ALCEST – Kodama
Gruppo: | Alcest |
Titolo: | Kodama |
Anno: | 2016 |
Provenienza: | Francia |
Etichetta: | Prophecy Productions |
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TRACKLIST
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DURATA: | 42:14 |
Ci risiamo, l’ha rifatto. Il Francese è tornato a fare quello che sa fare meglio: scrivere buona musica. Finalmente. Chi ci segue da qualche anno magari ricorda le mie perplessità su Les Voyages De L’Âme, che sono poi diventate delusione completa grazie al becero manierismo di Shelter; Neige, lo abbiamo capito che ti piacciono i My Bloody Valentine, i Ride, i Pale Saints e via dicendo, piacciono anche a noi, tantissimo, per questo se dobbiamo ascoltare lo shoegaze dei primi anni ’90, ascoltiamo loro e non te. Noi ti ascoltiamo se ci regali qualcosa di inaspettato, qualcosa di bello, qualcosa di profondo, emotivamente coinvolgente, ma anche attuale, fresco. Insomma, noi ti ascoltiamo se ci tiri fuori dal cilindro un lavoro come Kodama.
Scrivo sull’onda di un entusiasmo talmente dirompente e inatteso che non ho nemmeno ancora ritirato la mia copia del disco, quindi non so ancora quantificare il grado di importanza del lato visuale dell’album, ma certo è che già a un primo impatto con la notevolissima illustrazione di Førtifem diverse cose sono evidenti. Prima di tutto l’album è a tema orientale, anzi giapponese, come confermano il titolo («kodama» significa «spirito degli alberi» e per una serie di conseguenze «eco») e le note dell’etichetta. Poi, l’intera parte illustrativa è tenuta in ben maggior considerazione che non in passato, tanto che questa edizione esce anche in un artbook da ben trentasei pagine corredate da immagini e note. In ultimo, per stile visivo Kodama rappresenta un netto distacco dal precedente lavoro e si avvicina molto di più allo stratosferico e ormai classico Écailles De Lune.
Le conferme di un (parziale) ritorno al passato non tardano ad arrivare: la title-track si apre rimandando alle meraviglie del 2010, ma in modo del tutto naturale, e allo stesso tempo imposta subito il tono del disco, evidenziando diversi elementi di novità. La batteria di Winterhalter è piena, rotonda e molto più centrale nell’economia della band che in passato, mentre gli arrangiamenti sono decisamente meno rétro, meno derivativi e tornano finalmente a sottolineare la personalità del duo. I brani sono più omogenei, tanto che non esiste un singolo, solo un lavoro organico e meravigliosamente scorrevole; già nei primi due episodi la scrittura di Neige evidenziava questa tendenza, ma mai come in Kodama aveva trovato la quadratura del cerchio. Addirittura, perfettamente inserito nel contesto generale, ricompare lo scream (“Eclosion”, “Oiseaux De Proie”), segno che il riavvicinamento alle origini black metal — sempre nell’economia di un album che black metal non è né vuole essere nel modo più assoluto — c’è stato eccome. Anche le influenze post-rock non sono mai state così forti, soprattutto degli arrangiamenti e delle strutture strumentali dei migliori e più ispirati God Is An Astronaut, ma spunta anche qualche eco dei Sigur Rós più malinconici, tanto che la stessa “Kodama” sono nove minuti e oltre di vocalizzi, senza un vero e proprio testo, come “( )” insegna. Non sto facendo paragoni, solo rimandi.
Sul piano concettuale, infine, la Prophecy dichiara che il tema portante del disco prende le mosse da “Princess Mononoke” di Miyazaki, sviluppandosi poi lungo binari propri, che mi aspetto e auguro Neige abbia esaustivamente sviscerato nelle note del libretto. Libretto che non vedo l’ora di avere in mano. Gli Alcest si sono riscoperti, hanno ritrovato il sentiero della maturazione, e non è per caso che proprio in uno dei brani in cui il black metal è più palpabile, in cui il passato è più vivo, Neige ci dica:
«Behold me
As I am
And embrace me
Do not let them
Rob me of my soul
Do not let them tarnish it»