SUOMI100: cento anni di Indipendenza per il paese più metal che ci sia
Il 2017, come tutti gli anni, porta con sé una massiccia dose di anniversari e ricorrenze più o meno celebri. Più di ogni altro, con molta probabilità, sarà il centesimo anniversario della Rivoluzione Russa a essere ricordato (e celebrato). Nel 1917, come immagino la maggioranza di voi lettori ricorderà, fu rovesciato il governo zarista e vennero gettate le basi per quella che sarebbe diventata l’Unione Sovietica. Non tutti, al contrario, rammenteranno cosa successe quello stesso anno (se non addirittura in quello stesso periodo) a una nazione alla quale buona parte dello staff di questa webzine tiene in maniera particolare: la Finlandia.

Ecco, è anzi piuttosto probabile che molte persone non sappiano nemmeno dove si trovi di preciso o quale sia la sua capitale (andiamo, è facile: Reykjavik! Ah no, ‘spetta…), che non sappiano come suoni una lingua parlata da meno dello 0,1% della popolazione mondiale né quali rapporti intercorrano o siano intercorsi tra la Finlandia e le sue dirette vicine, ovvero la Svezia e la Russia (che a livello musicale la sanno altrettanto lunga, se non anche un pochino di più). Voi però siete lettori aristocratici, probabilmente questa introduzione non vi avrà affatto detto cose nuove; ciò nonostante, questo articolo potrà comunque sembrarvi un po’ strano, lo so bene. Non temete, dunque: provvederò subito a spiegarvene il senso.
Il sottoscritto, Elisunn e Nihal hanno un legame piuttosto stretto con la Finlandia, per motivi di studio tanto quanto per scelte di vita, e lo stesso (anche se per cause differenti) possono dirlo Bosj, Dope Fiend, M1 e più o meno tutti gli altri dello staff in quanto la musica finnica ha giocato un ruolo impostante nella crescita e nello sviluppo dei nostri gusti musicali. Ci è sembrato dunque giusto, se non addirittura doveroso, tributare la madrepatria di tante band che hanno scritto, suonato e cantato alcune delle canzoni che hanno segnato le nostre adolescenze con un articolo in occasione di una importante commemorazione, ovvero il primo centenario della sua indipendenza. Scorrendo la pagina, perciò, troverete la nostra personale playlist tematica, stilata e commentata dai vari membri dello staff, tra l’altro la prima che pubblichiamo direttamente sul nostro nuovissimo canale Spotify ufficiale!
La Finlandia è senza ombra di dubbio conosciuta dai più per la sua natura, per la sauna, per il famigeratissimo tasso di suicidi over nain tausand e per l’altrettanto decantata bellezza dei suoi abitanti. Premettendo che i gusti sull’aspetto fisico sono molto soggettivi, che le saune sono la fine del mondo e che la natura finlandese è-e-non-può-non-essere bellissima, c’è anche altro; e non sto parlando dei salmiakki, della fisu e, più in generale, degli alcolici. Il metallo in terra finnica è un elemento di un’importanza estrema.
Secondo alcuni dati, infatti, questa nazione con poco più di cinque milioni di abitanti può vantare la percentuale di band pro capite più alta del mondo. La musica è incentivata davvero tanto all’interno della cultura finnica; i bambini, ad esempio, sono invogliati a imparare a suonare uno strumento musicale fin da piccoli. Il metal è più che sdoganato, nella terra dei mille laghi: si va dalle pubblicità delle caramelle per il mal di gola ai progetti musicali che fanno cover di canti natalizi in versione metal, dalle band composte da musicisti vestiti da dinosauri che fanno musica per bambini ai talent nei quali tra i giudici sono presenti star del rock e del metal.
Ci sono band finlandesi che hanno raggiunto un livello di fama tale da renderle conosciute ovunque nel mondo anche solo per il nome, come se fossero rappresentative per l’intero paese: le più mainstream, in questo senso, sono senza ombra di dubbio Amorphis, Ensiferum, Nightwish e Sonata Arctica; e non dimentichiamoci degli HIM, per carità: Ville Valo acchiappa con le ragazzine più del Cavaliere! Gli appassionati dell’underground estremo invece ricorderanno piuttosto Archgoat, Azaghal, Moonsorrow, Satanic Warmaster, Sentenced, Swallow The Sun e i nomi di una caterva di altre realtà che, nel bene e nel male, hanno segnato la storia del panorama musicale nazionale, finendo per influenzare più o meno marcatamente decine (se non centinaia) di realtà anche al di fuori dei propri confini.
Ma come percepiscono i finlandesi questa storia del metal finnico? Ebbene, il seguente contributo scritto da Tuomas, il ragazzo della nostra Elisunn, ci fornisce un interessante spunto di riflessione proprio su questa tematica, vista nello specifico attraverso lo sguardo di un autoctono:
«Quando si pensa al metal cantato in finlandese, bisogna specificare che non è così popolare da tanto tempo. Negli anni ’80 esisteva già qualche gruppo hard rock o heavy metal, tipo Rajuilma o O.S.S.Y, ma non erano per niente mainstream e hanno venduto al massimo poche migliaia di dischi. Il metal in finlandese è diventato famoso abbastanza tardi, tra la fine degli anni ’90 e l’inizio del nuovo millennio. Questo è successo grazie a Timo Rautiainen & Trio Niskalaukaus con Rajaportti (2002) e ai Kotiteollisuus con Helvetistä Itään (2003), gli stessi dischi che li hanno anche fatti sfondare. Poi più tardi i Mokoma e gli Stam1na sono diventati i gruppi metal più popolari della nazione».
Un omaggio dei cantanti, del coro sinfonico e dell’orchestra sinfonica della BBC nei confronti della Finlandia, suonando “Finlandia” di Sibelius, inno nazionale de facto finnico.
Bosj: Sentenced – “Blood And Tears”
Stavo per compiere sedici anni, e la mia conoscenza del metal andava poco oltre le tastierine e ad andar bene il mondo di Tolkien. Poi, quasi per caso, un giorno mi imbattei in The Cold White Light e fu amore al primo ascolto. Non avevo mai (né avrei più) incontrato un gruppo in grado di unire con così tanta naturalezza suoni corposi, retaggio di un’origine death metal, e soluzioni accessibili, figlie invece del gusto tutto finlandese per la melodia.
I Sentenced erano la band del dualismo: come nella musica, così nei testi, dove temi profondi venivano trattati con tanto romanticismo disilluso quanta macabra ironia. “Blood And Tears” è una somma di tutto questo, l’istantanea di un gruppo in stato di grazia, in equilibrio precario, che sapeva di essere destinato a prendere calci nei denti, ma cui per qualche ragione sembrava che la vita «ne valesse la pena, almeno per un momento».
Crypt Of Fear: Demilich – “The Sixteenth Six-Tooth Son Of Fourteen Four-Regional Dimensions (Still Unnamed)”
Conoscevo il metal finlandese sin da giovane, non mancavano quindi tra i miei ascolti saltuari alcuni gruppi power e una manciata di band black metal, a cui non ero particolarmente affezionato. Devo però alla scoperta dei Demilich, e a pochi altri, il mio avvicinamento al death metal, genere che fino a quel momento era del tutto secondario per me.
Il gruppo del chitarrista e cantante Antti Boman è una delle band simbolo del death finlandese, e l’unico album a nome Nespithe, uscito nel lontano 1993, è foriero di un sound singolare e difficilmente replicabile. Il livello tecnico è alto, ma mai ostentato; l’attenzione dell’ascoltatore viene attratta dall’atmosfera bizzarra, dalla follia contorta che guida ogni nota, mentre il growl narra di orrori provenienti dalle pagine di Lovecraft.
Tutti i brani hanno un certo valore, tuttavia dovendo indicare quello che per me descrive meglio questo album, la mia scelta ricade di sicuro su “The Sixteenth Six-Tooth Son Of Fourteen Four-Regional Dimensions (Still Unnamed)”, il migliore a entrare nelle teste sin dalle prime note, mettendo a dura prova la sanità mentale dell’ascoltatore.
Das Testament: Thergothon – “Everlasting”
Ho scoperto l’esistenza di forme musicali più estreme con relativa calma. Quando mi avvicinavo alla maggiore età, il black metal mi sembrava l’ultima frontiera, le Colonne d’Ercole oltre le quali non c’era più nulla. Poi, quasi per caso, mi arrivò in casella della posta l’unico disco dei Thergothon.
Sia il pezzo d’apertura, “Everlasting”, che l’episodio in chiusura, “Crying Blood & Crimson Snow”, mi hanno immediatamente mostrato come un folle e totale scoramento possa essere rappresentato: melodie dilatate, lentezza esasperante, l’organo e le tastiere che solo sospirano, quasi rassegnate a non poter far altro che scalfire l’opprimente pesantezza dell’essere. Ancora oggi, reputo Stream From The Heavens l’equivalente di essere intrappolati in un inverno perenne, privati anche della speranza; lo scorrere della musica cancella il tempo, rende ogni riferimento anonimo, costringe in un angusto spazio interiore e infine obbliga a una introspezione disperata.
Per questo motivo, non importa che, negli anni, abbia incontrato opere, se possibile, più deprimenti e desolate di questa; il primo bacio con il funeral doom non si scorda mai.
Dope Fiend: Shape Of Despair – “Angels Of Distress”
Angels Of Distress: un album di quelli che lasciano il segno e un pezzo composto prevalentemente da una melodia malinconica, lenta e relativamente minimale come tema portante di quasi dieci minuti di musica. Un’emotività delicata e gentile, ma allo stesso tempo frastornante, micidiale e implacabile nel racchiudere tutte le sfaccettature di una dolorosa quanto necessaria caduta nell’oblio. La voce cavernosa e disperata di Pasi Koskinen è un punteruolo che scava nel cuore, guidandoci nota dopo nota lungo un sentiero aspro ma accogliente, fino a raggiungere la parte più nascosta dell’anima, quella parte che celiamo forse anche a noi stessi e al cui interno si annidano i patemi e i tormenti più inconfessabili.
A parere del sottoscritto, gli Shape Of Despair sono una delle cose più belle uscite dal panorama musicale finlandese e in generale dalla corrente del Funeral Doom di stampo atmosferico, e Angels Of Distress una delle più empatiche espressioni di angoscia: un vero e proprio monumento alla fragilità dell’animo umano, il quale rimane prostrato e inerme di fronte al dolore. Inerme come si rimarrebbe trascorrendo una notte nel gelido abbraccio mortale del silenzio più profondo, quel silenzio ovattato che avvolge lo spietato e magnifico rigore di una tundra innevata sulle rive di un lago ghiacciato.
Elisunn: Finntroll – “Svartberg”
I Finntroll sono probabilmente l’unico gruppo, tra quelli citati in questo articolo, a rappresentare circa il 5% della popolazione finlandese che però parla svedese come madrelingua. I motivi dell’esistenza di questa minoranza?
Prettamente storici: per circa ottocento anni la Finlandia è stata parte del Regno di Svezia, il quale finì per imporre anche il proprio idioma come ufficiale, surclassando la povera, autoctona lingua finlandese. I Troll finlandesi sono, a mio parere, una delle cose più belle che sia mai successa alla Finlandia dopo l’editto di parità del finnico: non si prendono troppo sul serio, sono fondamentalmente una banda di scemi, eppure limitarsi a un solo ascolto di una sola canzone non basta mai, finisci sempre per buttare giù l’intera discografia nel corso della stessa giornata.
Per me, la band ha rappresentato l’inizio di una svolta importante, quella verso il black metal, che prima di scoprire Jaktens Tid o Midnattens Widunder non riuscivo assolutamente ad ascoltare. La combinazione di black metal e folk, sotto forma di humppa (la versione finlandese della polka, per intenderci), ha invece svolto il suo sporco lavoro, avvicinandomi pian piano a un genere oscuro e, allo stesso tempo, facendomi innamorare perdutamente dei Finntroll. Ci si augura che caccino presto un disco nuovo.
Es: Children Of Bodom – “Downfall”
Schernire i Children Of Bodom nel 2017 è sparare sulla più rossa delle croci. Mettetevi però nei panni di una ragazzina di prima media il cui modem 56k è il portale sul mondo, ammiraglia coraggiosa che le sta facendo scoprire il metal estremo e le fa capitare tra le mani un disco come Hatebreeder.
Pacchiani e pulitissimi, punk e barocchi, tronisti del metallo nordico e un po’ liceosfigatelli, i Bambini del lago più celebre del death metal melodico sono (stati) senza dubbio un gruppo da adolescenti e preadolescenti come la suddetta, ma hanno contribuito in modo fondamentale al consolidamento di una scena musicale e ciò non si può negare.
Quella ragazzina ormai quasi trentenne oggi si riascolta “Downfall”, la traccia conclusiva dell’album e la sua preferita all’epoca. Grazie a quelle tastierozze indimenticabili ma soprattutto al buon Alexi Laiho, virtuoso con la chitarra e con l’eyeliner, la ragazzina ha conosciuto l’amichetto del cuore con cui ora condivide questo buffo ricordo e la sua vita.
Giup: Archgoat – “Nuns, Cunts & Darkness”
All’interno di Aristocrazia sono probabilmente colui che ha meno a che fare con la Finlandia, musicalmente e men che meno culturalmente. Per fortuna, non tutto ciò che proviene da quelle lande è power o symphonic metal, per cui anche i gusti marci del sottoscritto riescono a essere soddisfatti da svariati gruppi che portano alto il vessillo del male e della depravazione: tra questi gli Archgoat, che il buongusto non sanno nemmeno dove abiti.
A dir la verità, li ho scoperti solo recentemente, per cui non ho un particolare legame, ma il death-black metal commovente e con reminiscenze degli albori della musica estrema (i vari Hellhammer e compagnia bella) basta per far venire gli occhi a cuoricino rovesciato. Aggiungiamo al tutto l’iconografia e i titoli tra il serio e il faceto e la miscela proposta dal gruppo di Turku si rivela perfetta e ripugnante quanto basta. A tal proposito, scelgo di proporvi “Nuns, Cunts & Darkness”. Che altro vi aspettavate?
LordPist: Skepticism – “Nothing”
Fino più o meno alla conclusione delle scuole superiori, per me il connubio tra Finlandia e metal si esauriva con gli Stratovarius e poco altro, principalmente nell’ambito del power metal e stili limitrofi. La graduale scoperta del malae, prima nella forma melodica degli Swallow The Sun, e poi in quella più evidente del funeral doom, mi ha portato ad apprezzare un gruppo di personaggi dediti all’uso delle tastiere in un modo un attimo diverso da quello di Johansson o Holopainen.
Gli Skepticism sono una di quelle band costantemente lì, raramente inserita nella mia lista mentale di preferiti in assoluto, ma che riesce a mettere in scena l’epica legata alla nostra finitezza di esseri umani a livelli qualitativi ed emotivi raggiungibili da pochi. “Nothing”, tratta dal capolavoro del 2003 Farmakon, ne è un perfetto esempio.
M1: Impaled Nazarene – “Sadogoat”
Impled Nazarene è un nome che non puoi dimenticare. La band di Mika Luttinen è ormai una dissacrante icona di sadismo, perversione, attacco alla morale, anarchia e… folle senso dell’umorismo.
Il bestiale esordio Tol Cormpt Norz Norz Norz… pubblicato nel 1992 raccoglieva trenta minuti di inni a Satana racchiusi in un black metal bastardo, con versi animaleschi scioccanti, urla belluine e inattese tracce atmosferiche. Mica male come primo incontro di un teenager con la Finlandia…
Questo agglomerato irrazionale dall’attitudine punk nel corso della carriera della band è stato poi indirizzato lungo sentieri più focalizzati e differenti, ma sempre con un chiaro marchio di fabbrica Impaled Nazarene stampato sopra.
Mourning: Elenium – “Velocity”
Gli Elenium di Caught In A Wheel furono uno dei primi gruppi che recensii per l’allora neonata Aristocrazia Webzine. Una band finnica che non suonava death metal old school, non si cimentava in una proposta esclusivamente melodica e che mi sorprese per la capacità con la quale riuscì a infilare una moltitudine di riff azzeccati all’interno di “Velocity” (in nove minuti di pezzo!), che tutt’oggi ascolto e riascolto con gran piacere.
Una formazione quasi sconosciuta ai più, e in stato di fermo ormai da troppo tempo, che non nego sarei curioso di vedere nuovamente al lavoro, chissà cosa sarebbero in grado di tirare fuori oggi.
Nihal: Johanna Kurkela – “Rakkauslaulu”
Probabilmente sono l’unica a non essersi avvicinata alla lingua finlandese per la sua musica. Quando nel 2008 ho deciso di studiare questa stupenda lingua, non conoscevo nulla dei suoi suoni, della sua cultura, delle sue tradizioni, della sua musica: avevo letto qualcosa da un compendio di grammatica passatomi dalla mia compagna di banco ed ero rimasta affascinata da alcune foto di quella che ho poi scoperto essere la Regione dei Laghi. Il mio è stato un vero salto nel vuoto, un salto che sento ancora mio e riesco a rivivere in modo personalissimo.
Solo successivamente ho avuto modo di avvicinarmi al panorama musicale finnico (devo ammetterlo: fino al 2008 conoscevo soltanto gli HIM). Una delle voci che collego maggiormente al mio personalissimo rapporto con il mondo finnico è quella di Johanna Kurkela. Conosciuta come la parte femminile della canzone “No Dream Can Heal A Broken Heart” dei Sonata Arctica, si è fatta apprezzare per la sua versatilità e per la capacità di adattamento a generi musicali differenti.
Volendo citare un brano per me significativo, mi balza alla mente “Rakkauslaulu”: qui la sua voce, ai miei occhi e alle mie orecchie, si mostra limpida, cristallina, soave e mi rimanda al ricordo della natura finlandese che solevo ammirare dal mio balcone o passeggiando per le stradine e i parchi di Pihlajamäki. Un rakkauslaulu che è diventato la mia voce di quel periodo.
Oneiros: Sonata Arctica – “My Land”
Non credo esista in tutta la discografia dei Sonata Arctica un brano più legato alla propria terra natia di “My Land”: un vero e proprio inno alla libertà misto al veemente desiderio di potersi godere la propria natura. Questi, di fatto, sono elementi centrali e ricorrenti in moltissimi dei testi del quintetto power metal di Kemi, ma ritengo sia più che giusto rendere onore a questa traccia nello specifico, poiché coglie appieno il senso di appartenenza che i finlandesi provano dei confronti della loro terra; non a caso il loro inno nazionale si chiama “Maamme” (letteralmente «la nostra terra»).
Chiamatemi fissato, tacciatemi pure di essere di parte, ma è così: Tony Kakko and friends mi hanno introdotto al metal e senza di loro non sarei mai stato quello che sono ora. Questa canzone è probabilmente in cima alla Top 3 delle loro migliori di sempre.
Tuomas: Mokoma – “Valapatto”
Sono originario di una piccola città nel sud-est della Finlandia che si chiama Lappeenranta e anche tre dei gruppi che ho nominato precedentemente (Kotiteollisuus, Mokoma e Stam1na) vengono da lì, o da lì vicino (gli Stam1na sono di Lemi, a 15 chilometri da Lappeenranta). Sono cresciuto con quelle band e perciò ho un relazione speciale con loro, specialmente con i Mokoma che sono, senza dubbio, il mio gruppo preferito. Hanno cominciato con il rock e poi hanno cambiato stile in favore del thrash-death metal e negli ultimi anni hanno nuovamente incorporato influenze più leggere.
Come canzone da condividere con voi ho scelto “Valapatto” da Kuoleman Laulukunnaat (2006), perché non dimenticherò mai quando li ho visti live per la prima volta in un locale a Lappeenranta all’inizio del 2009, un paio di mesi dopo aver compiuto diciotto anni. Hanno aperto con questa canzone e c’era un mosh pit bellissimo, e i miei amici hanno perso le scarpe in questo macello. Proprio una sera da ricordare!
Ul_Fieschi: Beherit – “The Gate Of Nanna”
Nel 2011 volai a Helsinki per ascoltare in anteprima Under The Eye dei Ride For Revenge. Da dove veniva quello stile a tratti disgustoso segnato da cadenze rituali?
Pochi altri gruppi finnici hanno fatto tanto discutere, portando alla ribalta il nome del loro paese di origine, come i Beherit. Derisi all’inizio, nel 1993 presentarono Drawing Down The Moon, in cui il Black Metal grezzo si piegava all’ordine, a ritmi rituali con sospetti accenni New Wave e freddi atteggiamenti Industrial. Questi culminano in “The Gate Of Nanna”, canzone radiosa come una serata di dicembre nell’innevata periferia di Turku.
La composizione semplice ma di effetto è stata interpretata in chiavi diverse da molte formazioni. Malgrado tanta venerazione i Beherit sono ancora visti come mocciosi brutti e cattivi da ignorare quando si avvicinano. Insomma, sono sotto diversi punti di vista come il finlandese medio: riservato, controverso, fiero ma modesto e matto allo stesso tempo.
Vlakorados: Antimateria – “Kun Aukeaa Mysteerit Kuoleman”
Probabilmente sono uno degli Aristocratici meno legati alla Finlandia: altre nazioni hanno avuto molto più peso nella mia formazione musicale e anche successivamente ho sempre preferito mete più esotiche. Detto ciò, di tanto in tanto salta fuori qualche progetto che riesce a destare il mio interesse: è il caso della one man band Antimateria, il cui debutto Valo Aikojen Takaa è riuscito a conquistarmi fin da subito. Il Black Metal proposto da Ahma nel suo progetto è celestiale e concettualmente vicino al filone cosmico del genere, seppur stilisticamente ci siano alcune differenze con le band che hanno portato al successo questo stile.
La dicotomia luce-ombra rappresentata dalla collaborazione tra chitarre e tastiere trova il suo apice in “Kun Aukeaa Mysteerit Kuoleman”: le prime creano un leggero velo di malinconia introspettiva, mentre le seconde trasportano la mente in altri piani astrali; i tempi medi enfatizzano ulteriormente le atmosfere riflessive e sovrannaturali del brano. La ciliegina sulla torta è il cantato in lingua madre, perfettamente adatto per rendere omaggio alla terra finlandese.