AIDAN – The Relation Between Brain And Behaviour
Scarto il disco, apro la custodia e un dettaglio balza immediatamente ai miei occhi: «mastered by James Plotkin in New York». Lo stesso James Plotkin noto per i suoi OLD e Khanate, nonché brillante produttore, presente dietro le quinte di numerose opere di band d'alto lignaggio quali Sunn O))), Earth, Nadja, Isis e Pelican. E se fin da subito questo brillante roster consente di avere un'idea di cosa incontreremo nella mezz'ora abbondante di musica che ci appropinquiamo ad ascoltare, nasce altresì spontanea la riflessione che se un personaggio di primo piano come Plotkin si è scomodato a dare il suo contributo nella masterizzazione del disco d'esordio di una sconosciuta band padovana, un motivo ci dovrà bene essere.
Un rapido sguardo alla pregevole copertina e al complesso ma ben costruito logo della band e inserisco il disco nel lettore. L'intro ambient e vagamente psichedelica "Lebanon 1823" conduce rapidamente a "No Longer Gage", uno dei migliori pezzi di tutto l'album, da cui è subito facile desumere le influenze e le attitudini musicali del terzetto veneto. Gli Aidan suonano un post-metal completamente strumentale, post-metal d'autore mi verrebbe da dire, con precisi riferimenti alla lezione insegnata dai Pelican, band non a caso già citata in precedenza. Con riff possenti e precisi, ritmiche mutevoli e una notevole varietà di soluzioni musicali, tuttavia dimostrano di non voler essere solo una copia delle band cardine del settore, anzi al contrario di averne profondamente interiorizzato gli aspetti principali, creando una proposta personale e originale.
Aiutato dalla durata non eccessiva, "The Relation Between Brain And Behaviour" si snoda attraverso un totale di sette brani, una commistione del post più puro con sensazioni sludge di grande energia, strizzando l'occhiolino a tratti al drone più cupo (si vedano i riverberi dei minuti iniziali di "Ptosis" o il finale stesso del disco), certo senza mai perdersi nei meandri più tetri a cui gli amanti del genere possono essere avvezzi. Ogni pezzo ha una sua personalità e un suo preciso carattere, l'album non ha cali particolari da evidenziare e l'attenzione dell'ascoltatore è costantemente stimolata. Cito per preferenza personale "Left Frontal Lobe", canzone completissima in ogni suo aspetto e ricca di ogni possibile sfumatura precedentemente evidenziata, e "Lone Mountain", che con le sue mille sfaccettature e gli altrettanto numerosi cambi di ritmo conferma l'ecletticità di una band che dimostra di essere a suo agio in ogni situazione.
Anche il lavoro svolto nel mixaggio del disco è di assoluto spessore: le chitarre sono incisive e graffianti, i bassi ben equalizzati e le percussioni sempre in grande evidenza. Nel caso in cui si volesse andare a scovare col lanternino una piccola falla nella registrazione, la si potrebbe trovare nel suono troppo compatto e secco delle pelli, complice forse un eccessivo tiraggio delle stesse, che — per inciso — potrebbe essere benissimo anch'esso una scelta stilistica della band. Il mio orecchio di batterista avrebbe preferito un suono più corposo e martellante, ma sono davvero dettagli.
Sono invece indubbie l'impressionante maturità e la capacità compositiva raggiunte dalla band, costituita sicuramente da musicisti capaci, ma altresì attiva da solo un paio d'anni. Se questo è l'antipasto, con le portate principali ci sarà da leccarsi i baffi.