I migliori album metal italiani 2022 | Aristocrazia Webzine

I migliori album metal italiani del 2022

Il 2022 è finito: lunga vita al 2022. Non l’avremmo mai detto per com’era iniziato, ma nel corso dei mesi, almeno musicalmente, ha saputo riscattarsi, tirando fuori tantissimi dischi di qualità e accompagnandoci attraverso un post-pandemia, un conflitto in est Europa (ancora in corso) e una vagonata di altri avvenimenti più o meno buoni. Come sempre, una serie di premesse prima di passare alla ciccia.

Anche quest’anno i nostri listoni non sono esaustivi perché, per quanto ci proviamo, non è possibile fisicamente monitorare tutto ciò che esce. Ci siamo persi qualcosa di grosso per strada? Faccelo sapere: ti odieremo a morte perché ci farai spendere il resto della nostra tredicesima in dischi che non sapremo dove mettere. Anche quest’anno i listoni sono stati votati a maggioranza e quindi provano a dare una visione di insieme dei gusti della redazione più che di un singolo collaboratore. E, per ribadire l’ovvio, anche stavolta i titoli che leggerai sono presenti per un motivo e uno soltanto: perché piacciono a noi. Non sei d’accordo? Bene così.


Assumption – Hadean Tides

(Everlasting Spew Records / Sentient Ruin Laboratories, 20 maggio)

I progetti di Giorgio Trombino sono una costante: Becerus, Elevators To The Grateful Sky, Sixcirlces, Bottomless, su Aristocrazia sono passati praticamente tutti. Gli Assumption, con la collaborazione del batterista David Lucido (compagno di Trombino anche nei Bottomless) sono una nostra vecchia conoscenza, che dall’EP The Three Appearances del 2014 ha fatto parecchia strada. Già quest’estate nella cornice del Frantic Fest rimarcavamo quanto fosse interessante l’attuale conformazione del gruppo, ampliatosi a quartetto grazie all’ingresso di Claudio Troise (Tenebra) al basso e Matija Dolinar (Siderean, Kamra) alla chitarra, ed è quasi scontato trovare Hadean Tides nei listoni di fine anno.

Un death-doom funereo, ispiratissimo, con radici saldissime in entrambi i generi, Demilich da una parte e Thergothon dall’altra, e perché no entrambe le cose insieme. “Oration” parte dritta e grossa così, lavorando sul versante death metal, mentre “Submerged By Hadean Tides” strizza l’occhio agli Evoken e la conclusiva e allucinata “Black Trees Waving” tra un riverbero e l’altro rimanda a cose più sperimentali come il primo Aarni, per esempio. L’Adeano è il primo eone del nostro pianeta, risalente a oltre 3800 milioni di anni fa, ma gli Assumption riescono a farlo suonare freschissimo, un vero giovinastro.


Cosmic Putrefaction – Crepuscular Dirge For The Blessed Ones

(Profound Lore Records, 6 maggio)

Arrivato al terzo album, il progetto Cosmic Putrefaction, nato dalla mente di Gabriele Gramaglia, raggiunge un ulteriore step della sua fase di maturazione. Grazie anche all’ausilio di Giulio Galati, qui protagonista alla batteria, Crepuscular Dirge For The Blessed Ones risulta più maturo e profondo rispetto alle pur ottime opere precedenti. Oltre a una sezione ritmica più personale, l’approccio di Gramaglia nella scrittura si fa più atmosferico e stratificato, riprendendo alcuni elementi presenti nel suo altro progetto Vertebra Atlantis, ma rideclinandoli in una chiave death metal più spiccata. Trovato il giusto equilibrio tra dissonanze e atmosfere, tra riff e blast beat con un cantato sempre più convincente, Cosmic Putrefaction ci consegna il suo personale manifesto del death metal di oggi, perennemente in bilico tra tradizione, oscurità e tecnica.


Die Sünde – Strega

(Autoprodotto, 14 ottobre)

Alla luce della seconda prova in studio, non si può certo dire che ai Die Sünde manchi l’ambizione. Se l’EP Die Sünde di due anni fa aveva lasciato ottime sensazioni di stampo sludge e post-hardcore, con Strega siamo nuovamente di fronte a un EP, ma uno decisamente atipico. Una traccia unica da venti minuti in cui i cinque padovani spaziano ed esplorano, tra scream acidi e growl rabbiosi, sludge, accenni black metal e disperazione tout-court, anche quando alzano il piede dall’acceleratore. 

La bella copertina si sposa perfettamente con il tema portante del disco, un quadro della figura femminile in una cornice esoterica, da strega appunto, più vicina alla Natura e una concezione diversa da quella del sistema patriarcale che ha sempre cercato di sopprimerla, stuprarla e incatenarla. Un ciclo in tre atti con cui i Die Sünde dimostrano di conoscere bene l’ambito in cui si muovono e di sapersi cimentare in opere dalla struttura atipica, con ottimi risultati. 


Ferum – Asunder / Erode

(Unorthodox Emanations, 19 agosto)

Divisi tra Italia ed Estonia, i Ferum sono stati i secondi a pubblicare per Unorthodox Emanations, neonata branca death metal della nostrana Avantgarde Music. Missato in analogico e masterizzato nientemeno che da Dan Swanö, Asunder/Erode tematizza il concetto di separazione fino ai suoi estremi, come testimonia la terrificante copertina su cui figura un dipinto a olio di Paolo Girardi.

A livello musicale la band capitanata da Samantha amplia e approfondisce, con una generosa dose di personalità in più, il già buono EP Vergence. Death metal lento, ferale e tagliente, di quello che ti fa vivere in uno stato di perenne tensione ispirato tanto ai maestri americani del death-doom — il mitico Mike Perun dei Cianide fa una comparsata su “The Undead Truth”, forse il pezzo più tritaossa del disco — quanto a quelli albionici. Il risultato è un album che suona proprio massiccio ma che, al tempo stesso, non rinuncia ad atmosfere sepolcrali e melodie avvizzite.


Hate & Merda – Ovunque Distruggi

(Dio Drone / Toten Schwan Records / Breathe Plastic Records, 14 febbraio)

Dopo un’attesa durata sei anni, mitigata dall’EP del 2019, gli Hate & Merda tornano con un disco nuovo di zecca che ancora una volta getta la loro ombra salvifica sul nostro bel Paese. Tra pandemie, guerre e marciume politico e umano risplende come un faro negli abissi Ovunque Distruggi, quaranta minuti abbondanti di sludge, crust e noise con cui il duo fiorentino ci delizia dal vivo già a partire dal 2021, per poi approdare su disco proprio nel giorno degli innamorati.

Un album che appare come una maturazione oramai completa per il sound H&M, con una produzione e suoni cristallini e una varietà compositiva impeccabilmente bilanciata. Se da una parte non vengono rinnegate le solide e disperate ondate sludge, arricchite da ritmi sincopati e deliranti, dall’altra ci sono brani che si spingono su lidi malinconici (“Sotto Voce” e “Ovunque” in primis) e altri in cui è ben marcata una vena noise oscura e alienante (“Peculiar Cerbero” e “Cardioide”). Un’opera che rappresenta un passo importante e decisivo per gli Hate & Merda, che si confermano ancora una volta come l’urlo nichilista e dissacrante di cui abbiamo disperatamente bisogno.


Hierophant – Death Siege

(Season Of Mist, 26 agosto)

Nel bel mezzo di questo 2022 post-pandemico, gli Hierophant sono tornati a far parlare di sé a quattro anni dal loro ultimo EP e a sei dal loro precedente album Mass Grave. Per la band di Lorenzo Gulminelli (bassista dei The Secret dai tempi di Agnus Dei), ora l’unico membro originale rimasto assieme al batterista Ben Tallarini, Death Siege è la prova del riscatto, il primo vagito completo dopo il rimescolo delle carte. Gli innesti di Gianmaria Mustillo e Fabio Carretti, rispettivamente al basso e alle chitarre, non hanno privato i nostri cultisti del loro solito brio, tutt’altro.

Death Siege è il disco più lungo della carriera degli Hierophant e, con le sue dieci tracce, vomita sull’ascoltatore quaranta minuti di male viscerale e sulfureo. L’assalto è violento e impetuoso: dopo le prime battute introduttive (“Mortem Aeternam”), procede incessante in una spirale di distruzione che anticipa più che adeguatamente la conclusiva citazione «Now I am become Death, the destroyer of worlds». Che si scelga di leggerla come riferimento alle parole di Oppenheimer o ai versi della Bhagavad Gita, Death Siege ha nel suo animo il potenziale distruttivo del primo (“Abysmal Annihilation”) e l’irruenza spirituale dei secondi (“Devil Incarnate”). Una gran bella mina, non c’è che dire.


Inverted Matter – Harbinger

(Unorthodox Emanations, 11 novembre)

Quando un gruppo riesce a far risultare avvincente un genere spesso troppo indigesto come il technical death metal, non sorprende affatto ritrovare un suo disco nella rosa delle uscite migliori di questo 2022. Il ragionamento si applica perfettamente agli Inverted Matter, che hanno confezionato un’ottima uscita mettendo insieme un death che sa pestare peggio di un branco di pachidermi, tecnicismi che a volte sfociano nel prog e parti atmosferiche nelle quali vengono evocate lande ancestrali, non troppo distanti da quella che appare sullo sfondo dell’artwork.

Come se non fosse già abbastanza promettente così, aggiungiamo un ulteriore motivo per apprezzare Harbinger: l’album prende in esame una tematica cara agli appassionati di Preistoria, ovvero i trilobiti. Questi vengono analizzati partendo dalle caratteristiche dell’ambiente in cui vivevano, per poi giungere alla fase finale della grande estinzione di massa trattata all’interno della conclusiva “P-Tr”, la grande estinzione del Permiano-Triassico. Un ascolto imprescindibile per chi non vuole fossilizzarsi — pun intended — sulle solite uscite death, ma amplia volentieri i propri orizzonti musicali.


Lili Refrain – Mana

(Subsound Records, 21 aprile)

Potremmo dire che il tema centrale dell’ultimo lavoro di Lili Refrain sia, in senso ampio, la forza vitale che permea il Pianeta incarnandosi nelle forme più disparate e che ciascuna cultura spiega e interpreta a modo suo. Su stessa ammissione dell’artista romana, Mana è un esperimento sonoro diverso dai lavori precedenti, nel quale l’intento principale è allontanarsi dalla propria zona di comfort per spaziare nell’ignoto.

Tra linee vocali ora soffuse, ora operistiche sovrapposte tra loro, percussioni e atmosfere in sottofondo, il risultato è un rituale pagano e tribale in nove brani che sfociano l’uno nell’altro praticamente senza pause. Mana ci trasporta virtualmente in luoghi lontani, in cui la natura è protagonista e divinità ancestrali ancora riempiono l’acqua, la terra e l’aria della loro solenne presenza e potenza. La crescita artistica di Lili Refrain non sembra arrestarsi, anzi le è valsa l’attenzione di colossi della musica ritualistica quali sono gli Heilung, che l’hanno voluta insieme alla faroese Eivør per accompagnarli nel loro tour europeo iniziato a ottobre e con una manciata di date rimaste tra Francia, Olanda, Irlanda e Regno Unito. Una visibilità più che meritata per uno dei dischi più interessanti e viscerali dell’anno.


Messa – Close

(Svart Records, 11 marzo)

Dopo due album incredibilmente originali e fedeli allo stile del gruppo pur essendo ciascuno diverso a proprio modo dall’altro, i Messa tornano a stupirci con Close. Il terzo disco del quartetto veneto è stato anticipato dal video del singolo “Pilgrim” che mostra alcune danzatrici nordafricane scuotere vorticosamente i capelli, tema poi ripreso dalla copertina.

Close apre ancora nuovi orizzonti spostandosi verso territori più sperimentali e andando a contaminare lo scarlet doom dei Messa con elementi etnici e jazz, come si può evincere dalle partizioni di fiati protagonisti in brani come “Orphalese”. La capacità di mettersi in gioco, innovandosi e al contempo mantenendo una propria coerenza che permette di definire lo stile di una band, è una capacità che pochi hanno e che in pochi sanno mantenere. Grazie al loro percorso i Messa assurgono allo status di eccellenza nazionale, e come tale dobbiamo apprezzarli e vantarcene anche un po’.


Thulsa Doom – A Fate Worse Than Death

(Invictus Productions, 30 settembre)

Comparsi per la prima volta nell’ormai lontano 2018 con l’EP Realms Of Hatred, i Thulsa Doom si sono nascosti nelle tenebre per ben quattro anni prima di tornare sotto i riflettori con il nuovo materiale. Il trio romano confeziona in A Fate Worse Than Death poco più di quaranta minuti di solido death metal vecchia scuola, pregno di bruttissime intenzioni come è legittimo aspettarsi da una formazione che trae ispirazione dall’universo di Conan il Barbaro.

Il periodo di pausa ha permesso ai Nostri di affinare il proprio songwriting, che ora risulta più solido e convincente rispetto al lavoro precedente, come dimostrano i numerosi cambi di tempo che costellano l’album e un riffing marcescente e malefico quanto basta. Particolarmente azzeccata la scelta di inserire anche episodi completamente strumentali e più pacati quali la title track, quasi a voler ristorare l’ascoltatore prima di infierire nuovamente con una rinnovata bordata di malvagità. Ciò che non cambia è la vera e propria venerazione per i primi Morbid Angel che traspare in ogni singola traccia e che abbiamo adorato. Astenersi amanti delle sperimentazioni e dei virtuosismi: con i Thulsa Doom è di casa il culto.