ÆTHĔRĬA CONSCĬENTĬA – Corrupted Pillars Of Vanity
Tra i termini più abusati in ambito metal figurano senza dubbio sperimentale e avantgarde, spesso usati come cappello sotto cui inserire tutto ciò che non si allinea agli stilemi classici dei vari sottogeneri, suonando di fatto strano, o peggio ancora come sinonimo di dissonante. Non è questo il caso degli Æthĕrĭa Conscĭentĭa, formazione francese nata nel 2016 a Nantes con due album all’attivo: Tales From Hydhradh del 2018 e Corrupted Pillars Of Vanity uscito nella primavera di quest’anno.
Come suggeriscono gli artwork delle copertine, entrambe opera di Amaury Pottier, i Nostri sguazzano a proprio agio nel mondo della fantascienza e, da amante del genere, non posso negare di esserne rimasto incuriosito. I testi dell’eclettico Simon Chatteleyn (Enigmatical, Nullentropy), che pur non essendo più membro fisso del gruppo continua a collaborare, sono molto di più che vaghi rimandi a civiltà aliene e viaggi intergalattici. I due dischi, infatti, sono altrettanti concept e possono essere considerati come due archi narrativi di un medesimo racconto che ruota intorno alla città spaziale di Hydhradh, centro spirituale e sede del culto dell’Æthĕrĭa Conscĭentĭa, misteriosa entità dagli attributi divini.
La musica non è meno ricca di spunti. Nelle cinque tracce di Corrupted Pillars Of Vanity, la band riprende il progressive black metal del debutto e, complice un lavoro di scrittura davvero notevole, lo fa evolvere a un livello superiore. Le suggestioni atmosferiche si fanno più concrete, il riffing diventa più intricato fino a sconfinare nel jazz, mentre i continui cambi di tempo contribuiscono a rendere più digeribili minutaggi che altrimenti sarebbero difficilmente sostenibili. Un ottimo esempio è rappresentato dal primo brano, “Asphoros’ Altering Odyssey”, in cui alla voce figura Andrii Pechatkin dei White Ward. Nei suoi quindici minuti, che lo rendono l’episodio più lungo dell’album, le atmosfere iniziali in bilico tra folk e post-metal cedono il passo a una sfuriata black metal che a sua volta sublima riff dopo riff in un fraseggio progressive dal sapore orientaleggiante e che risulta decisamente accattivante. A fare da filo conduttore e a unire tutti questi spunti c’è il sassofono di Chatteleyn, che non è soltanto un mero accompagnamento, ma è spina dorsale dell’intero album.
Se anche la successiva “The Corrupted Sacrament” si mantiene su coordinate tutto sommato simili, con “Liturgy For The Ekzunreh” gli Æthĕrĭa Conscĭentĭa rimescolano le carte in tavola: il brano vuole essere la trascrizione di un antico rituale di Hydhradh e riesce benissimo nel suo intento, forte di atmosfere dense e sature di quella solennità propria dei riti religiosi. I momenti più alti dell’album arrivano, però, nel finale, con le due parti in cui è divisa la lunghissima — quasi venticinque minuti — “Absurd Crusade”. In particolare in “Elevation In Arrogance” compare come ospite Dima Dudko (White Ward), il cui sassofono contralto va a rincorrere le note del sax di Chatteleyn, intrecciandosi in un fraseggio accompagnato da conga e riff in cui il progressive prende via via il sopravvento, mentre la struttura musicale diventa sempre meno convenzionale.
In Corrupted Pillars Of Vanity la voglia di sperimentare è palpabile e si traduce in un’opera varia e complessa. La continua ricerca di nuove soluzioni musicali, come ad esempio il ruolo centrale dato agli ottoni, e un lavoro di scrittura a dir poco ispirato fanno sì che tale complessità non si manifesti come un farraginoso susseguirsi di virtuosismi fini a se stessi, bensì in un disco in grado di tenere incollato l’ascoltatore per tutta la sua durata. Gli Æthĕrĭa Conscĭentĭa hanno dimostrato di essere cresciuti parecchio, sia come musicisti che come narratori capaci di scrivere della buona fantascienza, quella in grado di porci domande e di darci risposte non sempre rassicuranti. Aspettiamo quindi fiduciosamente la prosecuzione della saga di Hydhradh.