TOM G. WARRIOR – L’infausta parabola degli Hellhammer (pt. I)
Questa è la prima parte della monografia dedicata a Tom G. Warrior, che include anche le sezioni su Celtic Frost e Triptykon.
Nel mondo della musica estrema può capitare di trovarsi di fronte a figure quasi mitologiche per interi generi, capaci di influenzare diverse generazioni di musicisti e di mantenere un livello qualitativo pressoché immutato nell’arco di più di trent’anni. Un esempio è Tom G. Warrior, all’anagrafe Thomas Gabriel Fischer, mente dietro la triade malefica composta da Hellhammer, Celtic Frost e Triptykon.
Una figura sommessa, lontana dai riflettori, che ha rappresentato uno dei punti di partenza imprescindibili per una miriade di band black, death e affini. All’alba di un 2019 quanto mai pieno di impegni per l’artista svizzero, ripercorriamo gli alti e i bassi della sua vita e della sua carriera.
UN’INFANZIA DIFFICILE
Una gioventù turbolenta, costellata da problemi e disagi, è un tratto comune a molti tra coloro che si sono ritrovati ad approcciare in qualche modo la musica pesante. Nel villaggio svizzero di Nürensdorf, tuttavia, la situazione del piccolo Thomas è una di quelle che si stenta a immaginare: la separazione dei genitori in tenera età costringe il ragazzo a dividersi tra le (poche) visite al padre, proprietario di un’officina, e la difficile vita con la madre, spesso fuori casa per lunghi periodi in quanto impegnata a sbarcare il lunario, trafficando orologi in Africa. A tutto ciò aggiungiamo le precarie condizioni igieniche in cui versa la vecchia casa in cui abita Thomas, popolata da un numero inusitato di gatti, con tutta la sporcizia annessa e connessa. Non è una sorpresa, quindi, che il futuro signore degli UGH! fosse la barzelletta del villaggio e si adoperasse per trovare quanto prima qualcuno con cui condividere una valvola di sfogo. Il 1981 segna così la nascita dei Grave Hill, gruppo giovanile dedito all’emulazione della NWOBHM che catalizza l’incontro tra Tom e il suo primo, vero compagno di merende, Steve “Savage Damage” Warrior (al secolo Urs Sprenger).

La classica folgorazione sulla via di Damasco, per l’adolescente svizzero, corrisponde alla visita presso il celebre HMV di Oxford Street, a Londra: Fischer rimane impressionato dal vasto assortimento di dischi e cassette, ma soprattutto dall’iconico In League With Satan / Live Like An Angel, EP di debutto di un allora giovane trio che forse avrete sentito nominare, i Venom. Il ritorno al villaggio natale in compagnia di questa nuova ossessione, tuttavia, non è proprio idilliaco: il desiderio di Fischer e Sprenger di virare verso sonorità più aggressive non è condiviso dal resto dei Grave Hill, che tra una prova e l’altra in un bunker antiatomico si ritrovano a perdere pezzi per strada, fino alla decisione definitiva di ricominciare da capo come Hammerhead. Questo trio dal nome opinabile si trasformerà ben presto negli Hellhammer, una band che diventerà un’influenza fondamentale per molti gruppi a venire e in tutti gli aspetti possibili: suoni, estetica e perfino i nomi.
IL MARTELLO DELL’INFERNO
La nuova creatura, nonostante la consapevolezza dei propri scarsi mezzi, dà a Tom e compagni un motivo per cui vivere: stabilizzata la line-up nel 1982, con i due fratelli Tom e Steve Warrior più il batterista Jörg Neubart (noto con lo pseudonimo più anglofono Bruce Day), i tre reietti iniziano a comporre, noncuranti della pessima considerazione di cui godono a Zurigo e dintorni. Il loro primissimo demo, scaturito da una sessione di registrazioni dalla quale il fonico non vedeva l’ora di scappare, è Death Fiend (1983): le nove tracce incluse nella musicassetta, rilasciata tramite la neonata Prowlin’ Death Records, sono quanto di più grezzo si possa immaginare e le tematiche sono figlie dei tempi (e dell’attitudine dei tre ragazzi), come intuibile da titoli quali “Bloody Pussies” e “Ready For Slaughter”. Profondamente insoddisfatti del risultato, Tom e soci decidono di riorganizzare il materiale: appena un mese dopo vede la luce Triumph Of Death, la prima e seminale uscita più o meno ufficiale degli Hellhammer.

Triumph Of Death riesce a godere di una discreta promozione, grazie ai numerosi contatti tipici dell’era dello scambio di cassette e fanzine. Come prevedibile, le reazioni al demo sono miste: alcune lodano l’estremismo sonoro che spinge ancora più in là i confini segnati da gente come Venom et similia, ma molte altre non vanno per il sottile. Emblematica è la recensione della rivista britannica Metal Forces: «… le capacità musicali e la produzione di questo demo intitolato Triumph Of Death sono parecchio al di sotto dello zero», più altre frasi decisamente poco lusinghiere. Tuttavia, la cattiva pubblicità è pur sempre pubblicità: le parole di Bernard Doe, così come l’inclusione del demo nelle classifiche dei suoi colleghi, hanno un’eco fortissima. Le poche copie rimaste di Triumph Of Death terminano in un battito di ciglia e, udite udite, i ragazzi vengono contattati dalla neonata Noise Records che propone loro un contratto, a patto di onorare le ambiziose dichiarazioni presenti su volantini e quant’altro.
UN INCONTRO PROVVIDENZIALE
Nel frattempo, altri due ragazzi di nome Martin Eric Ain e Stephen Priestly, iniziano a gravitare intorno agli Hellhammer, affascinati dall’attitudine e dalla musica proposta. Fanno a gara a chi dei due risulta più figo agli occhi di Tom e compagni (il che la dice lunga) e, insieme negli Schizo, si ripromettono di superare i primi in termini di estremismo sonoro e visivo. In realtà tutto ciò non succede e gli Schizo scompaiono poco dopo, ma Martin rimane nell’orbita di Tom e degli Hellhammer in veste manageriale e non solo: i due trovano una grande sintonia e le nuove composizioni risentono fortemente della cultura e della passione di Martin per l’occulto.
Con l’avvicinarsi della scadenza per il nuovo demo, Satanic Rites (1983), Steve Warrior viene licenziato dalla band per via del crescente disinteresse nei confronti della musica e pure Bruce Day decide di mollare la baracca dopo breve tempo. Superati diversi cambi di formazione e con il panico a fare da sfondo, la situazione si risolve con il momentaneo ritorno di Day e l’entrata di Priestly (a suo agio con più o meno tutti gli strumenti) al basso: con questi compagni e colmo di speranze, Fischer si dirige quindi in Germania per registrare l’agognato disco, salvo poi venire a sapere dello scherzone di Priestly, che gli tira un pacco gigantesco per andare a fare la spesa con sua mamma. Le registrazioni, con Tom ad abbozzare delle parti di basso molto primitive, vanno comunque bene e Satanic Rites si rivela sì ancora acerbo, ma comunque di qualità indiscutibilmente superiore a quanto fatto finora. Non solo: Noise Records offre agli increduli ragazzi un contrattone per ben cinque album e, con la ferita ancora fresca per la faccenda Priestly, Martin Eric Ain entra ufficialmente nel gruppo come bassista; una collaborazione che segnerà la sua vita e quella di Fischer fino ai tempi più recenti.

Il tanto agognato EP, frutto dell’altrettanto prezioso accordo internazionale con Noise, prende forma presso uno studio di bassa lega a Berlino Ovest: per questioni anagrafiche il contratto è sottoscritto anche dai genitori di Martin e Bruce Day e, come intuibile, è una vera e propria fregatura per i tre musicisti che, nella loro totale ingenuità ed euforia, cedono i diritti su qualsiasi cosa esca dai loro strumenti e dalle loro penne. Apocalyptic Raids (1984) conterrà alla fine quattro tracce (sei nella ristampa del 1990, che include due pezzi registrati per la compilation Death Metal): i Nostri si ritrovano a sperimentare ancora di più con il male, rendendosi conto che da lentezza deriva pesantezza, con “Triumph Of Death” che passa dai cinque minuti originali agli oltre nove presenti su quest’ultimo lavoro.
L’euforia dura tuttavia ben poco. Al ritorno in Svizzera, tutti — ma proprio tutti — iniziano ad avere il voltastomaco ascoltando l’EP: la Noise Records, senza mezze parole, taglia ogni possibilità di lavori futuri se la qualità continuerà a essere pessima e anche la stampa è sempre più impietosa, con la solita Metal Forces che si supera e dà ad Apocalyptic Raids un voto di 1/10. La band riesce a finire su Kerrang!, ai tempi la massima ambizione per qualsiasi musicista, ma lo fa nella maniera più sbagliata possibile: «Vorrei correggere una mia precedente dichiarazione riguardo al peggior disco che abbia mai ascoltato. Senza ombra di dubbio, è questo qui.». Come al solito, questo mix di recensioni estremamente negative e altre un po’ più brillanti genera un gran chiacchiericcio intorno al nome Hellhammer, ma ormai la corda è logora e — con l’abbandono definitivo del loro batterista — Tom Warrior e Martin Eric Ain decidono di averne abbastanza.
DISGUSTO E RISCATTO
La crescente frustrazione legata alla perenne instabilità della formazione e alle recensioni negative, adesso sempre più diffuse, mette quindi alle corde Tom e Martin: i due ragazzi affrontano ancora una volta la questione di petto e si rinchiudono in casa pronti a buttar giù ogni singolo aspetto che riguarderà la loro nuova entità, la quale dovrà distinguersi il più possibile dall’abominio che ha appena cessato di esistere. Questo sentimento di disgusto e il comparto visivo-lirico sviluppato da Martin Eric Ain saranno le fondamenta dei Celtic Frost, nati all’alba del giugno 1984, appena due anni dopo la formazione del primo, seminale progetto.
L’eredità degli Hellhammer, probabilmente in seguito a un netto cambio di prospettiva da parte del loro creatore, verrà onorata nel ventunesimo secolo con diverse iniziative (la compilation Demon Entrails, il singolo inedito “Blood Insanity” e il tour dei Tom Gabriel Warrior’s Triumph Of Death), ma è innegabile come già 35 anni fa questo ignobile trio stesse plasmando le menti di molti dei protagonisti della scena estrema a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta.
Tom G. Warrior si esibirà con i Triumph Of Death al Brutal Assault 2019