Riscopriamo i Finntroll prima dell’uscita del nuovo album
Confessione numero uno: ho iniziato ad ascoltare black metal abbastanza tardi e, nonostante in generale lo apprezzi molto e mi piaccia anche, non ho mai smesso di ritenermi nabba in materia ed è questa la ragione per cui non ne scrivo. Confessione numero due: non sarei mai arrivata al black metal se non fosse stato per i Finntroll.
Alle mie orecchie inesperte il black suonava come una roba troppo impastata, troppo confusa, troppo poco chiara, mentre a me piacevano i suoni puliti e definiti — ovviamente ero partita prevenuta, c’è black e black, solo che al tempo non lo sapevo ancora — quindi lo evitavo senza ritegno. Poi un giorno mi sono imbattuta nei Finntroll e ci ho messo un po’ a capire se stessero facendo sul serio o se fossero solo un’enorme presa per il culo giusto per passare il tempo. Li ho ascoltati, li ho riascoltati, sono entrata in un loop, sono diventati uno dei gruppi più importanti per la mia formazione musicale. Ancora oggi ho la tendenza ad ascoltarmi tutta la discografia di fila, senza interruzioni.
Il successore di Blodsvept, che risale ormai al 2013, è stato annunciato in modo assai sibillino nel novembre 2019, si intitola Vredesvävd e la sua uscita, dopo essere stata annunciata per il 14 agosto, è stata posticipata al 18 settembre: quale momento migliore per mettersi a ripassare brevemente la storia dei troll finlandesi attraverso i loro dischi?
Rivfader (demo, 1998) e Midnattens Widunder
(Spikefarm Records, 1999)
Se la musica dei Finntroll vi sembra roba da cazzeggio suonata da ubriaconi con troppa fantasia, sappiate che avete ragione. Correva il 1997, due musicisti sbronzi, il cantante Jan “Katla” Jämsén e il chitarrista Teemu “Somnium” Raimoranta (già nei Thy Serpent e in seguito negli Impaled Nazarene e nei Barathrum), ebbero la brillante idea di mettersi a suonare robine folk con la tastiera e mescolarle con riff che richiamassero la polka finlandese, chiamata humppa. Poco dopo furono aggiunte le parti vocali.
Fortunatamente per noi, il duo Somnium-Katla (indicato nei credits come Herra Sysi) decise effettivamente di registrare una demo per darla in pasto al pubblico intitolata Rivfader, utilizzando il nome Finntroll che fa riferimento a un’antica leggenda secondo la quale un gruppo di avventurieri svedesi in viaggio in Finlandia — o missionari, le fonti non sono concordi — si imbattè in un uomo dall’aspetto villico che ne uccise la maggior parte; i superstiti tornarono in patria per raccontare la storia del Finn-Troll. Il duo scelse di incentrare i testi su un re dei troll fittizio, di nome Rivfader appunto, e sulla sua lotta contro i Cristiani e la loro propaganda religiosa. Trollhorn dirà, in una intervista del 2009, che la band è contro tutte le religioni semitiche e che il metal gira intorno al concetto di ribellione, un’idea che difficilmente può essere reperita nelle Scritture: «Rivfader si sveglierà dal suo lungo sonno per sconfiggere la piaga della cristianità del Nord». In seguito, a queste tematiche si aggiunse quella più generale dei miti dei paesi nordici; nonostante il gruppo sia originario di Helsinki, Katla fa parte della minoranza che per ragioni storiche è di madrelingua svedese, per cui tutti i brani sono da lui scritti e cantati in svedese, tradizione che verrà comunque mantenuta nonostante i cambi di formazione. Va detto che, secondo i Nostri, la lingua svedese ha un suono molto trollico (la citazione è reperibile nel testo Pop Pagans: Paganism And Popular Music), per cui hanno preso due piccioni con una fava.
Rivfader divenne giustamente leggenda e la formazione dei Finntroll si arricchì della presenza di Sami “Tundra” Uusitalo (basso, più in là anche negli Shape Of Despair), Henri “Trollhorn” Sorvali (tastiera, già nei Moonsorrow), Samu “Beast Dominator” Ruotsalainen (batteria) e Samuli “Skrymer” Ponsimaa (al secolo “Örmy”, chitarra e autore delle copertine di tutti i dischi ad oggi). Un anno dopo, la Spinefarm Records pubblicò con grande orgoglio l’eccellente disco di debutto Midnattens Widunder, che in appena trenta minuti concentra tutta l’essenza dei Finntroll: poca voglia di prendersi sul serio, tastierine allegre e blast beat. La band iniziò a farsi largo tra il pubblico come fautrice di troll metal (peikkometalli in finlandese). Tre furono i brani importati da Rivfader a Midnattens Widunder, ovvero “Vätteanda” e le due title track. Marchi di fabbrica diventeranno, con gli anni, le varie intro e outro che contribuiscono a dare un taglio vagamente cinematografico alla faccenda. Proprio in questo album vengono introdotti anche i personaggi di Aamund e Kettil, due preti che finiranno per avere la peggio in un attacco da parte dei troll: in “Bastuvisan” (la canzone della sauna) i poverini (?) vengono mutilati e picchiati dai troll durante una sauna rilassante e la stessa capanna che ospita la sauna finisce per esplodere. “Svartberg”, invece, racconta di una montagna oscura cui si farà riferimento anche più avanti, dove i troll si sono rifugiati in attesa di riprendersi ciò che spetta loro di diritto, mentre nel frattempo ammazzano il tempo razziando in giro e banchettando con sangue e carne umana.
Jaktens Tid
(Spinefarm Records, 2001)
Con Il tempo della caccia i giochi si fanno più seri: la band è nata per cazzeggiare, ma a quanto pare il cazzeggio piace sia a loro che ai fan, per cui bisogna tenere la guardia alta. Jaktens Tid è acclamato quasi all’unanimità come il capolavoro dei Finntroll, in cui si percepisce a tratti un’aura più seria rispetto al predecessore, nonostante il popolo di internet trovi sempre il modo di divertirsi e cacci fuori un video che diventerà quasi di kvlto tra gli amanti del genere, quello di “Slaget Vid Blodsälv” feat. Tom&Jerry , cui ne seguiranno altri (segnalo anche quello made in Italy di “Skogens Hämnd” in collaborazione con Corrado).
Continua la saga di Rivfader e la sua eterna lotta, «kung över folken av troll», con il supporto di stregoni e animali selvatici, contro la cristianità e i suoi rappresentanti, come descritto molto graficamente nella citata “Slaget Vid Blodsälv” (La battaglia del fiume di sangue), anche se il tema è presente in ciascuno dei brani. Se la title track vince a mani basse su tutti i brani, grazie anche allo joik di Jonne Järvelä dei compari Korpiklaani e che ritroviamo a più riprese anche nei cori di “Aldhissla”, va detto che la strumentale “Bakom Varje Fura” offre un goliardico momento di pausa stile sagra della porchetta metallara, mentre “Kyrkovisan” decide di intitolarsi La canzone della chiesa e fornisce un’ottima, sintetica e assai violenta risposta ai tentativi di conversione forzata alla cristianità, da parte nuovamente dei due ormai conosciuti sacerdoti Aamund e Kettil. Non ci facciamo mancare neanche il momento cover con “VargTimmen”, originariamente dei colleghi Hedningarna, per poi chiudere con l’outro “Tomhet Och Tystnad Härska”. Non siamo davanti al disco dei Finntroll che personalmente preferisco, ma è impossibile non lodarne i suoni rifiniti e le dinamiche ben studiate.
Visor Om Slutet (EP)
(Spinefarm Records, 2003)
Canzoni sulla fine, questo il titolo tradotto, non è considerato un vero e proprio album nemmeno dalla band, pur avendo una durata leggermente superiore rispetto a Midnattens, probabilmente perché si tratta di un prodotto acustico sperimentale. Di motivi per citarlo, però, ne abbiamo più di uno.
Visor Om Slutet è il disco di congedo di Katla, limitato dai sempre più fastidiosi e seri problemi alle corde vocali, che qui divide gli oneri da vocalist con il nuovo arrivato Tapio Wilska prima di salutare parzialmente i compagni di band; dico parzialmente perché continuerà a scrivere i testi anche dei dischi successivi (eccezion fatta per Nattfödd). Somnium perderà la vita appena venticinquenne, pochi giorni prima della pubblicazione di Visor, cadendo dal ponte di Kaisaniemi (a Helsinki) sul ghiaccio sottostante il 26 marzo 2003. Come causa della morte venne ufficialmente indicato lo stato d’ebbrezza in cui il ragazzo si trovava al momento della caduta, per cui la faccenda venne archiviata come un incidente; Mika Luttinen degli Impaled Nazarene rilasciò però alcune dichiarazioni, in un’intervista per Metal Maniacs, in cui affermava senza mezzi termini che si trattò di suicidio e che Somnium ci aveva già provato altre volte, aggiungendo anche di non sentirne la mancanza nella sua band perché faceva un sacco di cazzate, ma di sentirne la mancanza come amico. Brutale onestà finnica at its finest.
L’intero EP venne dedicato alla memoria di Somnium e, dal mio personalissimo punto di vista, è questo il lavoro migliore dei Finntroll: è vero, è un disco atipico, sei tracce su undici sono strumentali e non dà un’idea troppo chiara di quello che è lo spirito del gruppo, ma è permeato da un’atmosfera oscura e minacciosa unica, quasi impossibile da trovare nelle altre opere; con unica eccezione forse “Gryning”, intro di Ur Jordens Djup. Il tema prevalente è l’oscurità, presente in ciascuno dei brani: la notte è la vera protagonista, con la luna alta nel cielo messa lì ad assistere a sanguinose battaglie e ai banchetti dei corvi che si cibano di cadaveri. L’unico pezzo in finlandese scritto (e mormorato) dalla band in tutta la sua carriera, l’antica maledizione sciamanica “Madon Laulu”, si trova proprio in questo disco. E poi dai, tra gli strumenti utilizzati appaiono anche bonghi, casse di birra, una sega, carne macinata — non scherzo — e pavimento; cioè, che je voi di’.
Nattfödd
(Spinefarm Records, 2004)
Con Katla uscito ufficiosamente dalla band e Somnium passato a miglior vita, l’eredità dei Finntroll restò in mano ai componenti rimanenti: Skrymer, Trollhorn, Tundra e Beast Dominator. Wilska assunse permanentemente il ruolo di cantante e alla chitarra si aggiunse Mikael “Routa” Karlbom, e in questo modo il troll poté continuare a razziare e a onorare la memoria di Somnium, pur senza alcun membro fondatore rimasto. Non che ciò fosse chissà quale problema, visto che, stando alle parole di Trollhorn, nessuno dei due componenti dipartiti aveva più una gran voglia di continuare a impegnarsi seriamente con i Finntroll. Si trattò, di nuovo, più di una perdita in termini di amicizia che strettamente artistici.
L’impresa era ardua, le probabilità di rovinarsi con le proprie mani alta, e invece il sestetto cacciò fuori il degnissimo successore di Jaktens Tid, intitolato Nattfödd. Wilska si dimostrò più che all’altezza del suo predecessore; inoltre scrisse i testi per la cavalcante “Eliytres” (nuovo troll che affianca il Rivfader), “Ursvamp”, “Fiskarens Fiende”, “Trollhammaren” e la title track, mentre Trollhorn quelli della bomba “Vindfärd/Människopesten” (la peste umana continua a essere, indovinate un po’, «la cristianità venuta dal sud»), “Marknadsvisan” (ricordate i poveri sacerdoti Aamund e Kettil e i loro sfortunati incontri con i troll di montagna? Ecco, li ritroviamo anche qui), “Det Iskalla Trollblodet” e la splendida “Grottans Barn”. Ironia della sorte, la traccia che consacrò i Finntroll, quella che li rese famosi ovunque, quella che la band volente o nolente è costretta a suonare a ogni live, è contenuta proprio in questo disco: stiamo chiaramente parlando di lei, la danzereccia “Trollhammaren”, il martello del troll usato per massacrare i nemici e che fa il verso a quello quasi omonimo del pantheon scandinavo. Chiude il disco il fumo dell’acustica e malinconica “Rök”. Nattfödd è, inoltre, il primo disco a essere distribuito dalla Century Media al di fuori della Finlandia.
Il 19 settembre 2014 la band si imbarcò in un tour celebrativo con Profane Omen e Hatesphere per i dieci anni di Nattfödd, pubblicizzato con un video chiarissimo e sobrissimo, per poi rilasciare, nell’aprile 2015, una videointervista in inglese per KaaosTV, il canale ufficiale della webzine finlandese Kaaoszine. «Avete delle belle storie che volete condividere sull’ultimo tour europeo?»: «Non ce le ricordiamo». In quella stessa occasione venne anche menzionata un’entrata in studio per registrare il successore di Blodsvept intorno all’estate 2016, cosa che, come vedremo, non avvenne.
Ur Jordens Djup
(Century Media Records, 2007)
Wilska fece giusto in tempo a conquistarsi il suo posticino, registrare l’EP Trollhammaren (in cui figurano, tra le altre, una nuova versione di “Försvinn Du Som Lyser” e l’ottima “Hel Vete”) e a passare alla storia come il cantante originale del brano omonimo, quand’ecco che lasciò la band per divergenze inconciliabili. I Finntroll ingaggiarono Mathias “Vreth” Lillmåns nel 2006 e nel 2007 il nuovo disco era già pronto per essere pubblicato, stavolta per il colosso Century Media. I primi ricordi con i Finntroll, dirà Vreth nella videointervista precedentemente citata, saranno legatissimi a Nattfödd, che all’epoca del suo ingresso nel gruppo era ancora il disco con le canzoni più nuove. Inoltre, ai tempi delle prime prove, Vreth, che è di madrelingua svedese, non aveva affatto dimestichezza con il finlandese e dopo aver saputo di essere stato ingaggiato come cantante dei troll chiese chiaramente ai suoi compagni di non usare l’inglese perché era sua intenzione imparare il finlandese; cosa che, a detta di Routa, avvenne piuttosto velocemente. La maggior parte di chi è un finlandese di lingua svedese, ovvero suomenruotsalainen in finlandese e finlandssvensk in svedese, è fluente o comunque se la cava bene con la lingua finlandese, pur se molto dipende anche dal luogo di nascita: Vreth è nato a Jakobstad, cittadina dell’Ostrobotnia dove più della metà dei ventimila abitanti è finlandssvensk.
Ur Jordens Djup (Dalle viscere della terra) interrompe il tema della lotta tra Cristianesimo e troll e ci racconta di tempi antichi, popolati da sciamani e streghe. Il disco funge da spartiacque tra ciò che la band ha prodotto in precedenza e quello che verrà dopo, parzialmente proprio a causa della presenza di Vreth, che porta con sé uno stile canoro leggermente differente e allo stesso tempo perfettamente aderente allo spirito dei Finntroll. Si tratta di un album più violento, più oscuro, meno cazzeggione: ormai i finlandesi si sono fatti un nome, sono cominciati e aumentati anche i concerti all’estero, bisogna ostentare almeno una parvenza di serietà.
“Gryning” è probabilmente l’intro più bella mai scritta dai Finntroll , poi “Sång” ci catapulta nella nuova versione di quella creatura nata dieci anni prima, anche se il tema dell’oscurità in cui accadono cose buie e vengono sventrati esseri umani continua a essere ostinatamente presente. Ur Jordens Djup ha diviso i fan e — devo ammetterlo — anch’io ho impiegato un po’ di tempo ad assimilarlo per bene, tant’è che per anni è stato l’unico disco che saltavo, probabilmente proprio a causa delle sue sonorità così diverse; con il passare degli anni, sono arrivata a ritenerlo un gioiellino, in particolar modo “Maktens Spira”, “En Mäktig Här” e “Nedgång”. Vietato inoltre stoppare “Kvällning”, si rischia di mancare la ghost track “Trollvisan”, la canzone del troll che si reca nel paese dei cristiani e brucia la loro chiesa dopo aver appreso che hanno ucciso i suoi fratelli e rubato la sua birra e il suo cibo.
Nifelvind
(Century Media, 2010)
Chiunque avesse dubbi su Ur Jordens Djup o Vreth poté ampiamente ricredersi con quel pezzo da novanta che è Nifelvind, in cui fece il suo ingresso Aleksi Virta dietro le tastiere. Trollhorn fa ancora ufficialmente parte della band e compare in tutte le foto di rito a tutt’oggi, ma non suona più dal vivo dal 2005 a causa di problemi personali, e preferisce essere attivo dietro le quinte come compositore o semplicemente come musicista in studio (la stessa cosa accade nei Moonsorrow, nei quali è sostituito dal vivo da Janne Perttilä). All’album partecipa anche, come ospite, Olli Vänskä dei Turisas al violino. Ricordo che, quando uscì, ascoltavo i Finntroll da relativamente poco e ne ero completamente innamorata, per cui accolsi di buon grado l’arrivo di un disco nuovo, visto che i precedenti li avevo macinati di brutto.
Il titolo porta alla mente Nifelheim, il regno dei morti nel pantheon nordico, anche se più che a Venti dell’Inferno potrebbe fare riferimento a Venti di nebbia o di oscurità: Nifelheim è un termine derivato dalla parola islandese nifl, a sua volta derivata dall’Alto Tedesco Antico nebel e dal latino nebula: nubi, nebbia, oscurità, appunto. Per lo spunto di riflessione ringrazio molto questo blog di un’altra fissata coi Finntroll in cui mi sono imbattuta per caso.
La prestazione di Vreth in questo quinto disco supera ogni aspettativa, è un lavorone dall’inizio alla fine. Se “Gryning” è l’intro più bella dell’intera discografia, “Blodmarsch” si conquista certamente la palma di quella più epica: difficile non immaginare epoche antiche e battaglie leggendarie. Dicevo qualche capoverso più su che a un certo punto i temi trattati dai Finntroll sono sconfinati nel pantheon nordico: potremmo definire Nifelvind proprio il punto esatto, e il vago riferimento a Nifelheim non è un caso. “Solsagan” (finalmente una saga del sole dopo tanta oscurità) segue l’intro in maniera eccellente, ed è accompagnato da un video paludoso che non c’entra assolutamente niente con il testo, dove si parla della nascita del Sole e della dea a esso associata, Sól (roba che nel video non è neanche accennata). Perfino chi non ha mai visto di buon grado l’arrivo di Vreth in formazione è costretto a parlar bene di questa uscita, il che la dice lunga sia sulla produzione che, soprattutto, sulla composizione. In merito, Trollhorn disse che capitò di comporre pezzi da ubriachi, nella foresta, ma che non si può fare affidamento su questa tecnica al 100%; il giorno che sentiremo gente vomitare in sottofondo sapremo che i Troll l’hanno fatto di nuovo.
L’edizione speciale di Nifelvind vede inoltre i troll alle prese con tre cover: “The God That Failed” (Metallica), “Can You Forgive Her?” (Pet Shop Boys) e “Insects” (Oingo Boingo).
Blodsvept
(Century Media Records, 2013)
Eccolo qua, il tasto dolente. Vreth ha dichiarato, in un’intervista prima dello show di Vaasa il 7 febbraio 2014, che si trattò di un disco doloroso, per il quale «fu letteralmente versato sangue» — in effetti il titolo, grossomodo, significa Coperto di sangue — e che la band temette più di una volta di non riuscire a portarlo a termine come sarebbe stato necessario. Ventisette furono i giorni totali trascorsi nell’ormai familiare Sonic Pump Studio di Helsinki e a un certo punto tutte le tracce di chitarra furono perfino cancellate per sbaglio, ma alla fine i Nostri si dissero soddisfatti del risultato. Io personalmente lo sono un po’ meno, ma era chiaro che dopo sedici anni di qualità dovesse pur succedere qualcosa. Anticipato di qualche mese da un EP omonimo, Blodsvept non è brutto e nemmeno suonato male, intendiamoci; però assai poco ispirato, a tratti pare composto di fretta e manca un po’ la freschezza a cui avevo fatto la bocca. La stessa band lo definisce un disco più orientato verso il rock o il punk che il folk, parlando di sonorità e soluzioni compositive; si tratta inoltre del primo album in assoluto in cui non è presente alcuna intro separata. Sigh.
Negli anni successivi alla sua uscita, i Finntroll suonarono in giro meno del solito, a parte concerti di promozione di Blodsvept stesso e il tour di Nattfödd nel 2014, e notizie di un disco nuovo non se ne sono avute, a parte l’album live ad Amsterdam Natten Med De Levande Finntroll. Una manciata di canzoni per il disco successivo erano già state buttate giù da Tundra nei primi mesi del 2015, ma non fu rilasciata nessuna anteprima di alcun tipo. Eravamo stati abituati a un album ogni due, massimo tre anni, invece qui il tempo è passato e nulla è mosso. Notizie ufficiali sul perché del ritardo nella composizione dell’erede di Blodsvept non ce ne sono, è possibile che si trattasse semplicemente di mancanza di sufficiente ispirazione. Routa ha dichiarato di non avere intenzione di scrivere un album che suonasse esattamente come i precedenti e che la maggior parte del lavoro compositivo nei Finntroll accade per caso, senza pianificazioni pregresse.
Ho temuto per tanto, tanto tempo che la band stesse definitivamente per sciogliersi, soprattutto per via dell’impegno di Vreth con i Dispyt — di cui si parla anche nel documentario Jag Måste Srkika / Pakko Huutaa* (ovvero Devo urlare), in cui Vreth viene intervistato insieme ad altri artisti a proposito delle tecniche di canto estremo e della scena metal in generale, così amata e diffusa in Finlandia — e i Magenta Harvest, per non parlare del recente (ottimo) lavoro degli …And Oceans. Per annegare l’ansia ho cercato di capire il senso profondo di Blodsvept, ammesso che ne avesse uno — parliamo pur sempre di musica da troll — e, con mia enorme sorpresa, l’ho rivalutato.
Parliamoci chiaro, siamo sempre un gradino sotto tutto il resto, ma ho avuto modo di appurare che in toto è un disco gradevole, in particolar modo “Skogsdotter” ed “Ett Folk Förbannat”. Torna il tema delle battaglie nei boschi e dei giganti, facendo un passo indietro rispetto all’interesse per i miti nordici mostrato in Nifelvind e quello per antichi riti sciamanici in Ur Jordens Djup. Nell’ottobre 2019, i Finntroll sono stati tra le band che hanno avuto modo di suonare l’ultimo concerto al leggendario Nosturi di Helsinki prima che venisse demolito, e sono stata sufficientemente fortunata da potervi assistere per constatare che, dal vivo, Blodsvept in effetti guadagna diversi punti.
La storia dei troll finlandesi è lunga, anche se non particolarmente travagliata, e ora, dopo sette anni, tra poco meno di due mesi potremo mettere le mani sull’attesissimo, almeno da me, disco numero sette, di cui troviamo una minuscola anteprima studio e il cui mixing è stato eseguito rispettando le regole di distanziamento fisico che la penisola italiana, più di altri Paesi, conosce molto bene. Cosa ci riserverà non è dato saperlo, quando passano tanti anni i rischi di scivoloni sono concreti. Devo dire però che ascoltando il nuovo, eccellente …And Oceans ho captato qualche tastierina molto Finntroll qua e là, per cui se per par condicio un minimo della qualità di Cosmic World Mother verrà importata su Vredesvävd direi che possiamo aspettarci belle cose o almeno, potremmo. Stando alle parole di Vreth si tratterà di un ritorno alle sonorità degli anni Novanta, e in effetti a giudicare dal modo spudorato con cui il primo singolo “Ormfolk” pesca a piene mani da Jaktens Tid (in particolare dalle sezioni ritmiche e dalle strutture della title track e di “Skogens Hämnd”), che ancora rientrerebbe nella categoria in quanto pubblicato appena nel 2001, direi che la strada è proprio quella.
Avete avuto sette anni di tempo e siete pure stati inclusi nel libro sui “Big Five Of Folk” da Markus Laakso, fate i bravi.
Rot ‘n troll!
*Il documentario è visibile al di fuori della Finlandia, ma al momento non sono disponibili sottotitoli in inglese, per cui — se avete tempo e fiducia in Google Translate — questo articolo lo sintetizza più o meno nella sua interezza.