I migliori album black metal del 2022 | Aristocrazia Webzine

I migliori album black metal del 2022

Il 2022 è finito: lunga vita al 2022. Non l’avremmo mai detto per com’era iniziato, ma nel corso dei mesi, almeno musicalmente, ha saputo riscattarsi, tirando fuori tantissimi dischi di qualità e accompagnandoci attraverso un post-pandemia, un conflitto in est Europa (ancora in corso) e una vagonata di altri avvenimenti più o meno buoni. Come sempre, una serie di premesse prima di passare alla ciccia.

Anche quest’anno i nostri listoni non sono esaustivi perché, per quanto ci proviamo, non è possibile fisicamente monitorare tutto ciò che esce. Ci siamo persi qualcosa di grosso per strada? Faccelo sapere: ti odieremo a morte perché ci farai spendere il resto della nostra tredicesima in dischi che non sapremo dove mettere. Anche quest’anno i listoni sono stati votati a maggioranza e quindi provano a dare una visione di insieme dei gusti della redazione più che di un singolo collaboratore. E, per ribadire l’ovvio, anche stavolta i titoli che leggerai sono presenti per un motivo e uno soltanto: perché piacciono a noi. Non sei d’accordo? Bene così.


Moonlight Sorcery – Piercing Through The Frozen Eternity

(Avantgarde Music, 17 febbraio)

Fra le rivelazioni underground del 2022 spiccano sicuramente i Moonlight Sorcery, trio finnico esordiente che ha riscosso consensi pressoché unanimi con il breve ep Piercing Through The Frozen Eternity, tanto da guadagnarsi un accordo con Avantgarde Music e mettere in cantiere una seconda opera per gennaio 2023.

Superata l’intro dal sapore Summoning (“Untenkutoja”) e l’incipit di “For Thy Light Is Ice” che sembra partorito dalle tastiere di Tuomas Holopainen, la ventina di minuti di Piercing Through The Frozen Eternity conquista col suo black metal melodico dai toni epici, dove le chitarre risentono di influenze heavy, colpa del chitarrista-tastierista Loitsumestari Taikakallo e del suo amore per le sonorità classiche; il tutto poi è arricchito da assoloni di impronta Children Of Bodom. L’atmosfera nostalgica che si respira all’interno dell’ep è davvero accattivante e il gelo emanato da note, copertina e testi è in grado di irretire e graffiare al tempo stesso. Non è possibile parlare di innovazione, tuttavia la passione che trasuda dalle cinque tracce è palpabile ed è bello emozionarsi in ricordo dei vecchi tempi ma con un tocco personale extra black metal.


Tome Of The Unreplenished – Earthbound

(Avantgarde Music / Xenoglossy Productions, 8 aprile)

Dopo l’avventura inglese, il mastermind Hermes è tornato nella sua Cipro e ha arricchito di nuovi elementi la formazione dei Tome Of The Unreplenished, dando vita così, dopo ben sette anni dal primo disco, a un nuovo album dal titolo Earthbound. Sin dal primo ascolto possiamo apprezzare lo spessore compositivo e lirico della band cipriota, che ci regala sei tracce di black metal atmosferico assolutamente coerenti e complementari fra loro.

I brani si susseguono in un flusso continuo quasi a ricalcare le tematiche affrontate dai testi, che descrivono il continuo percorso di trascendenza dell’essere umano che finisce per confondersi e perdersi nella Natura. Ottimi gli inserti folk e meritevole la produzione, che riesce a mettere in risalto ogni strumento pur senza risultare patinata. Per tutti questi motivi si può tranquillamente affermare che Earthbound sia uno dei migliori dischi black metal dell’anno, a mani basse.


Blut Aus Nord – Disharmonium: Undreamable Abysses

(Debemur Morti Productions, 20 maggio)

I Blut Aus Nord ci hanno ormai abituato molto bene a soluzioni sonore imprevedibili e dissonanti, ma in Disharmonium – Undreamable Abysses è impossbile non notare il bonus dell’elemento horror, che più che raccontare di mutilazioni e sofferenze fisiche si concentra su un mondo popolato di creature che spingono alla follia i poveri malcapitati che hanno la sfortuna di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Il disco ci prende per mano e ci porta in luoghi spaventosi, spesso a cavallo tra più dimensioni, in cui dominano creature credute dimenticate, streghe, antiche entità sepolte, il tutto incorniciato da accordi privi di continuità e atmosfere da brivido.

Le disarmonie che fanno da sfondo a questi paesaggi mentali farciti di oscurità non fanno che acuire la sensazione da brivido partorita da riff farciti di riverberi, ai quali si affiancano un tappeto di suoni vocali gutturali e primordiali e una batteria fuori da ogni controllo. Disharmonium – Undreamable Abysses è un lavoro che si propone di scavare nelle paure più viscerali dell’essere umano, in quell’oscuro e ignoto abisso che tutti, chi più chi meno, temiamo, e renderlo tangibile e più vicino che mai: obiettivo centrato in pieno, inutile anche specificarlo.


Doldrum – The Knocking, or the Story of the Sound That Preceded Their Disappearance

(Katafalque, 27 maggio)

I Doldrum arrivano dal Colorado, perlomeno ufficialmente, e l’immaginario che presentano con la loro musica è in perfetta sintonia con le loro origini geografiche. Il mondo del sottosuolo, dell’esplorazione mineraria, la ricerca di un contatto primitivo e filosofico con la terra: sono le sfaccettature dell’indagine occulta portata avanti con The Knocking, Or The Story Of The Sound That Preceded Their Disappearance, primo album del trio di Denver in cui figurano membri di Gallows ed Erraunt.

Ascoltando The Knocking… la mente corre proprio a The Portent, l’unica pubblicazione firmata Erraunt, e al suo bagaglio di folklore nero americano raccontato attraverso il filtro del black metal. I Doldrum raramente si avventurano troppo lontani dai mid-tempo, e basano il loro vagabondare sotto terra su un’equilibrata miscela di dissonanze e armonizzazioni. Il concept è affascinante, i testi sono pure meglio e la voce cangiante di Rat Deveaux ci accompagna con tutte le sfumature possibili in un viaggio alle radici delle montagne. E poi, quando un batterista decide di chiamarsi come uno storico minatore e prospettore americano — The Terrific Don McKinnon, manco fossimo a Wrestlemania — non puoi che dargli fiducia.


Spider God – Fly In The Trap

(Repose Records, 11 novembre)

Dopo una serie di EP, qualche split e un album di cover di canzoni pop famose rivisitate in chiave black metal, Fly In The Trap rappresenta il primo, vero disco dei britannici Spider God. Un album certamente originale per le tematiche trattate, pescando a piene mani dal true crime e nello specifico dal misterioso caso della morte di Elisa Lam, studentessa sino-canadese scomparsa nel 2013 in circostanze non completamente chiarite. Quello che però attira ancora di più l’attenzione è l’approccio iper-melodico degli Spider God, che disegnano melodie epiche e trionfali che sfiorano soluzioni post-black, in grado di stamparsi facilmente nella mente rendendo così l’ascolto molto più scorrevole rispetto a tanti altri album dello stesso filone. Un bel salto in avanti a confronto dei lavori precedenti, dove emergeva più marcatamente la vena raw degli inglesi, qui ormai abbandonata.


Véhémence – Ordalies

(Antiq Records, 8 marzo)

Quando si parla di medieval black metal la Francia finisce inevitabilmente per fare la parte del leone, grazie a una nutrita schiera di formazioni che tengono alto lo stendardo del filone. Fra queste ci sono i Véhémence, che riescono a bissare e superare l’ottima performance ottenuta con il precedente Par Le Sang Versè (2019) grazie a Ordalies.

Gli otto brani che compongono l’album sono un continuo alternarsi di furia black metal a base di tremolo e batteria implacabile, melodie a dir poco coinvolgenti, pennellate epiche e atmosfere medievaleggianti realizzate con l’ausilio di un vasto assortimento di strumenti tradizionali. Il risultato è un’ora di ottima musica racchiusa in un’opera che, nonostante il minutaggio impegnativo dei singoli brani, non solo non stanca ma è anche in grado di rapire l’ascoltatore per portarlo indietro nei secoli con l’immaginazione. Ordalies è un disco che meriterebbe di vedersi assegnato un feudo.


White Ward – False Light

(Debemur Morti Productions, 17 giugno)

C’è poco da fare: i White Ward sono una delle più personali e ispirate nuove interpretazioni del black metal. In parte blackgaze, in parte atmospheric black metal, con quegli inserti di sassofono che trasformano tutto in qualcosa di diverso e affascinante, al traguardo del terzo album il gruppo di Odessa non è più una novità, ma è bello vedere la forza con cui si conferma. A dispetto di una copertina che grida abbandono e spazi aperti, False Light è se possibile ancora più urbano del precedente Love Exchange Failure, e come il suo predecessore racconta di quanto la vita di una grande città possa essere alienante e dolorosa, di come il cemento possa intrappolare l’anima e non lasciarle via di uscita.

La malinconia e il senso di abbandono sono le note più evidenti di False Light, che si prende lunghe pause dalla violenza del black metal per lasciare spazio al sax e all’intimità che il legno porta con sé, e in questo senso, la copertina dell’album è perfetta per raccontare l’ampiezza e la desolazione dipinte dagli ucraini. In questi tempi incerti, l’interesse del metal estremo per la vita nelle città è indicativo, e i White Ward condividono la propria indagine con gli Ashenspire, un’altra band che quest’anno si è resa autrice di un capolavoro, anche se filtrando l’argomento secondo una sensibilità profondamente diversa. E poi siamo seri, il sax è lo strumento metal più sottovalutato di sempre, se n’erano accorti anche gli Anubi.


Falls Of Rauros – Key To A Vanishing Future

(Eisenwald, 25 marzo)

Vera e propria istituzione in campo black metal atmosferico, i Falls Of Rauros giungono al settimo album con Key To A Vanishing Future, dopo tre anni dal precedente. Il suono del quartetto americano continua a mutare e a evolversi, conferendo un carattere unico a ogni disco pur mantenendo una visione di insieme coerente. Le composizioni di Key To A Vanishing Future si avvicinano spesso a territori progressive, con diversi cambi di tonalità e di tempo, assoli di chitarra e raffinati arpeggi.

L’impasto sonoro risulta sfuggente, impalpabile e a tratti indefinibile, caratteristiche che troviamo anche negli articolati testi che trattano dell’esistenza umana, ponendosi infinite domande a cui è difficile, se non impossibile, rispondere. La produzione, affidata all’irreprensibile Colin Marston, mette in risalto tutte le prodezze tecniche e compositive delle quali il quartetto è capace, contribuendo a dare vita a un album complesso e riflessivo.


Gudsforladt – Friendship, Love And War

(Night Of The Palemoon, 9 settembre)

Passata la sbornia blackgaze e atmosferica, sono arrivati — o forse tornati — gli anni del raw black metal. Departure Chandelier, Lamp Of Murmuur, Këkht Aräkh, non parliamo certo di roba ruvida come il primo Ildjarn, ma è tutta gente che registra nel sottoscala e si impegna tantissimo per suonare più scarna, fredda e asciutta che mai. Gudsforladt è una one man band di stanza in California che si inserisce perfettamente in questo contesto, aggiungendo degli spunti melodici molto azzeccati e un retrogusto synth che oggi è la guarnizione perfetta un po’ per tutto.

Friendship, Love And War arriva dopo qualche anno di aggiustamento e segna un netto distacco dall’album di debutto del 2016 Guilt, con una progressiva maturazione anche rispetto ai successivi EP. La scrittura del misterioso DM è oggi molto più variegata e interessante, in grado di sorprendere anche i più smaliziati, e nonostante l’approccio assolutamente purista e lo-fi la sua musica riesce a convogliare idee anche molto diverse tra loro con grande naturalezza. Dalla sfuriata con riffone di supporto, a momenti più intimisti in cui sono le linee di synth a essere esaltate, a veri e propri assoloni heavy di deriva maideniana, Friendship… è uno sforzo insospettabilmente vario. Non bisogna lasciarsi ingannare dal sole californiano e dal prato fiorito in copertina, il nuovo album di Gudsforladt è una delle uscite più true pubblicate quest’anno.


Krallice – Crystalline Exhaustion

(Autoprodotto, 28 gennaio)

Quest’anno i Krallice sono stati capaci di tirare fuori non uno ma due dischi: Crystalline Exhaustion verso la fine di gennaio (uscito poi a marzo in CD e cassetta per P2) e Psychagogue nemmeno sei mesi dopo. Già dalla sua pubblicazione, però, il primo si è candidato a un posto tra i migliori album del 2022, inutile mentirci. Al taglio del traguardo dei quindici anni di vita, gli americani sono arrivati in gran forma, altro che in un esaurimento cristallino, come dimostrano questi cinquanta minuti.

Le atmosfere sono dense, stratificate e sognanti sin dall’apripista “Frost” e la tensione resta alta fino alle ultime battute dell’eponima “Crystalline Exhaustion”, bestione di quasi un quarto d’ora che scende liscio come un ottimo assenzio. Allucinati al punto giusto, i Krallice alternano blast beat e distensioni ritmiche con una raffinata sapienza, dosando le loro pianole dal sapore cosmico e gli avanguardismi più dissonanti, in favore di un songwriting quasi logico. Sferzanti al punto giusto (“Telos”) e melodici senza mai volgere all’eccesso (“Archlights”), i quattro di New York hanno fatto veramente centro. Chiudere l’anno dando il giusto peso alla gemma Crystalline Exhaustion è inevitabilmente doveroso.