10 dischi di black metal dissonante

10 dischi di black metal dissonante

Lo scopo originario del black metal era di rivestire una funzione anti-musicale, sia nelle tematiche sia sotto l’aspetto sonoro. In passato, quando il genere stava ancora espandendosi, si è cercato di sottolineare queste caratteristiche puntando su un’estetica il più delle volte satanica e anti-religiosa, proponendo al tempo stesso un sound scarno e lo-fi. Con il passare degli anni, la scena black metal si è riscoperta satura: tanti hanno cercato quindi di proporre delle alternative valide. C’è chi si è concentrato sul rapporto con la natura, chi ha imbastardito il genere mescolandolo con altri elementi. Unitamente a questo, il progressivo miglioramento delle tecnologie, peraltro sempre più accessibili, ha consentito la nascita di nuovi filoni narrativi, sonori e concettuali.

Il black metal, insomma, è cambiato profondamente rispetto a trenta, venticinque, venti anni fa; si è sentita la necessità di andare oltre quei paletti che avevano segnato la nascita di una vera e propria controcultura tra anni Ottanta e Novanta. Così abbiamo lentamente assistito alla nascita di nuovi ibridi più o meno discussi, dal blackgaze fino al depressive black metal. Uno dei filoni più recenti è il cosiddetto black metal dissonante, che si è sviluppato a partire dagli anni ’00 per poi avere la sua parte del leone nel decennio che si è appena concluso. In tal senso, il merito di aver sviluppato l’idea in modo sistematico va ascritto ai francesi Deathspell Omega, che con Si Monvmentvm Reqvires, Circvmspice (Norma Evangelium Diaboli, 2004) hanno dato vita a un nuovo modo di concepire il black metal. Certo, vagiti di black metal dissonante possiamo rintracciarli già negli anni ’90, per esempio con i Triumphator di Wings Of Antichrist o con gli stessi Mayhem, prima con l’iconico De Mysteriis Dom Sathanas e poi con Grand Declaration Of War. Eppure, è solo da metà anni Duemila che l’idea si è concretizzata, riscuotendo un certo successo.

Ma che cos’è il black metal dissonante? Molto semplicemente, vengono utilizzate scale costruite su intervalli dissonanti, un espediente che serve a rendere la musica ancora più caotica e astratta, andando a seguire i canoni dell’atonalità e della dodecafonia. Tutto questo ben si sposa in realtà con il black metal, che come abbiamo detto inizialmente era nato con uno spirito smaccatamente anticonformista. Ho deciso di proporvi dunque una lista di dieci dischi di black metal dissonante pubblicati negli ultimi dieci anni per testimoniare la portata di questo movimento, che in realtà, a oggi, ha cominciato a essere a sua volta in stallo; ma si sa, nulla è per sempre, e le tendenze cambiano di continuo, anche all’interno della musica estrema e underground.

Attenzione: la lista qui di seguito non ha pretese di esaustività. Sono tanti gli album che meriterebbero di essere menzionati, e ho cercato di rendere l’elenco abbastanza eterogeneo, anche con nomi non eccessivamente noti.


DEATHSPELL OMEGA
Paracletus
(Norma Evangelium Diaboli, 2010)

In questo articolo abbiamo già citato i Deathspell Omega: visto l’argomento, non poteva essere altrimenti. La band originaria di Poitiers non può mancare neanche all’interno di questa lista focalizzata sullo scorso decennio, perché secondo me Paracletus rappresenta proprio il suo apice compositivo. Se, come detto, lo stile era stato inaugurato con Si Monvmentvm Reqvires, Circvmspice, con il passare del tempo è stato perfezionato e Paracletus è l’album dove più di tutti emerge il caos dei Deathspell Omega, raggiungendo soluzioni quasi dal sapore mathcore, in certi frangenti. Riff dissonanti si susseguono, creando un maelstrom infernale accompagnato dalla voce tormentata di Mikko Aspa. Eppure, in questa furia apparentemente senza fine, non mancano elementi di calma, una quiete quasi straniante sottolineata dagli elementi tritonali. Per le molte band che hanno provato a imitare i Deathspell Omega, o che comunque si sono ispirate chiaramente a loro, probabilmente Paracletus (insieme al precedente Fas – Ite, Maledicti, In Ignem Aeternum) ha rappresentato un punto di riferimento anche più del già citato Si Monvmentvm Reqvires, Circvmspice. Insomma: questo è uno degli album manifesto del genere e forse il miglior disco black metal del nuovo Millennio.


DROTTNAR
Stratum
(Endtime Productions, 2012)

Il primo nome magari un po’ sorprendente che leggerete in questo lotto è quello dei Drottnar. La band norvegese ha infatti raccolto in carriera meno di quanto meritasse, forse anche a causa di un’attitudine piuttosto lontana dai canoni del genere. Anche il loro black metal è decisamente diverso rispetto a ciò cui siamo abituati quando pensiamo alla Norvegia. Scordatevi Immortal, Darkthrone e affini: i Drottnar prendono invece molto dai Mayhem di Grand Declaration Of War e dagli Abigor, declinando queste influenze in una chiave più tecnica e astratta. La band di Fredrikstad si era già fatta notare col disco di debutto Welterwerk (2006), ma è qui che raggiunge probabilmente la dimensione più matura. Accanto agli elementi più dissonanti del sound non mancano comunque rari momenti di mid-tempo più distensivi e, azzarderei dire, quasi easy listening (“Slave”, “Cul-De-Sac”). In ogni caso la proposta resta ostica, tra cambi di tempo, riff astratti e tempi dispari. Per la cronaca, a sette anni di distanza da Stratum, i Drottnar sono tornati nel 2019 con il loro terzo full length, Monolith, ma senza raggiungere le vette di eccellenza toccate in precedenza.


SVARTIDAUĐI
Flesh Cathedral
(Terratur Possessions, 2012)

In questa carrellata di dischi non poteva mancare Flesh Cathedral, principalmente per un motivo storico. Sebbene ci siano band islandesi che per gusto personale preferisco (Wormlust e Misþyrming su tutti), gli Svartidauði hanno avuto il merito grandissimo di rendere il piccolo Paese del Nord Atlantico conosciuto ai metallari. È proprio a partire dalla pubblicazione di Flesh Cathedral che si sono susseguiti altri dischi provenienti dall’Islanda, che hanno reso la scena locale una delle più celebrate di tutta Europa, perlomeno in ambito black metal. Al di là del valore storico assunto dal disco, parliamo anche di un’uscita cruciale perché l’approccio del gruppo è piuttosto originale. Pur debitori degli stracitati Deathspell Omega, gli Svartidauði optano per una strada più avvolgente e meno furiosa, concentrandosi su composizioni particolarmente dilatate (“Psychoactive Sacraments” raggiunge addirittura i 18 minuti di durata) atte a richiamare un’interpretazione più emozionale che violenta del genere. Decisamente rimarchevole anche l’utilizzo del basso e della voce, con il growl di Sturla Viðar Jakobsson che raggiunge registri bassissimi. E già che ci siete recuperate anche l’album successivo, Revelation Of The Red Sword (2018), che è altrettanto interessante.


AOSOTH
IV: Arrow In Heart
(Agonia Records, 2013)

In ambito dissonante, la Francia non ha dato i natali solo ai Deathspell Omega, ma anche ad altre formazioni di caratura notevole. Una di queste è rappresentata dagli Aosoth, che con IV: Arrow In Heart hanno probabilmente toccato il loro massimo splendore. Tra chitarre sporche e inni blasfemi, esaltati da una produzione grezza quanto basta, i transalpini scelgono una via più tradizionale ma che fa un largo uso del tritono e di riff dissonanti. Più vicini ai Funeral Mist, gli Aosoth si caratterizzano anche per un’estetica sì antireligiosa, che tuttavia si rifà in particolare alla trasverberazione, come dimostrano le figure femminili presenti sulle copertine di quest’album e del successivo (V: The Inside Scriptures, 2017). I grandi fan della band troveranno pane per i loro denti anche con gli Antaeus e i VI, altri progetti in cui vi sono (o sono transitati) membri degli Aosoth e in cui è facilmente riconoscibile un percorso sonoro e narrativo comune.


THANTIFAXATH
Sacred White Noise
(Dark Descent Records, 2014)

Un disco molto importante per lo sviluppo del black metal dissonante, ma che non viene nominato così spesso, è sicuramente Sacred White Noise dei misteriosi Thantifaxath. Completamente anonimi (di loro si sa solo che sono canadesi), i Nostri propongono una formula ancora diversa, che si basa sulla coesistenza di dissonanze e consonanze e che fa emergere un approccio più progressivo (in senso lato) al genere. Il risultato è molto interessante anche dal punto di vista estetico oltre che sonoro, perché si traduce quasi in una rivisitazione depressive di questo filone. Non a caso, oltre alla solita influenza dei Deathspell Omega, nei Thantifaxath emerge una passione per un riffing di stampo più americano, vicino a certe soluzioni dei Krallice o di Jute Gyte. Molto intrigante anche l’EP successivo a quest’album, Void Masquerading As Matter (2017), in cui il discorso viene proseguito e ampliato. Ora a sei anni di distanza forse i tempi sono maturi per il successore su lunga distanza di quel capolavoro che è Sacred White Noise.


MASTERY
V.A.L.I.S.
(The Flenser, 2015)

Un altro nome che troverete difficilmente in classifiche, liste e playlist italiane è quello di Mastery. Questa one band californiana è frutto della mente di Ephemeral Domignostika (alias Steve Peacock), già responsabile di numerosi progetti interessanti (Pandiscordian Necrogenesis, Ulthar, Spirit Possession e altri ancora) e sicuramente avvezzo alle avanguardie. Tuttavia è nell’unico disco del suo progetto Mastery che Peacock lancia il cuore oltre l’ostacolo e si cimenta in un black metal complicatissimo, dissonantissimo e completamente folle. V.A.L.I.S. è un’opera difficile e schizofrenica, a tratti inaccessibile anche per le continue accelerazioni chitarristiche totalmente free-form e debitrici di un altro genio come Mick Barr dei Krallice. L’influenza avant-jazz permea l’intera aura dell’album, che assume caratteristiche letteralmente demoniache nel suo costante incedere, in un quadro reso ancora più deformato da una prova vocale ai limiti dell’umano. Un disco chiaramente non per tutti, ma che va ascoltato per forza, se non vi spaventano le cose davvero estreme.


IMPERIAL TRIUMPHANT
Abyssal Gods
(Code666 Records, 2015)

Parlare degli Imperial Triumphant oggi è facile, dal momento che la band capitanata da Zachary Ilya Ezrin gode ormai di un successo planetario grazie a Vile Luxury (2018) e al recentissimo Alphaville (2020), uscito da poche settimane eppure già sulla bocca di tutti. Prima che gli Imperial Triumphant inserissero però vagonate di jazz a tinte noir nella loro proposta, la band americana si era fatta notare e apprezzare per il suo black metal dissonante e intenso; quest’idea si è riversata in Abyssal Gods, uscito peraltro per l’italiana Code666. Sebbene l’album non abbia raggiunto il successo e la diffusione dei suoi successori, qui erano contenuti i semi di quello che poi si sarebbe sviluppato negli anni a venire. L’influenza dei Deathspell Omega non può mancare nemmeno in questa occasione, anche se il gruppo si dimostra molto attento anche al death metal più cupo e atonale possibile, mondo dove i Portal rappresentano decisamente il riferimento più importante. Abyssal Gods si rivela così un album ostico, oscuro e difficile da digerire: forse anche per questo al tempo non ha ricevuto la giusta attenzione, ma proprio per il successo che gli Imperial Triumphant hanno conquistato in seguito meriterebbe di essere riscoperto e apprezzato.


PLEBEIAN GRANDSTAND
False Highs, True Lows
(Throatruiner Records, 2016)

Torniamo ancora in Francia, questa volta per parlare dell’ultimo album dei Plebeian Grandstand: False Highs, True Lows. In un discorso simile a quello fatto in precedenza per i Drottnar, qui ci allontaniamo dall’estetica black metal, virando più sull’hardcore. Ciò è ben presente anche sotto il profilo immediatamente musicale, con i Plebeian Grandstand che prendono a piene mani non solo dalla tradizione del black metal dissonante (nel 2016 ormai largamente consolidata e già in declino), ma anche dal mathcore, dal cosiddetto chaotic hardcore e persino dal powerviolence; influenza, quest’ultima, che appariva anche più marcata nel disco precedente, Lowgazers (2014). Sebbene tacciati di hipsteria da parte di qualcuno (anche per via del monicker un po’ particolare), i francesi scelgono di declinare il loro black metal battendo una strada diversa e dando una certa rilevanza agli elementi di matrice punk e mathcore. Ripensandoci, è come se i Plebeian Grandstard fossero i figli nati da un rapporto tra Deathspell Omega e Converge.


JUTE GYTE
Oviri
(Jeshimoth Entertainment, 2017)

La musica di Jute Gyte è così pregna di contenuti, di novità e di trovate fuori dai canoni che si farebbe fatica a riassumerla in poche righe. Tra le tantissime uscite di Adam Kalmbach, unica mente dietro questo singolarissimo progetto, ho scelto Oviri perché ne riassume tutta l’essenza. Oltre all’uso della microtonalità, Kalmbach infatti si cimenta in veri e propri esercizi d’avanguardia: brani come “Mice Eating Gold” e “Yarinareth, Yarinareth, Yarinareth” hanno sezioni in cui una chitarra accelera lentamente di tempo e l’altra decresce, fino a incontrarsi a un certo punto per un istante. Diciamo che il concetto di dissonanza e di atonalità qui viene ulteriormente estremizzato, con la classica forma canzone letteralmente distrutta in favore di una concezione rumoristica eppure studiata nei minimi dettagli; non mancano inoltre forme di serialismo, un’idea forse ispirata dagli Ehnahre. Ciliegina sulla torta, sono molto interessanti le tematiche, incentrate sulla filosofia e sulla letteratura, con richiami alla grecità antica come “Democritus Laughing” (un omaggio a Democrito, conosciuto appunto come il filosofo che ride). Insomma: difficilmente troverete un progetto così fuori come Jute Gyte, questo è garantito.


ODRAZA
Rzeczom
(Godz Ov War Productions, 2020)

Chiudo la lista con un album recentissimo che dimostra come la scena polacca sia migliorata molto negli ultimi anni, e non solo per gli exploit di Mgła e Batushka. Gli Odraza giungono al secondo album con Rzeczom e riescono nell’impresa di migliorarsi ed espandere ancora di più la loro proposta, dopo il già ottimo e coraggioso Esperalem Tkane (2014). In realtà il disco degli Odraza, pur fondandosi anch’esso sulle dissonanze dei soliti Deathspell Omega, agisce in direzione diversa, avvicinandosi più alla proposta dei Furia (altro gruppo polacco molto interessante e sperimentale) nonché a certe soluzioni degli Shining svedesi. Il merito è anche di un’estetica debitrice del disagio urbano e figlia più del filone blackgaze e post-black metal, che conferisce un feeling depressive all’opera. C’è quindi un modo diverso di giocare sul black metal dissonante, qui quasi mai su ritmi furiosi ma spesso in mid-tempo (“W Godzinie Wilka”) e arricchito da arpeggi tristi e melancolici (“Twoją Rzecz Też”, “Długa 24”). I polacchi, così, creano un disco davvero completo, inequivocabilmente black metal alla base e capace di compenetrare molte influenze diverse.