I migliori album death metal del 2021 | Aristocrazia Webzine

I migliori album death metal del 2021

Anche il 2021 si è concluso, e come ogni anno è d’obbligo divertirsi a tirare le somme di cosa ci è piaciuto di più nel d’obbligo. La prima è che nemmeno quest’anno siamo riusciti ad ascoltare tutto, quindi quelle che vedrete sono scelte che per noi valgono oggi, al netto di ciò che conosciamo e apprezziamo nel momento in cui la lista viene redatta, e potrebbero essere differenti tra sei mesi o un anno. La seconda precisazione è che queste liste sono il risultato dei voti a maggioranza espressi della redazione, non riflettono in particolare le preferenze di un singolo redattore, ma cercano di essere una visione d’insieme. La terza e ultima, per quanto speriamo superflua, è che le nostre scelte si basano solo e soltanto sul nostro gusto personale, e sono assolutamente opinabili.


1914 – Where Fear And Weapons Meet

(Napalm Records)

La Grande Guerra è stata senza dubbio uno degli eventi più catastrofici della storia mondiale e i 1914, provenienti dall’Ucraina, da anni si sono dimostrati i narratori d’eccezione di questi anni oscuri. Con una formula che unisce black e death metal, impreziosita da una forte vena melodica, Where Fear And Weapons Meet traccia un itinerario storico-musicale che parte dal fatidico gesto di Gavrilo Princip nelle strade di Sarajevo e che attraversa tutti i fronti europei. Dal battaglione belga spedito nella lontana Galizia ai distaccamenti canadesi impegnati nella sanguinosa scalata della collina 145, passando per le truppe scelte del Kaiser che fecero capitolare Fort Douaumont.

I 1914 hanno sguinzagliato tutto il loro bagaglio compositivo, che si articola in brani lunghi e complessi nella loro struttura. Impreziosito dalla ballata “Coward” e dagli innesti di strumenti a fiato su “FN.380” e “The Green Fields Of France”, Where Fear And Weapons Meet riassume alla perfezione tutto ciò che una narrazione dovrebbe avere: un andamento incalzante, forme variegate e temi affascinanti.


Antediluvian – The Divine Punishment

(Nuclear War Now! Productions)

Una delle abilità da riconoscere agli Antediluvian è quella di saper prendere l’anima di chi li ascolta, accartocciarla e gettarla in un secchio pieno di bile e altre nefandezze, per poi lasciarla macerare nell’angoscia. The Divine Punishment non rappresenta affatto un’eccezione, anzi: possiamo tranquillamente etichettarlo come una delle esperienze sonore più spiazzanti del 2021.

Per offrire questo effetto e trattare nella maniera più sferzante possibile il decadimento psico-fisico derivato dal piacere carnale — che rappresenta il nucleo tematico principale del disco, stando ai potenti mezzi della Rete — gli Antediluvian moltiplicano la volontà di sperimentare, aggiungendo voci distorte, synth luciferini e altri effetti che certamente non tranquillizzano. Nonostante questo, The Divine Punishment risulta più fruibile e (relativamente) immediato rispetto ad alcune delle uscite precedenti: un ottimo tassello da aggiungere al compendio di Male offertoci da quest’annata appena conclusa.


AsphyxNecroceros

(Century Media Records)

Dal ritorno di Martin van Drunen nella formazione degli Asphyx, ossia dal 2009 con Death…The Brutal Way, la macchina bellica olandese è tornata a sfornare capolavori a cadenza fissa. L’ultimo anello della catena è Necroceros, un disco death-doom alla maniera degli Asphyx, trainato dallo stile vocale unico di van Drunen e da una marea turbinante di caotica desolazione.

Un album quadrato, che lascia poco spazio a sperimentalismi e stravolgimenti stilistici: la formula è già stata rodata e risulta, da più di trent’anni, letale. Brani quali “Three Years Of Famine” e “In Blazing Oceans”, così come la title track finale, rappresentano il lato oscuro e fatale dell’opera. La componente doom molto marcata, sia termini di sonorità che nelle ritmiche, viene controbilanciata, su “Botox Implosion” in primis, dall’intransigenza death-thrash che da decenni è il marchio di fabbrica del gruppo. Necroceros è riuscitissimo, farà esaltare i vecchi fan del gruppo e stregherà coloro che ancora non sono stati iniziati al culto dei colossi olandesi.


Dakhma – Blessings Of Amurdad

(Eisenwald Tonschmiede)

Se segui le pubblicazioni black-death legate a temi mistico-esoterici o se anche solo hai una certa familiarità con l’Helvetic Underground Committee, il nome dei Dakhma ti è sicuramente già noto e, con estrema probabilità, Blessings Of Amurdad è anche nella tua playlist di fine 2021. Il secondo album del duo Karapan Darvish-Ahu Spozgar, rispettivamente voce, basso e chitarra il primo (attivo anche nei Lykhaeon) e batteria e cori il secondo (in forze anche ai Tardigrada), arriva a tre anni da Hamkar Atonement, che aveva segnato il debutto sulla lunga distanza degli svizzeri dopo una manciata di pubblicazioni minori.

Non c’è che dire, i nostri sacerdoti zoroastriani preferiti hanno semplicemente fatto centro: Blessings Of Amurdad non ha filler e non ha smacchi. Senza un filo di produzione di troppo, l’ultima fatica dei Dakhma mescola black e death con naturalezza, inanellando otto brani che all’ascolto non possono che sembrare veri e propri inni sacri, seppur efferatissimi, tra un coro super riverberato di qua e uno strumento etnico a corde pizzicato di là. Il focus sul mazdeismo del duo transalpino aggiunge poi quel quid che oggigiorno necessita ogni band che spera di essere ricordata; non un di più tattico, attenzione, ma una caratteristica connaturata al progetto che, con il suo approccio tanto letterariamente approfondito quanto musicalmente ispirato, è destinata a far parlare di sé. Lode e gloria ad Ahura Mazdā.


Fractal Generator – Macrocosmos

(Everlasting Spew Records)

Macrocosmos è un album inumano. Dopo le promesse fatte sul debutto Apotheosynthesis, i Fractal Generator hanno capito che non c’era più spazio per indecisioni e tentennamenti di sorta, portando così le proprie idee a un livello superiore. La band canadese ora va fino in fondo senza che ci sia alcuna possibilità di porre un limite alla sua avanzata.

Il brutal death proposto si concretizza in una ferocia meccanica espressa con perizia tecnica sovrumana. Se si riesce a reggere l’assalto senza mezzi termini, si può osservare come quello che poteva sembrare un monolite sonoro inaccessibile in realtà nasconda sotto gli attacchi disumani dinamiche di un certo rilievo, come numerosi cambi di tempo, ritmiche accattivanti, accenni di elettronica e tanti tocchi di classe rintracciabili qua e là nelle composizioni. Seppure costituisca un lavoro molto calcolato, Macrocosmos suona come una minaccia esistenziale, qualcosa di terribile di fronte alla quale ogni tentativo di prepararsi appare inutile.


Grave MiasmaAbyss Of Wraithful Deities

(Sepulchral Voice Records / Dark Descent Records)

Grave Miasma sono tornati nel 2021 dopo la bellezza di otto anni da Odori Sepulcrorum, iscrivendosi ufficialmente alla lista dei gruppi che si prendono il loro tempo prima di cacciar fuori un disco. L’attesa è stata ripagata e Abyss Of Wrathful Deities ha confermato le qualità dei londinesi, stavolta in formazione a tre e ispirati dalle tradizioni religiose mediorientale e asiatica.

I fratelli Ben-Haim, coadiuvati dall’irlandese Tom McKenna (già chitarra nei Malthusian, ma qui anche bassista) anche in tre macinano riff e frantumano crani. Coi suoi 53 minuti Abyss Of Wrathful Deities è una discreta fucina di mazzate ed è carico di riferimenti all’oltretomba, ad antiche divinità e demoni del deserto. Più leccato, in termini di produzione, rispetto ai precedenti lavori in studio della band, il disco va che è un piacere senza stancare: complici una scrittura varia e ispirata, e un’omogeneità tecnica frutto di una meccanica di gruppo registrata a puntino.


Phlebotomized – Pain, Resistance, Suffering

(Petrichor / Hammerheart Records)

Il nome Phlebotomized sarà per sempre legato a Immense Intense Suspense, un debutto schizzatissimo, geniale e irripetibile, tra le cose migliori mai uscite dall’Olanda. Della band del 1994 ora rimane il solo Tom Palms, compositore e principale motore del gruppo, che da chitarrista originale si è recentemente spostato dietro il microfono. Ad accompagnare il veterano, una formazione che dalla reunion del 2013 a oggi è stata più e più volte rimaneggiata, ma dall’uscita dell’album di ritorno Deformation Of Humanity (Hammerheart, 2018) è riuscita a trovare stabilità e consistenza

Forse proprio grazie a questa stabilità, Pain, Resistance Suffering è così ispirato e organico, riuscendo a unire e amalgamare tutto quello che Palms ha in testa e a dargli un ordine. Tra up-tempo, rallentamenti, growl, voce pulita, riff, tastiere, altri riff, altre tastiere, strutture non lineari e ritornelli orecchiabili, con questo EP da quasi mezz’ora i Phlebotomized tornano sul luogo del delitto e lo fanno nel migliore dei modi.


PortalAvow

(Profound Lore Records)

Ormai band leader nell’ambito del death metal più sperimentale, cavernoso e deformato che ci sia, i Portal sono tornati a tre anni dal precedente album con Avow, folli e oscuri come non mai. Per la verità, a questo disco se ne accompagna un altro, Hagbulbia, divagazione noise-ambient di sicuro interesse, ma senza raggiungere i picchi di qualità del suo gemello. Avow, in ogni caso, è un’opera di sicuro valore.

Negli ultimi capitoli i Portal ci avevano abituato a brani leggermente più incentrati sul riffing e vagamente più easy listening, semmai questa espressione possa avere un senso riferita agli australiani. Con Avow, invece, la band torna al passato, recuperando quella sensazione di nausea e disgusto che si ritrova in Swarth Outre’, forse i punti più alti della sua discografia. Buio, terrore e raccapriccio, tra riff destrutturati, scale improbabili e voci infernali: questa è la ricetta atmosferica del combo di Brisbane, che ancora una volta fa dell’imperscrutabilità la sua arma vincente e caratteristica.


QrixkuorPoison Palinopsia

(Invictus Productions / Dark Descent Records)

Il disco d’esordio dei britannici Qrixkuor era stato atteso a lungo da tutti i maniaci del death metal oscuro di matrice smaccatamente underground. Finalmente, il 2021 ha saputo colmare questa lacuna, grazie a Poison Palinopsia. Le potenzialità del combo, che nel frattempo si è arricchito del neozelandese Phil Kusabs dei Vassafor al basso, erano già evidenti grazie ai precedenti demo ed EP. Poison Palinopsia, tuttavia, riesce nell’impresa di sublimare ed espandere quanto fatto finora, racchiudendo l’esperienza dei Qrixkuor in un disco piuttosto ambizioso; basti pensare che è formato da due tracce di 24 minuti ciascuna.

L’album conserva una qualche familiarità con le sonorità tipiche della scena australiana (Portal, Impetuous Ritual, Temple Nightside), ma il songwriting, pur scevro da strutture classiche della forma canzone, rivela soprattutto una parentela con quel death metal catacombale che non rinuncia alla poetica del riff, sulla scia di band quali Grave Miasma, Altars e Mitochondrion. Poison Palinopsia non sarà un disco per tutti, questo è chiaro, ma resta un episodio di sicura ispirazione e valore indiscusso.


Sijjin – Sumerian Promises

(Sepulchral Voice Records)

Nati dalle ceneri dei defunti Necros Christos, i Sijjin debuttano sulla lunga distanza e lo fanno col botto, entrando di prepotenza nel nostro listone di fine anno. Il trio tedesco — il cui moniker fa riferimento al punto più profondo della Gehenna, il luogo della dannazione nella tradizione islamica — abbandona le atmosfere a cui ci aveva abituato nella precedente incarnazione, abbracciando coordinate stilistiche decisamente anni Ottanta.

Sumerian Promises ha infatti tutte le caratteristiche per essere considerato un accorato tributo al death metal delle origini. Se all’interno del disco è riconoscibile un certo influsso proveniente dal thrash metal, sia nella velocità di alcuni brani che nella loro struttura, l’influenza preponderante è inequivocabilmente quella dei primi Morbid Angel, soprattutto negli assoli di chitarra. Quello dei Sijjin è un album classico, marcio e malvagio quanto basta nel suo essere lineare ed è proprio per questo che ci piace.