ABBOT – Between Our Past And Future Lives | Aristocrazia Webzine

ABBOT – Between Our Past And Future Lives

 
Gruppo: Abbot
Titolo: Between Our Past And Future Lives
Anno: 2014
Provenienza: Finlandia
Etichetta: Bloodrock Records
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TRACKLIST

  1. Child Of Light
  2. Diamond Heart
  3. Grave Encounters
  4. Moonsnake Child
  5. Supermind
  6. Between Our Past And Future Lives
  7. Mr. Prowler Man
  8. Keep On Moving
DURATA: 33:34
 

Tutti gli artisti meritano rispetto. Si impegnano, spendono tempo, soldi e fatica per registrare un album, per promuoverlo e per farsi conoscere, quindi meritano rispetto. Però ci sono certi dischi che, semplicemente, sono sbagliati. E il debutto degli Abbot, purtroppo, è uno di questi.

Finlandesi attivi da qualche anno e reduci da qualche uscita minore, i quattro approdano su Bloodrock per rilasciare un disco che probabilmente avrebbe avuto bisogno di una maggiore gestazione. I brani sono banali, noiosi, quasi irritanti da quanto poco mettono sul piatto: non basta inventarsi tre note di fila, arrangiarle alla Kyuss e ripetere l'operazione per otto volte per fare un disco. In tutto l'album non c'è un passaggio degno di nota, niente che abbia davvero qualcosa da dire, solo una serie di plettrate messe in fila e sparate a cannone in salsa stoner. Tutto è superficiale, buttato là, senza nessuno spunto e genericamente sciatto; giusto la conclusiva "Keep On Moving" riesce a non essere del tutto irritante, con un po' più di verve e brio. Qualche buona accelerazione qua e là si trova, ma il tutto viene rovinato dall'ossessionante ripetitività della soluzione, come se la band avesse capito di aver fatto qualcosa di buono e si fosse detta «ehi, facciamolo e rifacciamolo e facciamolo ancora fino alla morte, tanto è un buon giro». Da qui la sensazione di sciatteria.

Eccessivo, fine a se stesso e soprattutto nemmeno lontanamente legittimato all'autocelebrazione, "Between Our Past And Future Lives" soffre tantissimo di ingenuità talmente basilari da essere fastidiose: ogni riff è ripetuto almeno almeno quattro o cinque volte, a volte addirittura per minuti interi. Come se non bastasse, JP Jakonen dietro al microfono è stonato, completamente avulso dal contesto e più di una volta la sensazione è che si stia semplicemente muovendo su un tessuto musicale senza nessun riferimento, per i cazzi suoi.

Ripartire da qualche buono spunto di chitarra, svilupparlo, non accontentarsi e rivedere l'impostazione vocale. In questo modo, forse, gli Abbot possono sperare di affacciarsi su un panorama affollatissimo di concorrenti che davvero hanno qualcosa da dire (basta guardare il roster della loro stessa etichetta per trovare valanghe di nomi). Ora come ora, siamo dalle parti di una delle peggiori uscite del 2014.