I migliori album (quasi) non metal del 2021
Anche il 2021 si è concluso, e come ogni anno è d’obbligo divertirsi a tirare le somme di cosa ci è piaciuto di più nel d’obbligo. La prima è che nemmeno quest’anno siamo riusciti ad ascoltare tutto, quindi quelle che vedrete sono scelte che per noi valgono oggi, al netto di ciò che conosciamo e apprezziamo nel momento in cui la lista viene redatta, e potrebbero essere differenti tra sei mesi o un anno. La seconda precisazione è che queste liste sono il risultato dei voti a maggioranza espressi della redazione, non riflettono in particolare le preferenze di un singolo redattore, ma cercano di essere una visione d’insieme. La terza e ultima, per quanto speriamo superflua, è che le nostre scelte si basano solo e soltanto sul nostro gusto personale, e sono assolutamente opinabili.
A.A. Williams – Songs From Isolation
(Bella Union)
Darsi alle registrazioni casalinghe è stata una delle valvole di sfogo più gettonate in questi due anni di lockdown e concerti ridotti all’osso. A.A. Williams, nel marzo 2020, ha sfruttato l’occasione per entrare più in contatto con i propri ascoltatori: Songs From Isolation è nato come una serie di cover su richiesta, cantate e suonate da lei al pianoforte in una veste estremamente minimale.
Ne è nato un intreccio tra gli artisti fondamentali per la formazione della cantautrice e i gusti dei suoi fan: ad alcuni brani che definire classici sarebbe riduttivo (“Lovesong” dei The Cure o “Creep” dei Radiohead) se ne alternano così altri un po’ più di nicchia (“Be Quiet And Drive” dei Deftones oppure l’azzecatissimo “Every Day Is Exactly The Same” dei Nine Inch Nails), a volte perfettamente riconoscibili, altre piuttosto stravolti. In un qualsiasi altro contesto storico, un disco del genere sarebbe stato un passatempo o poco più: a cavallo tra il 2020 e il 2021, è la perfetta fotografia di un mondo fermo e, appunto, isolato.
Emma Ruth Rundle – Engine Of Hell
(Sargent House)
Chi si immaginava che il nuovo disco di Emma Ruth Rundle avrebbe seguito le orme del roboante On Dark Horses deve essersi beccato una bella doccia fredda con Engine Of Hell. La cantautrice statunitense si è messa completamente a nudo, a partire dalle interviste promozionali: vent’anni di (ab)uso di sostanze e vita rock’n’roll hanno presentato il conto, specie nell’ultimo periodo in cui l’abisso delle dipendenze l’ha spinta a un divorzio e un ricovero psichiatrico.
Engine Of Hell è solo un tassello di una riscoperta di sé a tutto tondo, il classico disco della rinascita, crudo e imperfetto: registrato in Galles, in condizioni di isolamento dettate dalla pandemia ma non solo, in gran parte in presa diretta con pianoforte e chitarra e senza filtri nel messaggio di cui si fa veicolo. Un lavoro difficile da approcciare per il suo estremo minimalismo e per questo meno di impatto dei precedenti dischi di Rundle, ma che colpisce come un macigno una volta superato lo strato superficiale.
Empyrium – Über Den Sternen
(Prophecy Productions)
Se con The Turn Of The Tides, almeno per quanto ci riguarda, gli Empyrium non avevano tenuto testa al clamore generato dal loro ritorno sulle scene, con Über Den Sternen la musica è cambiata per davvero. Gli Empyrium sono sempre gli Empyrium, ma questa volta il tempo ha fatto il suo dovere, come col vino buono, restituendoci brani carichi di ispirazione e pervasi dalle atmosfere mitteleuropee che hanno fatto grandi i tedeschi.
Indicativo di un ritrovato desiderio di fare le cose alla loro maniera c’è la ricomparsa di Nadine Mölter al flauto, la cui ultima apparizione con Schwadorf e Helm risale nientemeno che a Weiland. In Über Den Sternen tutto è curato nei dettagli, è un disco lento e ha bisogno di tempo per sprigionare la magia di cui è intriso. Ci sono i momenti folk così come ci sono quelli più lirici (occhio ad “A Lucid Tower Beckons On The Hills Afar”), inseriti in una cornice metal ancora capace di graffiare. La conclusiva title track, letteralmente da brividi, vale da sola l’ascolto dell’album, e fa capire la qualità e la padronanza musicale di cui sono capaci questi signori.
ISON – Aurora
(Avantgarde Music)
Intensa, profondissima e articolata è l’esperienza che il nostro Daniel Änghede ci ha portato quest’anno con Aurora, sempre per Avantgarde Music. Come in un abbraccio disperato, l’avvolgimento lento di suoni melanconici ci trasporta in un mare nero e apparentemente calmo, di sensazioni tristi ma piacevoli allo stesso tempo. Un naufrago che galleggia a stento, completamente alla mercé del destino, solo e perso.
Attraversando atmosfere e suoni fedeli al suo stile darkwave, ISON metabolizza gli eventi traumatici degli ultimi due anni con l’aiuto di importanti ospiti quali: Cammie Gilbert, Sylvaine e Tara Vanflower. Un’epopea di più di un’ora, così intima da arrivare chiara e netta alla sfera emotiva dell’ascoltatore, a patto che si affronti senza fretta. Un viaggio introspettivo e spirituale, proteso verso una consapevolezza cosmica, così totale da lasciare senza parole.
Kælan Mikla – Undir Köldum Norðurljósum
(Artoffact Records)
Sotto la fredda aurora boreale: non potrebbe esserci titolo più azzeccato per il disco della maturità definitiva delle Kælan Mikla, trio islandese che muovendosi nel sottobosco underground sta conoscendo un’ascesa notevole da sei anni a questa parte. Messa sempre più in disparte la rabbia di fondo che caratterizzava i dischi precedenti, le tre ragazze continuano a cesellare la loro personalità.
Undir Köldum Norðurljósum spazia dal post-punk col basso carico a palla fino a elementi del folklore islandese, dalla darkwave ricca di elettronica a episodi onirici come la bella “Óskasteinar”, senza più l’urgenza di una volta, anzi con molta delicatezza e un certo buon gusto nella composizione. “Hvítir Sandar” merita un discorso a parte: una collaborazione extralusso con gli Alcest, in cui Neige e Winterhalter sono stati evidentemente molto più che ospiti d’eccezione, visto il piglio molto più shoegaze di questo singolone da sfondamento che, buon per tutti noi, non mette in ombra il resto del disco.
Lingua Ignota – Sinner Get Ready
(Melancholic Realm Productions)
Lingua Ignota, la creatura di Kristin Hayter, non è nuova in redazione, abbiamo avuto modo di apprezzarla e toccare con mano il talento e, purtroppo, anche le tragedie personali della giovane americana più e più volte. Sinner Get Ready si veste di fanatismo religioso e atmosfere ecclesiastiche, solenni e mistiche senza per questo che la voce si appiattisca in alcun modo: a volte ruvida come carta vetrata, altre quasi sussurrata, altre ancora piena e potente come un fiume durante una tempesta.
Il disco ruota intorno al fondamentalismo religioso proprio dei centri più rurali della Pennsylvania, che spesso è seguito come un’ombra da un’ignoranza di fondo che si traduce in pregiudizi e modi di ragionare di pancia. Il sinner diventa colui che non si adegua a queste dinamiche e che cerca di rifuggirle, andando probabilmente incontro alla dannazione. Lingua Ignota è riuscita a sfornare un lavoro ricco di folklore e tradizioni atipico, sorprendente, che nessuno si aspettava e che tuttavia non può e non deve passare inosservato. Bastano il coro iniziale di “The Order Of Spiritual Virgins” e i suoi suoni asfissianti e falsamente dolci per farci passare dalla parte del peccatore, ed ecco che bruciare all’Inferno diventa una prospettiva allettante. Non che non fossimo tutti condannati fin dall’inizio.
Lycia – Casa Luna
(Avantgarde Music)
I Lycia approdano su Avantgarde Music e lo fanno in punta di piedi e nel modo migliore, con un EP nato originariamente come singolo e poi sviluppatosi in maniera del tutto inaspettata, pieno di vita e di piccoli dettagli che certificano l’ottimo stato di salute dei pionieri della darkwave, nonostante siano nel pieno del quarto decennio di carriera. Dopo il già ottimo In Flickers del 2018, Mike VanPortfleet, Tara VanFlower e John Fair continuano a stupire con soluzioni variegate, tra echi di flamenco, bolle ambient e operazioni speleologiche, andando addirittura a ripescare vecchi giri di synth risalenti al primo periodo di collaborazione tra Fair e MVP, tirati a lucido e allo stesso tempo ancora freschissimi.
Sfido chiunque, sedicente appassionato di suoni oscuri e goth, a non crogiolarsi nei beat sintetici di “Except” e soprattutto di “Galatea”, che sembrano riportare la band di Tempe agli anni di Ionia e A Day In The Stark Corner con una naturalezza tale da illudere che gli anni non siano mai trascorsi. E invece gli anni sono passati, e pure tanti, e i Lycia hanno fatto tante cose, hanno sperimentato con suoni diversi nei primi Duemila, si sono allontanati dal mondo per un decennio, e poi sono tornati alle proprie radici con la stessa voglia, la stessa curiosità di un tempo. Casa Luna certifica tutto questo e regala grandi aspettative per qualunque cosa verrà dopo.
:Of The Wand & The Moon: – Your Love Can’t Hold This Wreath Of Sorrow
(Heiðrunar Myrkrunar)
Sono passati più di vent’anni da quando un giovanissimo Kim Larsen, fresco dell’esperienza doomica coi suoni connazionali Saturnus, ha appeso il metal estremo al chiodo per darsi alle esplorazioni neofolcloristiche. Due decenni durante i quali l’artista danese si è aggirato per mondi oscuri e fumosi, traendone ispirazione tanto al limite della dark ambient quanto della musica sperimentale. La spirale evolutiva degli :Of The Wand & The Moon:, nel 2021, si condensa in Your Love Can’t Hold This Wreath Of Sorrow: un titolone imponente che strizza un po’ l’occhio ai Death In June, un po’ come ammicca alla produzione della creatura di Douglas P. la stessa musica contenuta nel disco.
I tempi delle grandi discese nell’oscurità boschiva sono belli che andati, ma il malessere e l’amarezza di fondo persistono nell’animo di Kim Larsen e questo è palpabile in brani come la title track, “Les Journées Sans Fin Et Les Nuits Solitaires” o la conclusiva “Barbs Of Time”, che rispolvera senza appesantimenti o forzature la passione viscerale del danese per i tardi anni ’80 più ritmati e gotici. La forza di Your Love Can’t Hold This Wreath Of Sorrow, però, sta nella sua accessibilità. Puoi vivere l’ultimo disco firmato :Of The Wand & The Moon: tanto da una prospettiva intimista e introspettiva quanto ascoltandolo a cuor leggero, come faresti con la musica che passa in radio, se solo ti piacesse. Fidati, There’s Something For You Here.
Perturbator – Lustful Sacraments
(Blood Music)
Se avessero girato Il Corvo ai giorni nostri, probabilmente l’ultima fatica di James Perturbator Kent avrebbe costituito una valida fonte per estrapolare la colonna sonora di questo filmone. Lustful Sacraments, infatti, ci proietta fin da subito in atmosfere ottanta-novantiane tra ombre e grattacieli di una metropoli tentacolare, fredda e tutt’altro che accogliente.
Per ottenere questo effetto, Perturbator si avvale di synth metallici, ritmi asettici e linee vocali che nulla hanno da invidiare a mostri sacri come Sisters Of Mercy e Bauhaus; in molti casi fornite dagli ospiti che hanno collaborato al disco, come True Body e Hangman’s Chair. Merita un plauso anche l’artwork, che allo spaesamento evocato dai brani sembra contrapporre una specie di vicinanza tra gli esseri umani che si muovono all’interno delle ombre urbane. In sintesi, un album imprescindibile per gli amanti di tutto ciò che è goth, oscuro e rétro.
Wardruna – Kvitravn
(Sony Music)
Il neo-folk dei norvegesi Wardruna torna quest’anno con un’opera magnifica e minimale, calma, pura e sincera; una manifestazione musicale del più antico animismo pagano, scevro però da moderni fronzoli religiosi o etichette esoteriche. L’amore struggente verso una natura autentica, tanto meravigliosa quanto indomabile, guida le imponenti percussioni, i corni, i flauti e la voce di Einar “Kvitrafn” Selvik a costruirne un monumento ancestrale, fatto di ritmi rituali e nenie solenni.
L’intreccio magico creato dagli strumenti tradizionali nordici ne evoca quindi i panorami e i protagonisti: l’orizzonte sterminato di una foresta innevata e i suoi lupi grigi, il corvo bianco Kvitravn, o il suono del vento sotto un cielo terso e stellato, e poi ancora il vento rombante che preannuncia una tempesta. La catarsi mistica di una comunione suprema con la natura, in tutte le sue espressioni e forme. Un’opera coraggiosa e autentica, intima eppure totale, che riverbera nelle corde dell’animo.