Dieci dischi di musica strumentale italiana del XXI secolo

La musica strumentale strana ha avuto un posto in Italia praticamente da sempre, d’altra parte dissonanze, mescolanze e accostamenti vari hanno fatto parte della nostra cultura musicale già dalle forme più popolari, fino ad attraversare il secolo scorso tra le mille forme di jazz, prog, folk e quant’altro.
In questo listone ripercorriamo in pillole dieci dei dischi italiani che più hanno saputo raccogliere e reinterpretare questa tradizione nel secolo attuale, arrivando a tirare dentro suggestioni dai mondi più disparati, dal metal al grindcore, dal math al brutal prog. Non è una vera e propria scena, quanto più una presenza mutaforma, una incostante certezza che accompagna l’evoluzione delle sonorità più stabili in giro per il Paese e oltre, producendo qualche perla e influenzando a sua volta decine di progetti.
Come al solito, non si tratta di una lista esaustiva, bensì di una breve escursione nell’ultima ventina d’anni, in cui soprattutto chi si sta avvicinando a questo mondo da poco potrà trovare qualche utile linea guida. A parte pochissime eccezioni, non sono stati inseriti dischi già recensiti sulle nostre pagine.
Buon viaggio nella musica strumentale italiana senza ritegno del XXI secolo.
Zu – Igneo
(Wide Records, 2002)
Una lista di questo tipo non può non includere i romani Zu che, prima di dedicarsi a notevolissime sperimentazioni rituali in giro per l’Amazzonia, erano già stati uno dei gruppi più brillanti nella caleidoscopica realtà della musica strumentale italiana a cavallo tra jazz e mathcore. Infatti, dopo essersi fatti notare con l’esordio e con collaborazioni importanti con il jazzista Eugene Chadbourne nei primissimi anni ’00, con Igneo fanno il definitivo salto di qualità che li porterà a essere nome di riferimento per questa roba qui. Quaranta minuti compatti, oscuri, in cui gli Zu mettono in (dis)ordine le intuizioni intraviste nei primi lavori, stavolta sotto la supervisione dell’onnipresente Steve Albini. Igneo è letteralmente un incendio punk interpretato con il jazz, in cui il gruppo con grande consapevolezza mette a fuoco di volta in volta diverse suggestioni che prendono il centro della scena in maniera apparentemente sconnessa, ma assolutamente giusta. Da lì, per gli Zu inizierà un periodo di grande attività e popolarità nell’ambiente, che li porterà dritti alla pubblicazione del massiccio (e metalloso) Carboniferous nel 2009.
MoRkObOt – MoStRo
(Supernatural Cat, 2006)
Ci spostiamo più avanti di qualche anno e verso la Lombardia, o più correttamente nello spazio. MoRkObOt è infatti un’entità aliena che si è manifestata sulla Terra attraverso tre emissari: i bassisti Lin e Lan e il batterista Len. Chi altri poteva intercettarne il messaggio, se non la Supernatural Cat? Dopo un’iniziale comunicazione omonima nel 2005 in cui i tre descrivevano MoRkObOt per la prima volta attraverso il suono, ecco che l’anno successivo riescono a trasmettere la potenza del dominatore delle forze magnetiche in maniera più organica e spaventosa per noi terrestri. MoStRo è un assalto psichico con cui i tre cercano di insinuarsi nella nostra mente, incorporando elementi di noise, metal, ambient, prendendo le misure del nostro sistema immunitario fino a soggiogarci attraverso una lingua incomprensibile eppure familiare. Con MoStRo, e in misura minore con i messaggi successivi, MoRkObOt si è ritagliato uno spazio di rilievo nella scena strumentale italiana… ops, cosmica.
Bologna Violenta – Il Nuovissimo Mondo
(Bar La Muerte, 2010)
Ed eccoci alle prese con uno dei personaggi più ubiqui dell’intera scena musicale italiana. Dopo numerose collaborazioni con vari progetti in giro per il Paese, Nicola Manzan (in arte Bologna Violenta) ha iniziato a dispensare male sonoro in proprio dalla metà degli anni ’00. Tuttavia, è con Il Nuovissimo Mondo che lascia il segno più riconoscibile del suo disagio cybergrind, o comunque vogliate chiamare questi venticinque minuti di dramma e declino. Ammetto che non si tratta di un disco totalmente strumentale, nel senso che ci sono vari momenti recitati, ma non stiamo qui a spaccare il capello in quattro per quello che è decisamente un disco importante per l’opera di Bologna Violenta, messo insieme pescando connessioni dalle fonti più improbabili e senza alcuna pietà per le nostre orecchie e il nostro stomaco. In particolare da quel momento, Manzan comincerà ad apparire in varie vesti in giro per la scena italiana come musicista, produttore, ispirazione, o più semplicemente cattiva compagnia.
Mombu – Zombi
(Subsound Records, 2012)
Come dicevamo, tra la fine degli anni ’00 e l’inizio dei ’10, gli Zu erano ormai una delle colonne portanti di questa roba qui. Ecco che Luca T. Mai, sassofonista del trio romano, ha l’intuizione di mettere su un altro progetto sperimentale insieme ad Antonio Zitarelli, batterista dei (consigliati) Neo. Il duo — non senza l’aiuto di una serie di altri personaggi — avvia così l’avventura dei Mombu: un’apparentemente improbabile commistione di jazz, metal, hardcore e percussioni africane. A dire il vero, l’esordio omonimo arriva nel 2011, ma il successivo Zombi è una sorta di seconda trasformazione di Freezer del precedente. Ancora per Subsound Records, si tratta della versione in vinile del debutto con nuovi missaggio e mastering, nonché l’aggiunta di “Zombi”, indemoniato omaggio al percussionista nigeriano Fela Kuti. Con questa legnata di quarantacinque minuti a metà tra evocazione rituale di spiriti e canzone per prepararsi alla battaglia, i Mombu lasciano abbondantemente il segno.
Zeus! – Opera
(Offset Records, 2013)
Ci spostiamo in Emilia Romagna per incontrare un’altra figura abbastanza ricorrente nel mondo della musica strumentale italiana: Luca Gavina, già noto per essere il bassista degli psichedelici e funkettosi Calibro 35. Zeus! nasce dall’incontro con un altro infaticabile, il batterista Paolo Mongardi, creando un progetto estremamente devoto alle derive più marce dai mondi noise e hardcore. Opera è il secondo lavoro del duo, in cui figura anche la comparsata di Justin Pearson alla voce nell’unico brano cantato “Sick And Destroy”. A dire la verità, anche Gavina usa la voce in alcuni pezzi, ma si tratta perlopiù di grida e disagio, quindi direi che gli Zeus! con le spessissime mazzate di Opera rientrano tranquillamente nella nostra lista. Le citazioni nei titoli dei brani si sprecano, così come le quadrature quasi matematiche nelle strutture di questi undici assalti sonori. Il cervello della copertina è probabilmente il nostro, quello che gli Zeus! non vedono l’ora di prendere a martellate.
Juggernaut – Trama!
(Subsound Records, 2014)
La band romana Juggernaut aveva causato un piccolo scossone nella scena post-metal italiana nel 2009 con il debutto …Where Mountains Walk, un’ora circa di disagio sulla scia di gente come i Cult Of Luna. Complici un paio di cambi nella formazione, il successivo Trama! fu invece qualcosa di piuttosto diverso. La Milano anni ’70 raccontata solo con gli strumenti da Cippitelli, Farina e soci è una sequenza di immagini e suggestioni sludge, musica da colonna sonora, prog e quant’altro, stavolta condensata in poco più di quaranta labirintici minuti. Decisamente uno dei dischi meno math e più metal in termini di feeling della lista, ma una perla assolutamente notevole emersa dai fondali della musica strumentale italiana. D’altra parte avevamo parlato di Trama! degli Juggernaut già ai tempi dell’uscita, e il nostro giudizio sui suoi confronti si è consolidato. Pronti a guardare quest’opera musicale e fare qualche passo a ritmo di samba.
Zolle – Porkestra
(Bloody Sound Fucktory, 2015)
Poco sopra abbiamo parlato di MoRkObOt, voci di corridoio affermano che uno degli emissari del potente alieno sia anche un noto appassionato di suini e stoner. Com’è come non è, nei primi anni ’10 ecco nascere gli Zolle, improbabile duo perlopiù strumentale che getta il suo primo sacco di letame sludge metal sulla piazza tramite Supernatural Cat nel 2013. Non c’è un motivo particolare per cui in questa lista consiglio il successivo Porkestra; sarà la sua affollata e setolosa copertina, o forse il fatto di essere una sorta di concept dedicato al porco con titoli come “Porkemon” oppure “Porkobot”, o ancora le agguerrite zappate a suon di stoner che i due distribuiscono senza tanti complimenti. Per chi cerca qualcosa di molto poco cervellotico per tornare in contatto con la propria parte più suina, dopo questa scorpacciata di musica complicata, consiglio di fare una sosta alla sagra degli Zolle.
San Leo – DOM
(BleuAudio / Dreamingorilla Records / Brigadisco / Vollmer Industries / Tafuzzy Records / Upwind Production / È un brutto posto dove vivere, 2017)
I San Leo sono stati una delle sorprese più interessanti nella scena italiana per Aristocrazia Webzine nel 2020, grazie all’ottimo Mantracore. Bisogna dire però che il duo riminese composto da Marco Tabellini alla chitarra e Marco Migani alla batteria aveva già cominciato a distruggere e ricomporre roba qualche anno prima, come dimostra DOM. Ispirato per l’appunto al Duomo di San Leo, in questo secondo disco continua a prendere forma in maniera più riconoscibile il peculiare stile che verrà poi definito mantracore, cesellando una base post-rock per ottenere risultati inaspettati. Proprio come nell’album precedente, i quattro (lunghissimi) titoli raccontano la storia messa in scena dai San Leo attraverso la musica. DOM è uscito in digitale e fisico per una caterva di etichette, quindi non ci sono scuse per non recuperare questo antico monile, anche se si potrebbe non fare ritorno.
Lento – Fourth
(ConSouling Sounds, 2017)
I romani Lento sono sicuramente stati tra le colonne del doom-sludge atmosferico in Italia tra fine anni ’00 e primi anni ’10, grazie a dischi come Earthen e Icon. Da lì, le cose hanno iniziato a farsi musicalmente strane, dopo un terzo disco assolutamente denso di roba, i tre (con due chitarre in meno rispetto a prima) sono tornati in scena a cinque anni di distanza con Fourth, in genere il meno citato del lotto. I Lento ci accolgono qui oltre la soglia di un cimitero, dove faremo i conti con lapidi nere come la notte. Il loro sludge ci avvolge cambiando di volta in volta faccia, mescolandosi ora al post-rock, ora al noise, ora all’ambient. Fourth è un lavoro piuttosto diverso rispetto ai Lento che conoscevamo: a suo modo solenne, ma pronto a prenderci a mattonate, meglio ancora se con materiali provenienti da un antico cimitero scozzese come quello della copertina.
Nitritono – Eremo
(I Dischi Del Minollo, 2020)
Il duo piemontese Nitritono era già passato sulle nostre pagine in occasione del solido Panta Rei, quando Luca Lavernicocca e Siro Giri misero insieme un signor omaggio a personaggi come Zu e Melvins. Mi sembra quindi giusto chiudere questa breve panoramica sulla scorsa ventina d’anni proprio con Eremo, l’assalto con cui i Nitritono hanno ufficialmente scritto a loro volta una pagina importante di questa sorta di scena in costante trasformazione. In questo viaggio sul Monviso in sei brani, i due mescolano e reinterpretano parte delle sonorità che abbiamo appena attraversato insieme (con qualche breve incursione vocale). Chiude l’opera “Costa Da Morte”, la collaborazione con un altro losco figuro dell’ambiente, Petrolio, come a dimostrare di nuovo la grande fluidità di questo oscuro sottobosco.
Come di consueto, segue una playlist con una piccola selezione dai dieci album succitati, incompleta perché purtroppo non tutti sono presenti su Spotify. Consiglio di visitare direttamente i siti delle band in questione per ascoltare ed eventualmente supportare.