I migliori album death metal del 2022
Il 2022 è finito: lunga vita al 2022. Non l’avremmo mai detto per com’era iniziato, ma nel corso dei mesi, almeno musicalmente, ha saputo riscattarsi, tirando fuori tantissimi dischi di qualità e accompagnandoci attraverso un post-pandemia, un conflitto in est Europa (ancora in corso) e una vagonata di altri avvenimenti più o meno buoni. Come sempre, una serie di premesse prima di passare alla ciccia.
Anche quest’anno i nostri listoni non sono esaustivi perché, per quanto ci proviamo, non è possibile fisicamente monitorare tutto ciò che esce. Ci siamo persi qualcosa di grosso per strada? Faccelo sapere: ti odieremo a morte perché ci farai spendere il resto della nostra tredicesima in dischi che non sapremo dove mettere. Anche quest’anno i listoni sono stati votati a maggioranza e quindi provano a dare una visione di insieme dei gusti della redazione più che di un singolo collaboratore. E, per ribadire l’ovvio, anche stavolta i titoli che leggerai sono presenti per un motivo e uno soltanto: perché piacciono a noi. Non sei d’accordo? Bene così.
Artificial Brain – Artificial Brain
(Profound Lore Records, 3 giugno)
Terzo album per gli Artificial Brain, come sempre supportati dai sapienti sforzi di Profound Lore. Prosegue il concept fantascientifico che i newyorkesi hanno sviluppato già in Labyrinth Constellation (2014) e Infrared Horizon (2017): le macchine hanno perso, e ora la vegetazione cresce rigogliosa sui resti di una guerra che ha devastato il pianeta. Il songwriting stratificato e a tinte sci-fi della band di Long Island non perde un colpo e anzi si colora di nuove sfumature, ad ogni ascolto le canzoni si aprono un po’ di più, lasciano emergere nuove suggesioni, per un album che ha bisogno di tempo e ascolti ripetuti per essere assimilato a dovere.
Ma Artificial Brain è la conclusione di un ciclo non soltanto narrativo, ma anche umano, perché a dieci anni dalla sua formazione la band affronta per la prima volta un abbandono, quello del cantante Will Smith, che ha annunciato la sua separazione dal gruppo appena concluse le registrazioni del disco. Il gruppo gode comunque di ottima salute, tanto che l’estate 2022 ha visto per la prima volta gli Artificial Brain in tour in Europa (compresa l’Italia, dove li abbiamo incontrati), supportati alla voce da Mike Paparo degli Inter Arma. Non ci sono ancora piani definitivi su come continuare, soprattutto ora che a New York non è rimasto quasi nessuno e i membri sono tutti dispersi per il mondo, ma una cosa è certa: questi ragazzi hanno ancora tanto da dire.
Aeviterne – The Ailing Facade
(Profound Lore Records, 18 marzo)
Eredi diretti dei Flourishing, che col loro iconico The Sum Of All Fossils regalarono un nuovo modo di fare death metal, gli Aeviterne escono col loro debutto The Ailing Facade a distanza di undici anni da quel disco. Pubblicato dalla sempre attenta Profound Lore, questo nuovo album riprende le atmosfere e le logiche di fondo dei dissolti Flourishing, aumentando al tempo stesso le influenze dei Gorguts, quelli da Obscura in poi, per intenderci.
Siamo dunque nel reame del death metal dissonante, dove i giochi tritonali producono improvvise aperture atmosferiche e assoli sorprendenti, in un maelstrom di blast beat e riff oscurissimi che rendono il sound più profondo, quasi abissale a tratti. Come mostra la copertina, è come se gli Aeviterne ci mostrassero una finestra chiusa alla quale possiamo solo appoggiarci per cercare di intravedere una nuova verità rivelata, sotto forma di un death metal sempre più particolareggiato, tecnico e atmosferico.
Immolation – Acts Of God
(Nuclear Blast, 18 febbraio)
Se nell’arco dei dodici mesi è uscito un album degli Immolation, è pressoché scontato che uno slot nelle classifiche death metal di fine anno sarà sempre automaticamente occupato. Acts Of God è l’undicesimo disco della band di New York, arriva a cinque anni dall’ovviamente ottimo Atonement e procede come da tradizione: cascate di riff per cinquanta minuti, intessuti sapientemente da Bob Vigna e dalla non più recente aggiunta Alex Bouks (ex-Incantation e fondatore dei Goreaphobia). Sotto di loro si snodano i pattern di batteria di Steve Shalaty, che ormai non fanno più notizia eppure ogni volta riescono a essere insieme più violenti e più precisi della precedente, mentre sopra tutto svettano il basso e in particolare il vocione inconfondibile di Ross Dolan, che bestemmia il suo odio verso Gesù e l’alto dei cieli.
Trentuno anni sono passati da Dawn Of Possession e la premiata ditta Dolan & Vigna è riuscita a non cambiare mai di una virgola eppure a reinventarsi sempre ogni volta. Non è dato sapere come sia possibile, come facciano in ogni album ad avere un songwriting sempre fresco e a non fare mai mezzo passo falso, eppure tant’è. Ad ogni nuova tappa del proprio percorso gli Immolation aggiungono qualcosa, fanno qualche piccola modifica, sviluppano più a fondo qualche spunto, e riescono sempre a reinventare la ruota.
Inanna – Void Of Unending Depths
(Memento Mori, 25 aprile)
I dieci anni di pausa che gli Inanna si sono presi dal precedente Transfigured In A Thousand Delusions (2012) non sono affatto pochi, ma la formazione cilena è riuscita a firmare un ritorno sulle scene davvero con i fiocchi. Void Of Undending Depths è tutto fuorché un album frettoloso, messo in piedi per far tornare il nome alla ribalta. Al contrario, è un’opera nella quale è evidente la mole di lavoro che c’è dietro.
Sebbene gli Inanna abbiano espresso il desiderio di definire la loro musica semplicemente come death metal, in realtà esibiscono una complessità nella scrittura che fa pensare al prog, rendendo quindi i brani più propensi ad aprirsi anche ad altre derive oltre al puro martellamento feroce. Forse è anche questo che ci ha conquistato: la capacità di suonare credibili nella loro intransigenza, e di permettersi al contempo di proporre sezioni melodiche, oscure, e addirittura talvolta eteree. Non siamo gli unici ad averlo notato, Void Of Unending Depths ha riscosso molto successo e come redazione abbiamo deciso di unirci al coro degli elogi. Speriamo che gli Inanna non ci facciano attendere così tanto per un seguito.
Faceless Burial – At The Foothills Of Deliration
(Me Saco Un Ojo Records, 7 ottobre)
Arrivati al terzo album, gli australiani Faceless Burial optano per un approccio old school, registrando l’album su un multipista a nastro e mixandolo analogicamente. Il risultato c’è e si sente: At The Foothills Of Deliration è un tributo al death metal degli anni ’90 (in primis Death, Morbid Angel e Gorguts), in equilibrio fra tecnicismi e marciume. Le sei tracce che compongono l’album mettono in evidenza una capacità tecnica e compositiva notevole, riff martellanti e una dinamica talmente ben studiata che rende impossibile distrarsi o, peggio, annoiarsi.
Sembra quasi impossibile che a concepire e suonare il tutto siano state soltanto tre persone: le melodie delle chitarre sono quasi sempre armonizzate, le linee di basso spesso se ne discostano riemergendo in primo piano, e la voce è incredibilmente (se si pensa che a cantare è il bassista) slegata dai riff, con una ritmica completamente indipendente. La tecnica non è un limite per i Faceless Burial, che riescono a sfornare un vero e proprio tributo al death metal degli anni d’oro pur senza risultare derivativi, e con un sound che soddisferà tutti coloro che ne hanno abbastanza delle produzioni più patinate.
Pharmacist – Flourishing Extremities On Unspoiled Mental Grounds
(Bizarre Leprous Productions, 10 aprile)
Se sei uno di quelli a cui il citazionismo sta in culo, il secondo disco dei Pharmacist e i Pharmacist in generale puoi balzarli a pie’ pari. In caso contrario, ecco Flourishing Extremities On Unspoiled Mental Grounds: il duo giappo-ucraino evidentemente si diverte un sacco a riprendere i primissimi Carcass, quantomeno quelli di Symphonies Of Sickness. Tanti omaggi di varia natura, tanto marciume ma soprattutto tantissimi riff che si protraggono per tre quarti d’ora senza soluzione di continuità.
I Pharmacist ci sanno fare maledettamente bene e sfornano un lavoro che è una perfetta via di mezza tra il secondo disco dei britannici e Necroticism, con pregevoli assoli dotati di punte di tecnica non indifferenti (“Necromorph”, che con il suo piglio weird ci ricorda che siamo comunque in terra nipponica). Se Pharmacist suona tutto tranne la batteria, allora Therapeutist suona solo quella, ma in maniera tentacolare ed estremamente creativa: furiosa e danzereccia come si conviene al death putrido, ma anche raffinata quando serve. Con Flourishing Extremities On Unspoiled Mental Grounds i Pharmacist non vincono forse il premio di disco più originale dell’anno, ma quello per il più divertente e coinvolgente sicuramente.
Altars – Ascetic Reflection
(Everlasting Spew Records, 8 luglio)
A nove anni dal loro primo e unico album e sei dallo scioglimento, il ritorno sulle scene degli Altars ha decisamente fatto la felicità dei fan di un certo tipo di death metal, quello cervellotico e un po’ scomposto, ma cavernoso e feroce allo stesso tempo. L’inedita formazione a tre degli australiani vede due dei membri originali, il chitarrista Lewis Fisher e il batterista Alan Cadman, affiancati da Brendan Sloan dei Convulsing: il risultato è Ascetic Reflection, un disco non proprio immediatissimo ma che sa regalare gioie all’ascoltatore, con uno stile perfettamente in equilibrio tra nuova e vecchia scuola death metal.
Un disco caratterizzato da una notevole perizia compositiva, con un’alternanza tra episodi più lineari (“Anhedonia”) e altri più dissonanti e scomposte (“Black Light Is Upon Us”), e da un impatto sonoro impressionante, specie quando gli Altars ergono il loro muro di suono carichissimo di riff e basse frequenze. Ascetic Reflection non dovrebbe sfuggire non solo a coloro che amano i gruppi di provenienza dei tre ragazzi (Tzun Tzu, Ignivomous, StarGazer tra gli altri), ma a chi ama il death in generale.
Epitaphe – II
(Aesthetic Death, 11 aprile)
Guardando la copertina di II dei francesi Epitaphe, l’associazione mentale che viene in mente è quanto segue: rappresenta il possibile risultato dell’improbabile unione dei dipinti atmosferici dell’artista romantico William Turner con i colori delle copertine più recenti dei Sunn O))). Questa premessa dovrebbe chiarire come l’aspetto visivo sia già di per sé appagante, ma l’ascolto del secondo album della band non è certo da meno: II si rivela un’esperienza immersiva e totalizzante, giocata su un continuo equilibrio fra elementi che sembrano diametralmente opposti, ma che in realtà si compensano egregiamente.
Infatti, da un lato troviamo la pesantezza monolitica e annichilente che solo la commistione fra death e doom può creare, mentre dall’altro gli Epitaphe si dilettano nell’inserire variazioni sul tema che includono qualche momento acustico (soprattutto nell’intro) e diverse incursioni in territorio prog, dando così vita ad atmosfere che potrebbero sfociare nella psichedelia, se fossero meno mitigate dalla malinconia imperante. Tutte queste caratteristiche rendono II un’opera scorrevole, nonostante la durata consistente delle singole tracce (due di queste si attestano intorno ai venti minuti), e la consacrano come una delle più affascinanti del 2022.
Ripped To Shreds – 劇變 (Jubian)
(Relapse Records, 14 ottobre)
Con l’uscita del loro terzo album 劇變 (Jubian), i Ripped To Shreds segnano il passaggio a una delle realtà più solide all’interno del panorama musicale estremo. Costantemente in bilico tra Stati Uniti e Taiwan, il progetto animato dall’eclettico chitarrista Andrew Lee rimane saldamente ancorato a sonorità che si rifanno ai grandi nomi del death metal vecchia scuola e del grindcore. Allo stesso modo i testi continuano a essere incentrati sulla storia e sulla cultura cinese, con una piccola divagazione sui bombardamenti indiscriminati da parte dell’aviazione americana durante la Guerra di Corea.
Ciò che invece è cambiato, in meglio, è il songwriting. Spunti diversi vengono rimescolati con esiti via via sempre meno prevedibili, spaziando da bordate che non raggiungono i sessanta secondi a monoliti che da soli occupano quasi un terzo del disco, come “獨孤九劍 日月神教第三節 (In Solitude – Sun Moon Holy Cult Pt 3)”, che nonostante la durata non perde di mordente ed efficacia. Lee e sodali hanno dimostrato nuovamente di saper affinare le proprie competenze musicali, lasciando spazio a un ulteriore miglioramento.
Tiwanaku – Earth Base One
(Unorthodox Emanations, 4 novembre)
Debuttare sulla lunga distanza dopo vent’anni quasi dalla nascita di un progetto non è cosa da poco e farlo come i Tiwanaku meriterebbe già di per sé una menzione nella top 10 delle imprese compiute da una band. Se poi teniamo anche conto della qualità di Earth Base One, allora sì che questi ‘mmeregani non potevano mancare nella nostra lista.
Partendo dai culti delle antiche civiltà precolombiane e allungandosi di prepotenza fino a includere nella propria sfera di interessi l’attrazione per extraterrestri, cosmo e profondità siderali, i Tiwanaku sono tornati alla ribalta nel 2022 con tre quarti d’ora di death metal putrido e old school, alla base, capace però di inarcarsi verso sonorità moderne, atmosferiche e melodiche molto attraenti. La fascinazione per mitologia e sci-fi, già anticipate dalla lussureggiante copertina di Earth Base One, traspare tanto sul fronte dei testi quanto su quello delle orchestrazioni utilizzate nel corso del disco. È così che, tra una strizzata d’occhio ai Sulphur Aeon, un omaggio ai Morbid Angel e un accenno di Septicflesh qui e lì, questa raccolta di mazzate ultraterrene prodotta dalla neonata Unorthodox Emanations ci perfora il cranio e ci obbliga allo scapoccio più appassionato.