto intergenerazionale per tutti coloro che crescono ascoltando la musica del demonio, perché: «Forever wilt serve thee / Thou shalt forever prevail».
È un lavoro epocale, In The Nightside Eclipse, per una serie di fattori sia musicali che extra-musicali: è stato scritto e registrato da quattro ragazzi poco più che maggiorenni, con un genio e un fulgore creativo fuori scala, capaci di dare nuove coordinate a un genere che si stava ancora delineando facendo un uso delle tastiere e delle armonie inedito, trasformando qualcosa che fino ad allora suonava grezzo e crudo in un’espressione elegante e profondamente suggestiva; tre di questi ragazzi, però, sono finiti in galera addirittura prima che l’album venisse pubblicato.

Il 21 agosto del 1992 Faust si trova a Lillehammer in visita ad alcuni parenti, all’uscita da un pub si incammina nel parco olimpico (la città ospiterà le olimpiadi invernali del 1994), noto luogo d’incontri fra omosessuali; lì decide di appartarsi con un ragazzo di nome Magne Andreassen, col preciso scopo di ucciderlo, cosa che farà con trentasette coltellate e numerosi calci alla testa. L’omicidio resta insoluto fino all’arresto di Vikernes, che spinge gli inquirenti norvegesi a frugare nella fitta rete di frequentazioni dell’Helvete, il negozio di Euronymous; Faust viene catturato, processato e condannato (nel 1994) a quattordici anni di reclusione (ne sconterà nove e quattro mesi). Tchort si becca due anni per aggressione, quindi tocca a Samoth che, mentre registra Aske insieme a zio Varg, pensa bene di fare un barbeque dando alle fiamme la chiesa parrocchiale di Skjold (il 13 settembre sempre del ’92) e si prende, perciò, sedici mesi di carcere — fa appena in tempo a strimpellare qualcosa (niente che verrà pubblicato) coi Gorgoroth, a registrare le parti di chitarra e basso per gli amici Satyr e Frost, che lo vogliono con loro su The Shadowthrone, e di sola chitarra su Constellation degli Arcturus, che pubblica con la sua neonata etichetta: la Nocturnal Art Productions nasce proprio quell’anno, e darà alle stampe un altro EP targato Emperor (As The Shadows Rise, contenente tre tracce di Wrath Of The Tyrant ri-registrate), Norse del sodalizio Ildjarn-Nidhogg, e Anno Domini dei Tormentor di Attila Csihar.
COSÌ PARLÒ LO SPIRITO DELLA NOTTE
Con i colpi inferti dal sistema giudiziario norvegese l’attività discografica degli Emperor entra, com’è ovvio, in stallo, ma né Samoth né Ihsahn hanno esaurito la propria vena creativa ed entrambi continuano a scrivere un successore di In The Nightside Eclipse. Nel luglio del 1996 Samoth finisce di scontare la sua pena; i tempi sono maturi per riportare l’Imperatore ai fasti di un tempo, il materiale per un nuovo disco c’è, non resta che assemblare una nuova sezione ritmica. Detto, fatto: del basso si occupa Jonas Alver, affidabile e fresco dell’esperienza coi Dødheimsgard su Monumental Possession; alla batteria arriva invece Trym (per i parenti Kay Johnny Mosaker) dai cugini Enslaved, coi quali si è reso autore di prove massicce dagli esordi e fino a Frost. A fine ottobre il rinnovato quartetto torna alla Grieghallen, sul luogo del delitto (stavolta solo in senso figurato), e registra ancora insieme a Pytten musica che finirà prima su un EP di antipasto intitolato Reverence e poi sul secondo capolavoro partorito dalla mente dei due ragazzi del Telemark, Anthems To The Welkin At Dusk; entrambi vedono la luce (si fa per dire) nel 1997.

Reverence prepara il pubblico con “The Loss And Curse Of Reverence”, un bellissimo inedito che ritroviamo anche in Anthems… per il quale viene girato anche un video a base di fumo e armature kitsch (non ai livelli delle temibili foto sadomaso-medievali degli Enslaved ma comunque rispettabili); “In Longing Spirit”, che è una riscrittura di un bozzetto datato 1992 e una versione (altrettanto kitsch) elettronico-orchestrale di “Inno A Satana” intitolata “Opus A Satana”. Al che uno dice: vabbe’, ma adesso cacciate la roba seria.
Dal primo arpeggio di “Al Svartr (The Oath)” si intuisce che questi qui sono tornati per fare sul serio e non i bellimbusti in cotta di maglia: Anthems To The Welkin At Dusk si apre con un’invocazione allo Spirito della notte, segno che l’attitudine romantica non si è esaurita, men che meno il superomismo satanico che professano senza paura: «O’Nightspirit / I am one with thee / I am the eternal power / I am the Emperor». Gli Emperor vogliono che ci inchiniamo con gesto di riverenza, e noi non ci sentiamo di dar loro torto, soprattutto dopo che ci sparano addosso la velocissima “Ye Entrancemperium”, il cui tema d’apertura viene dalla penna di Euronymous; Trym si presenta come la piovra schiacciasassi quale è, con le sue braccia e le sue gambe stritola e rade al suolo tutto ciò che gli si para davanti, spingendo al massimo insieme alle chitarre e al basso; le tastiere non sono più una semplice ossatura di fondo, ma dialogano con gli altri strumenti e ci parlano direttamente: sono sottili in “Thus Spake The Nightspirit”, che ci riporta ai sogni e alla loro potenza rivelatrice, si fanno invece orchestra su “Ensorcelled By Khaos”. La musica di Ihsahn e Samoth diventa via via sempre più elegante e sontuosa, uno stile espressivo facile da individuare anche nel linguaggio letterario e arcaico di cui si servono per testi e titoli. «Attempts were made to suffocate me at birth» recita l’incipit di “The Loss And Curse…”, perché per l’Imperatore quest’album è una rivalsa nei confronti del potere precostituito dietro al quale si annida il germe cristiano, nonché la scoperta definitiva e l’affermazione delle proprie capacità; se non vi viene la pelle d’oca con “The Acclamation Of Bonds” e le sue tastiere debordanti forse dovete cambiare webzine. Lo stesso vale nel caso in cui non vi scenda una lacrima ascoltando “With Strength I Burn”, un inno lacerante alla solitudine e alla contemplazione, in cui la poetica del gruppo raggiunge un apice difficile da eguagliare.
Anthems To The Welkin At Dusk (al cui comparto grafico lavora anche uno Stephen O’Malley ventitreenne) sposta la già altissima asticella fissata dal suo predecessore, consacra gli Emperor fra i gruppi black metal più importanti e influenti di sempre e li rende la prova vivente del fatto che il male e la sofferenza possono essere raccontati in maniera studiata e magniloquente, non solo senza perdere un grammo della loro forza ma arricchendoli con solennità e classe.
Dopo aver parlato di due dischi del genere qualche giorno di ritiro spirituale è quasi d’obbligo, perciò il racconto proseguirà nel prossimo episodio, con un’altra infornata di musica del demonio made in Telemark.