0N0 – Reconstruction And Synthesis
La storia degli 0N0 è stata alquanto travagliata: nati come ONO nel 1999, i due musicisti coinvolti proponevano una sorta di Noise caotico e ritualistico; un anno dopo il duo diventa un trio con l’ingresso di Twisted, per poi sciogliersi a causa dell’allontanamento dei membri fondatori. Il giovane Twisted decide quindi di creare una nuova (one man) band, semplicemente sostituendo le «O» del nome con due zeri e destreggiandosi tra Metal, Grind, Elettronica e quant’altro. Dopo varie uscite minori e un debutto ufficiale, la band vede l’ingresso di due nuovi componenti e questa formazione registra il secondo disco di cui parleremo oggi.
I quasi cinquanta minuti di musica suddivisi in sei tracce mostrano chiaramente la volontà di non rimanere ancorati ai canoni di un genere, preferendo un approccio più sperimentale; partendo da una base che unisce un Death Metal nevrotico e talvolta dissonante a rallentamenti tipicamente Doom, in diverse occasioni saltano fuori atmosfere industriali e psichedeliche con chitarre che sembrano liquefarsi, sintetizzatori lisergici e voci apparentemente di un altro mondo. Prendete questo paragone con le pinze, ma in alcuni momenti mi hanno ricordato una versione meno inquietante e più allucinata e aggressiva dei The Axis Of Perdition; non tanto musicalmente, quanto per le sensazioni generate dall’ascolto.
I frangenti più vicini al Death Metal sono molto nervosi, merito soprattutto di una sezione ritmica completamente programmata e dalle movenze meccaniche, incapace di frenare la propria follia e obbligando quindi le sei corde a seguirla in tale delirio; elementi quali pseudo-accelerazioni di breve durata e riff dissonanti avvicinano la band al versante tecnico del genere, dimostrando anche le buone abilità dei musicisti. L’aspetto prettamente Doom della proposta è invece quello che subisce maggiormente l’influenza psichedelica ed è quello più presente, grazie alle lunghe fasi dilatate che riescono a trasportare l’ascoltatore in una realtà parallela. Da notare che anche durante questi rallentamenti spesso la batteria non è propriamente rilassata, seppur ovviamente non dinamica come nei momenti più spinti; è come se volesse costantemente mantenerci sull’attenti, in attesa di un’eventuale accelerazione che solo a volte effettivamente arriva.
Non starò a descrivere approfonditamente i singoli brani, in quanto ritengo che il disco renda al meglio se ascoltato per intero — d’altronde chi si accontenta di un trip musicale di una decina di minuti? — ma ci tengo a far notare che la band tenta diverse soluzioni per variare gli episodi più lunghi. Nello specifico parlo del finale della titletrack, nel quale compaiono ritmi tribali e chitarre acustiche, e della lunga fase Ambient che occupa quasi metà di “Lucid Transmutation”. Le altre quattro tracce si appoggiano invece su quanto descritto in precedenza, non rinunciando comunque a una propria identità, ad esempio con “Desolatry” più orientata a un Doom distruttivo e la conclusiva “Reformation/Absorption” che fa a meno delle harsh vocals acide e annichilenti per chiudere il disco supportata solo da voci lontane e sognanti.
Un’ultima nota di merito va ai testi e al libretto che catturano in pieno le emozioni derivate dalla musica: sia le immagini che le parole sembrano voler negare la nostra limitata e limitante esistenza, in favore di una realtà diversa; forse è proprio questo il significato di “Reconstruction And Synthesis”: se quindi vi sentite pronti ad abbracciare un nuovo mondo, fate assolutamente vostro questo lavoro.