I migliori album doom metal del 2021
Anche il 2021 si è concluso, e come ogni anno è d’obbligo divertirsi a tirare le somme di cosa ci è piaciuto di più nel d’obbligo. La prima è che nemmeno quest’anno siamo riusciti ad ascoltare tutto, quindi quelle che vedrete sono scelte che per noi valgono oggi, al netto di ciò che conosciamo e apprezziamo nel momento in cui la lista viene redatta, e potrebbero essere differenti tra sei mesi o un anno. La seconda precisazione è che queste liste sono il risultato dei voti a maggioranza espressi della redazione, non riflettono in particolare le preferenze di un singolo redattore, ma cercano di essere una visione d’insieme. La terza e ultima, per quanto speriamo superflua, è che le nostre scelte si basano solo e soltanto sul nostro gusto personale, e sono assolutamente opinabili.
Acid Mammoth – Caravan
(Heavy Psych Sounds)
A distanza di un anno dall’ottimo Under Acid Hoof, il quartetto ateniese devoto al culto di Tony Iommi è tornato con Caravan, un concentrato di riff pesantissimi e lenti, chitarre ciccione, fuzz e testi da trip acido. Il 2021 non ha apportato grandi cambiamenti al suono già consolidato degli Acid Mammoth, che si mantiene sui classici binari stoner-doom per deviare di tanto in tanto su territori più psichedelici, pur vedendo qualche piccolo miglioramento dal punto di vista compositivo rispetto al precedente album, rilasciato anch’esso sotto l’egida della nostrana Heavy Psych Sounds.
Caravan è un’opera estremamente facile da ascoltare anche per chi conosce poco il genere, di cui gli Acid Mammoth ricalcano sapientemente molti stilemi interpretandoli alla propria maniera e regalandoci uno dei migliori dischi del 2021.
Bongzilla – Weedsconsin
(Heavy Psych Sounds)
Data la loro influenza sul mondo dello stoner, i Bongzilla sono una di quelle formazioni che non hanno bisogno di presentazioni. A sedici anni di distanza dall’uscita dell’ottimo Amerijuanican, i tre membri storici del gruppo di Madison sono tornati con i sei brani inediti di Weedsconsin. Come indica il gioco di parole del titolo e ancora di più la copertina, anche questo album ruota interamente intorno al culto della marijuana.
In questo ritorno col botto, i Bongzilla non arretrano di un passo rispetto al passato, sfoderando sin dalle prime battute riff pesanti e ciccioni su cui costruiscono atmosfere dense e fumose. Non mancano nemmeno incursioni nel campo dello space rock e della psichedelia, soprattutto in “Earth Bong, Smoked, Mags Bags”, un trip in musica da ben quindici minuti. Weedsconsin non è un disco di rottura, anzi, ma dimostra come i Bongzilla siano ancora in grado di fare ottima musica.
Hooded Menace – The Tritonus Bell
(Season Of Mist)
Di solito non è infrequente, specie in gruppi in attività da un decennio o più, modificare il genere in maniera notevole e/o arricchire il sound con aggiunte assai poco immediate: spesso ciò sfocia in un vero e proprio cambio di rotta. Nel caso dei colossi del death-doom finlandese Hooded Menace la questione è più sottile, perché rimane e si sente forte l’ossatura di base in The Tritonus Bell, ma contemporaneamente abbonda di momenti heavy con una frequenza maggiore di bpm che piaceranno moltissimo ai fan più sfegatati dell’old school.
Gli Hooded Menace sono tornati dopo una pausa relativamente breve — Ossuarium Silhouettes Unhallowed è del 2018 — con un lavoro in cui la voce resta oscura e cavernosa e il risultato, bisogna dirlo, è una bomba vera. Non che avessimo molti dubbi al riguardo, visto che il quartetto ci ha sempre abituati a qualità e bei momenti. The Tritonus Bell è il tassello numero sei nella carriera del quartetto ed è finito nella mia playlist personale di fine anno per direttissima e dopo un solo ascolto, proprio grazie al particolare inaspettato delle atmosfere vecchio stile, per non parlare degli accordi che piacerebbero tanto a Leif Edling dei Candlemass.
Illudium – Ash Of The Womb
(Prophecy Productions)
Trovare un comune denominatore tra due questioni sempre fastidiose, come stilare una lista di fine anno quando sono usciti trentordicimila dischi e definire al meglio il genere di una band, non è mai facile. Questo è uno dei motivi per cui Ash Of The Womb, secondo disco degli Illudium, è finito in questa lista e non in quella che gli si addice di più, ma anche perché il doom e il post-metal flirtano flirtano tra loro e i confini si fanno spesso labili.
Uscito su Prophecy, Ash Of The Womb è un figlio degli anni ‘90, attaccato come un koala al grunge e all’alternative, ma è anche strettamente imparentato con ISIS e compagnia bella: la voce di Shantel Amundson, grave e presentissima, tiene tutto ancorato al suolo; il contrasto tra le sezioni acustiche e quelle più pesanti, tipicamente nordamericano, non fa che aggiungere un senso di concretezza alla musica del trio di Portland. Da tenere d’occhio senza ombra di dubbio.
Khemmis – Deceiver
(20 Buck Spin)
Palesemente ispirati ai mondi fantasy più disparati, i Khemmis sono tornati a cavallo quest’anno con il quarto atteso album. Potente, epico e magistralmente composto, Deceiver mostra che lo stile del trio del Colorado si è evoluto verso una miscela di doom, heavy e (quindi) prog metal; una miscela così caratteristica da essere ormai un marchio di fabbrica.
In una sapiente successione, l’ascoltatore è trasportato attraverso intro acustici, chitarre melodiose e poi feroci, la solidissima base ritmica di Coleman e l’alternarsi del canto pulito di Pendergast con il growl di Hutcherson. L’equilibrio heavy-doom è preservato attraverso una composizione molto attenta anche ai ritmi narrativi della storia dietro la musica; una storia che parla sì di viaggi epici ed eroi, ma soprattutto della falsità che regna sovrana, nel fantasy come nella realtà. Deceiver forse non tocca le vette raggiunte nei precedenti album, ma è sicuramente un lavoro maturo e raffinato.
Pantheist – Closer To God
(Melancholic Realm Productions)
Closer To God, la sesta uscita dei Pantheist, ha colpito nel segno. Il gruppo di Kostas Panagiotou ha sempre sentito stretti i confini del funeral doom, e questo aspetto ha reso la sua musica un’esperienza che gli appassionati dei tempi molto lenti e delle melodie funeree non si lasciano fuggire. La traccia che apre questo album, intitolata “Stranger Times”, occupa da sola metà della durata complessiva del lavoro e appare come una lunga colonna sonora che fa da sottofondo a un film fatto di isolamento, lutto per perdite improvvise e speranze distrutte.
Ascoltando Closer To God si può immaginare che siano state sensazioni simili a passare per la mente del suo autore durante il processo di composizione, avvenuto — come per tanti colleghi — durante il lockdown. I Pantheist ci consegnano l’ennesima testimonianza della loro capacità di convogliare emozioni, proponendoci un lavoro vibrante di sensazioni e forte di un suono stratificato che premia l’ascoltatore che si cimenta nello sforzo di approfondirlo.
Skepticism – Companion
(Svart Records)
Non sappiamo come facciano gli Skepticism, dopo trent’anni tondi, a essere ancora lì. Sono stati i primi a farlo, e sono ancora dopo tutto questo tempo i migliori. Questi signori hanno praticamente inventato il funeral doom metal, l’hanno definito, non ne hanno mai variato la formula, e ancora dopo tutto questo tempo riescono a farlo sembrare fresco, drammatico, ispiratissimo. In pochi brani il quartetto riesce a condensare emozioni e sensazioni come solo i grandi sanno fare: nostalgia, malinconia, disperazione e un sacco di altre cose bellissime.
Rispetto al precedente Ordeal, che era un album registrato dal vivo, Companion è finemente cesellato, rifinito e levigato in ogni dettaglio. Registrato ai Sonic Pump Studios di Helsinki su consiglio di Henri “Trollhorn” Sorvali, con buona probabilità è l’album degli Skepticism più pulito e meglio prodotto in assoluto. Il che non toglie un’oncia di angoscia alle canzoni, anzi se possibile le rende ancora più afflitte. Pochi gruppi in tre decenni non hanno mai cambiato formazione né coordinate, ancora meno hanno mantenuto una qualità media a ogni uscita così alta.
Swallow The Sun – Moonflowers
(Profound Lore Records)
Il fiore di luna, nome comune per denominare l’ipomea bianca, è un fiore tropicale a forma di luna piena, di colore bianco o rosa, che ha la particolarità di sbocciare di notte e richiudersi una volta toccato dai raggi del sole. Può crescere anche a 5-30 metri di altezza, circostanza in cui è difficile da osservare. Juha Raivio ha dichiarato di odiare Moonflowers a causa di ciò che lo costringe a provare e dei luoghi molto probabilmente tristi e oscuri in cui lo conduce, ma che questo è esattamente il motivo per cui non può non amarlo: «non ha importanza ciò che sento, purché io senta qualcosa».
Parole difficili di un animo tormentato in cui si intravede, se non la speranza, quantomeno la volontà di andare avanti: anche nei momenti più bui può nascere qualcosa di bello. Nonostante il profondo dolore personale che ha toccato la vita di Raivio, dalla ferita ancora aperta è scaturito un disco delicato, profondo e malinconico, in cui i veterani Swallow The Sun — ufficialmente in attività da venti anni — mostrano di avere, forse temporaneamente o forse no, non dico abbandonato ma sicuramente allentato un pochino la presa sulla durezza dei suoni e della voce in favore di un’espressione di sé più melodica e introspettiva. Condizioni sfavorevoli non significano necessariamente assenza di ispirazione e aridità spirituale e artistica, faremmo bene a ricordarlo anche noi visti i tempi che corrono.
Uncertainty Principle – Sonic Terror
(Xenoglossy Productions)
Uncertainty Principle rappresenta il progetto doom del solo Alexander White, artista molto attivo nell’ambito noise. Sonic Terror ha un obiettivo chiaro, quello di riproporre brani selezionati dalla corposa discografia pubblicata sotto questo nome, con il fine di donare loro nuova linfa. Si parla di doom, di funeral con risvolti sludge, che si erge possente, torreggiante su un substrato ipnotico fatto di noise, ambient e drone.
Sonic Terror immerge l’ascoltatore in un continuum mesmerizzante fatto di chitarre spesse, campionamenti e riverberi, che avviluppano lo sciagurato senza che esso possa anche solo pensare di liberarsene. Sonic Terror è uno di quei titoli laconici che non fanno venire dubbi sul contenuto; dato che le sensazioni che causa sono state ricercate per soddisfare il piacere masochista di chi vuole il disagio e la disperazione. Un album come questo mette alla prova chi ci si cimenta, ma chi lo affronta sentirà senza dubbio di averci guadagnato.
Wolvennest – Temple
(Ván Records)
Cangianti ed evanescenti, i Wolvennest sono una delle creature più bizzarre e totalizzanti del panorama doom mondiale, specialmente considerato il livello di fama che la formazione belga ha raggiunto in neppure un decennio. Temple non è che il secondo album del progetto, ma non si fatica affatto a capire i motivi dell’entusiasmo che li ha portati al livello a cui sono.
Capitanati dalla cantante, tastierista e solleticatrice di theremin Shazzula, tra le fila del gruppo figurano membri di Length Of Time, Monads, Arkangel, Musth e Cult Of Erinyes. Ad abbellire ulteriormente il tutto, oltre alla compresenza dell’ubiquo Déhà, membro stabile della compagine, ci pensa anche il losco e tenebroso Re Tipo, ospite in “Succubus”. Tentare di prevedere l’andamento di un brano dei Wolvennest è un po’ come cercare di afferrare una nube di fumo, lo stesso che sopraggiunge a offuscarti la vista durante l’ascolto. Strutture semplici e lineari che si dipanano ad libitum secondo la più classica tradizione psichedelica, atmosfere dense, cantato ieratico, strati su strati di strumentali lisergiche: questa è la ricetta segreta distillata all’interno delle otto tracce di Temple per 77 minuti di occulte allucinazioni spirituali.